[...] you're in the dark woods, just get me into that beautiful darkness with the soft wind.
Con queste parole, in un video ormai diventato celebre su YouTube, il compositore Angelo Badalamenti ci riporta la descrizione fattagli da David Lynch nel tentativo di trasmettergli le atmosfere di quella che è diventata la serie cult per eccellenza: Twin Peaks. Il regista – e all'occorrenza musicista – americano costruisce un po' alla volta l'immagine della sua stupenda oscurità, con Badalamenti che a ogni step risponde con un elemento compositivo, facendosi interprete di una realtà che mischia fascino ed ansia come solo Lynch sa fare.
È proprio attorno ad elementi come questi, in grado di suscitare emozioni così viscerali e così contrastanti fra loro, che si snoda la filmografia del regista statunitense. Una vera e propria esplorazione dell'animo umano e delle sue passioni: storie in cui si intrecciano liberamente sesso e violenza, storie nelle quali perfino ricordi, sogni ed incubi finiscono per mescolarsi, confondersi nella nebulosa noir che è il marchio di fabbrica di film come Mulholland Drive, Lost Highway, Blue Velvet o Inland Empire. È proprio questa estetica al limite tra pornografico ed onirico che ha portato alla genesi dei To Die On Ice, al loro esordio con il disco Una specie di ferita, pubblicato nel marzo scorso.
Il gruppo nasce a Bologna qualche anno fa da un'idea di Filippo (chitarra e voce), che al tempo suonava negli Action Dead Mouse, e che coinvolge Simone (basso), Andrea (sax) e Alessandro (batteria), anche loro membri della scena musicale bolognese, con Oracle il primo e con gli Ominoacidi i secondi. Si presentano così, solo con il nome, nella bio della band, ognuno associato al modo in cui è morto sul ghiaccio. Una specie di ferita è il primo album della band, pioniere di quello che loro stesso definiscono come Lynch core, un nuovo genere musicale che è la sintesi delle atmosfere create da David Lynch, prendendo in prestito elementi sonori dalle esperienze precedenti dei membri (hardcore, punk, doom) senza però somigliare a nessuno di questi.
Quello dei To Die On Ice è un jazz in stile Bohren & der Club of Gore, con incursioni blues, soul e screamo, minimalista, notturno, lento e inesorabile e con una totale devozione per le atmosfere che ricerca. A questo si aggiunge un aspetto visivo ben preciso, ossia una serie di immagini sessuali che sfociano nel perverso e nell'estremo attraverso le elaborazioni grafiche realizzate da Caterina Birolo (@violent.stranger). Un concept che viene evidentemente ripreso anche nella tracklist, composta da una serie di titoli preceduti da un hashtag affiancato a una categoria hard. Questo non è soltanto un richiamo delle atmosfere erotiche che la band vuole evocare, ma anche una provocazione verso il modo in cui la musica viene venduta, promossa e condivisa nel panorama attuale.
Ritroviamo molte di queste caratteristiche nella traccia d'apertura, #fisting - come una palude, che ricorda decisamente l'attraversamento di una oscura palude con il suo incedere rallentato e accordi di chitarra elettrica e linea di sax che sembrano quasi ristagnare nel riverbero. È un brano strumentale che dipinge perfettamente il mood dell'album, opener perfetto per calarci nel mondo dei To Die On Ice e prepararci a #anal - tutto quello che ci resta, che mesce perfettamente tutte le componenti del suono della band partendo da una lunga linea di sax, alla quale gli altri strumenti fanno per lo più da accompagnamento. Una misura dopo l'altra la tensione monta sempre di più, per poi esplodere in chiusura con le grida di Filippo, che al primo ascolto colgono di sorpresa e che sembrano quasi poter rompere l'incantesimo, finendo invece per renderlo ancora più potente.
Il brano più bello del disco però, quello che incarna alla perfezione il Lynch core è #squirt - una città in fiamme: brevi progressioni di sax vengono come scagliate nel vuoto, col tempo che viene scandito da una sezione ritmica lenta e con quel fascino che solo la decadenza sa esercitare. La traccia poco a poco prende vita, gli strumenti si mescolano e la voce di Filippo, adesso morbida e suadente, ci accarezza, ci culla, ci illude e infine ci riporta alla realtà, tirando fuori tutti gli spigoli di un mondo buio e crudele:
Altro che il cielo e gli alberi, vedo solo pareti e un soffitto viola di lividi.
Il testo – un riferimento nemmeno troppo velato a Il cielo in una stanza di Gino Paoli – incarna perfettamente lo stile minimal delle costruzioni melodiche della band: poche frasi ripetute affascinanti e inafferrabili, testi che se letti su carta ricordano poesie d'avanguardia o haiku tenebrosi.
Cos'è quindi il Lynch core? È "musica sessuale", è una soundscape torbida e senza uscita, è libertà espressiva e "nudità sconcertante", è jazz, soul, blues e hardcore che prende forma negli anfratti più bui della Loggia Nera, sotto lo sguardo incredulo dell'agente Cooper di fronte a Laura Palmer. Forse il Lynch core è parte di un'allucinazione collettiva o un sogno; forse non esiste nemmeno. Ma l'appartenenza di un fenomeno alla realtà non ha mai preoccupato David Lynch, perché dovrebbe preoccupare noi?
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L'articolo Ghiaccio cammina con me di ◄Mãtteo Cioni è apparso su Rockit.it il 2022-04-11 12:30:00
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