Molte delle canzoni rap in napoletano non sono affatto in napoletano

A Napoli qualcuno non ha preso per nulla bene che le parole del pezzo sanremese di Geolier "I P’ Me, Tu P’ Te" sembrino un po' "ad cazzum" nella lingua locale. Non sarebbe il primo caso, anzi la critica accomuna buona parte dei colleghi. Insomma: la lingua è una cosa viva, ma scrivetela bene

Geolier, foto di Matteo Baglioni
Geolier, foto di Matteo Baglioni

Ogni anno, due settimane prima del Festival di Sanremo c’è l’usanza, per gli appassionati di musica, di andare in edicola. Uno dei grandi riti preparatori alla kermesse è il numero speciale di TV Sorrisi E Canzoni con i testi delle canzoni del Festival. Tra i 30 artisti dell’edizione alle porte c’è Geolier: stella della scena rap napoletana, a soli 23 anni ha segnato il record dell’album più venduto del 2023 con Il Coraggio Dei Bambini. Il brano in gara, I P’ Me, Tu P’ Te è interamente in napoletano.

Nelle “quote” che compongono un cast sanremese c’è sempre Napoli e il rap. Talvolta nello stesso artista, vedi Clementino o Rocco Hunt. Stavolta, però, è qualcosa di più. Mai come oggi Napoli è al centro della musica italiana, dall'urban fino all’influenza innegabile anche sugli altri generi, vedi Angelina Mango che con Che t’o dico a fa’ ha accolto la lore partenopea per un omaggio alla città. Un testo interamente in lingua napoletana – perchè, per quanto di matrice dialettale, di lingua trattasi, ve lo ricordo – non si vedeva al Festival dal 2010 e il brano era Jammo Jà di Nino D’Angelo con Maria Nazionale.

Il testo di Geolier ha scatenato le polemiche per la difficile comprensione a chiunque non parli la lingua. L’ironia da social porta ancora più curiosità. Il problema del testo, leggendolo, è che non è scritto in napoletano. Ovvero: non segue le regole della grammatica della lingua, incredibilmente complessa e fatta di regole di derivazione dal latino, sincopi, apocopi, aferesi e altre parole complicate che ho studiato per un esame di Linguistica Italiana che non ho mai dato. Professoressa Librandi, le chiedo scusa. 

Geolier, foto di Matteo Baglioni
Geolier, foto di Matteo Baglioni

Scrivere in napoletano è difficilissimo ma importante se non altro per la grande tradizione letteraria, poetica e musicale che questa lingua si porta dietro. E non è in alcun modo un giudizio di valore sul testo sulla canzone o sulla canzone: Geolier ha dimostrato di sapere scrivere molto bene, di evocare immagini potenti e contenuti che lo rendono tra i migliori della sua generazione. Un vero e proprio re indiscusso del nostro rap, una consacrazione che lo vedrà anche protagonista di ben tre show allo Stadio Maradona. Il punto debole è la mera trascrizione dei testi.

«Pur o’mal c fa ben insiem io e te / Ciamm sprat e sta p semp insiem io e te» in realtà sarebbe «Pure ‘o male ce fa ‘bbene insieme je e ttè / Ci’amm sperato ‘e sta’ pe’ ssempe insieme je e ttè». Oppure  “Agg sprecat tiemp a parla / nun less pnzat maij” che sarebbe “Aggio sprecato tiempo a parlà / nun l’ess penzato maje”. Addirittura il titolo in realtà si dovrebbe scrivere Je pe' mmè, tu pe' ttè. Tutte le vocali che si rendono con il suono della ə – che ben prima di avere una connotazione di genere era un suono dell’alfabeto fonetico fondamentale nella lingua napoletana – nel testo che troviamo su Sorrisi spariscono completamente, trasformando un testo romantico in un codice fiscale. Le consonanti non si raddoppiano dove dovrebbero e gli apostrofi che dovrebbero sostituire la parte della parola che “cade”, vengono utilizzati un po’ a caso.

Dopo la pubblicazione, il testo ha acceso una discussione tra intellettuali, scrittori e, banalmente, chiunque avesse accesso a internet. Maurizio De Giovanni, scrittore di successo e autore di molte delle serie made in Napoli che vediamo in tv ha scritto sui suoi social: «È una lingua antica e bellissima, con la quale sono stati scritti capolavori immensi. È un patrimonio comune, ha un suono meraviglioso, unisce il maschile e il femminile come fa l'amore. Non merita questo strazio. Basta chiamare qualcuno e farsi aiutare. Un po' di umiltà». Invece lo scrittore ed insegnante di lettere Francesco Amoruso si dispiace più che altro per la resa del testo che «non rispetta le convenzioni di trascrizione fonetica internazionale ed è un peccato, perchè non permette a tutti di leggere bene il testo».

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Spesso però le reazioni sono attratte più dal carrozzone festivaliero che moltiplica le attenzioni, piuttosto che una puntuale cura della materia: il problema non riguarda solo Geolier. Da quando è esploso il rap in lingua, la maggior parte dei testi degli artisti più forti, anche ben più consolidati e storici rispetto ad Emanuele, sono spesso e volentieri scritti – come testimoniano fonti "ufficiali" come Genius, Apple Music o Spotify – in maniera scorretta e sgrammaticata. Con le fortunate eccezioni di Clementino, Rocco Hunt, Lucariello e pochi altri.

È davvero difficile trovare un testo di NA-rap scritto in maniera vagamente passabile nonostante la scuola napoletana sia dotata di grande talento nel flow, nelle ritmiche e nella narrazione di una realtà urbana che probabilmente solo questa città sa regalare. Una lingua perfetta per la musica, assimilabile all’inglese per varietà di fonemi, soluzioni metriche e ritmiche, che però in forma scritta si trasforma e diventa lingua a sé, simile allo slang che abbiamo letto nei testi dei dischi storici del rap americano, o le abbreviazioni usate da Prince. E se è vero che l’hip hop è un linguaggio di urgenza e necessità di espressione, è perfettamente comprensibile che i testi siano scritti senza mettere la correttezza linguistica al primo posto.

Fa strano, piuttosto, pensare come nessuno tra i curatori della discografia e dell'editoria musicale italiana abbia mai letto o corretto i testi prima della pubblicazione? In un momento di grande spolvero e diffusione della lingua napoletana, emulata in tutta italia dai fan del cinema e delle serie, in ascolto perenne in radio, cantata a squarciagola negli stadi e nei palazzetti, fa quasi impressione che non esista alcun insegnamento di questa lingua nelle scuole, se non negli sparuti momenti in cui si legge ed impara a memoria ‘A Livella di Totò.

E se le critiche gratuite a questa trascrizione “creativa” del napoletano sono elitarie o classiste, la verità è che probabilmente una tale leggerezza in un momento di estreme attenzioni come Sanremo, finisce per svilire e macchiare un momento potente per la nostra cultura, per la nostra musica e per il talento di un 23enne che da Secondigliano ha conquistato l’Italia intera.

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L'articolo Molte delle canzoni rap in napoletano non sono affatto in napoletano di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2024-02-01 18:01:00

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