Giardini di Mirò: proveremo a farci bastare i bei ricordi

Come spiccava la grafica arancione di "Rise and Fall" sulle mensole blu della vetrina. E che goduria quel primo ascolto in auto del disco. Ora che la band di Cavriago ha annunciato lo stop ci restano sensazioni di questo tipo, e non è affatto poco

La band in una foto d'epoca, via Fb Giardini di Mirò
La band in una foto d'epoca, via Fb Giardini di Mirò

Per quanto è per sempre?”, disse Alice. E il Bianconiglio rispose: “A volte, solo un secondo”. La vita, si sa, è spesso un'infinita sequela di situazioni perse. Ma uno dei vantaggi di invecchiare è di poterle memorizzare e non farsi trovare impreparati qualora si ripresentassero. Il problema, semmai, è che assai difficilmente si ripresentano e comunque non si ripresentano mai con le stesse fattezze della prima. Fregandoci nuovamente. Questo quindi è il ricordo di un pomeriggio dei primi mesi del 2002 e della mia ricerca di un disco di un gruppo indie rock italiano, proveniente dalla cittadina di Cavriago, in provincia di Reggio Emilia.

La situazione incominciava a essere sul serio allarmante, se non direttamente disperata. Soprattutto perché passavano i-giorni-le-settimane-i-mesi, il disco era tecnicamente uscito nel 2001 e qualcuno dei miei “amici grandi” sosteneva di avere una fantomatica demo addirittura all'inverno del 2000. Leggende, forse panzane, che comunque non mi schiodavano da un dato di fatto: Rise and Fall of Academic Drifting non arrivava nel mio quartiere neanche per sbaglio. Guardavo estasiato Massimo Coppola passare a notte fonda un loro video su Mtv, quello di Pet Life Sever, con Emidio Clementi riluttante protagonista e Matteo Agostinelli degli Yuppie Flu al microfono, la cui voce sghemba (come poche) aveva innescato infinite discussioni con i miei amici sulla suicida incommerciabilità di quel brano come singolo ed era finito invece col vincere il premio come miglior corto della storia del mondo al MEI di Faenza, o qualcosa del genere, o forse era una leggenda pure quella.

Intanto il tempo passava inesorabile e i Giardini di Mirò diventavano, giorno dopo giorno, sempre più grandi, ma l'etichetta per cui uscivano, la Homesleep, si affidava per la loro distribuzione all'altrettanto indipendente Black And White, che è un po' come dire io do un disco a te nella speranza che nel tuo giro ci sia qualcuno interessato e se no ciccia. Infatti dalle mie parti il tutto restava nel fantastico mondo dell'ultra-nicchia bolognese, questa maledetta, e ciccia. Fu poco dopo che i Giardini di Mirò furono invitati a suonare in un programma di Mtv, il fu Supersonic, e vi assicuro che la loro esibizione è qualcosa d'impressionante anche oggi, che venne fuori che la Sony aveva preso in distribuzione la Homesleep, pare proprio per il potenziale di quel disco – che difatti di copie ne vendette ben oltre seimila.

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Ricordo bene che fu durante la festa di compleanno del mio amico Roberto, che iniziò a circolare la voce che Rise and Fall era apparso nella vetrina di PC Blu, il negozio di dischi grande quanto uno sgabuzzino che mi aveva già spacciato tanta ottima musica affine ai nostri: Stereolab, My Bloody Valentine, Spiritualized. Il punto era che io non avevo ancora la patente, nonostante avessi superato i diciott'anni da un po' ma, soprattutto, l'unico mio potenziale accompagnatore era proprio il festeggiato, unico a saper di cosa stessi insistentemente parlando con tutti, in un contesto che se ne fregava altamente della musica rock in toto, figuratevi del post-rock.   

A peggiorare il tutto, Roberto, pieno di quella sicurezza che prende qualsiasi festeggiato da sempre, sembrava sul punto di concretizzare una seduzione serrata con la biondissima Elisabetta, colei che poi sarebbe diventata veramente la sua compagna per la vita. Insomma, le possibilità di riuscita del mio folle acquisto erano veramente basse. Però davvero avrei potuto dire al mio amico una cosa del tipo: “Ma che c'entri tu con questa gente qua? Ma veramente vogliamo perderci il primo disco dei Giardini di Mirò per due slinguate a una bionda ossigenata che si ascolta Anastacia?”. Avrei potuto. Ma erano ancora quegli anni lì. Quelli in cui il nome strano di un gruppo e una rivelata emozione e in men che non si dica venivi bollato come coglione. E poi a lui, che credo non si fosse mai spinto oltre qualche canzone dei Mogwai e una cassetta di Agætis Byrjun dei Sigur Ròs con i titoli scritti tutti sbagliati con una penna Bic, delle mie prese male sulla gente nel nostro quartiere, tanto più se suoi amici, e delle mie preoccupazioni riguardo al possibile acquisto da qualcuno che non fossi io del suddetto introvabile disco, gliene fregava zero.

Oltretutto, la situazione con Elisabetta sembrava sul serio sul punto di quagliare. Lei si sentiva una privilegiata ad essere l'oggetto delle attenzioni del festeggiato, lui con un paio di birre in corpo già alle sei aveva un legittimo desiderio di godersi la festa con la ragazza biondissima dei suoi sogni. Per mia fortuna, però, Elisabetta nutriva una certa soppressa predilezione per tale Diego, chitarrista moro dagli occhi cerulei di un gruppo locale il cui cognome dava a intendere anche nobili origini e che ebbe la stupenda, magnifica idea di presentarsi proprio nel Lion's Pub dove festeggiava Roberto, quella sera. Il suo ingresso tuonante fu sulle note di Eye of the tiger dei Survivor, ovviamente non è affatto vero ma nella mia memoria (si vede molto cinematografica) accadde proprio così. Diego era lì e, nonostante si fosse messo morettianamente di tre quarti sull'uscio, con una Slalom in mano, a chiedersi se lo si notasse di più se restava dentro o se usciva fuori a fumare una cicca, era lì. A guardarsi intorno e scombinare quel floreale idillio tra Roberto e la biondissima Elisabetta.

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Così, quando oramai mi ero rassegnato quasi a passare il resto della serata a parlare del più e del meno, balle da universitari e stronzate varie, alla decima occhiata sfuggente ma sfrontata in petto a Roberto di Elisabetta verso la porta, quello che era il mio ipotetico autista mi cercò prima con lo sguardo, mi trovò, si avvicinò e confuso e infelice mi disse: “Ma 'sto Johnny Depp dei poveri proprio qua doveva venì oggi?” e poi “Te nun dovevi andà a prende il disco dei Giardini di Marzo?”. Nelle mie orecchie quella sgraziata confusione con la canzone di Battisti coincise con la sensazione di poter avere Rise and Fall of Academic Drifting finalmente tra le mani. “Incredibile quanto sono sfigato! Senti, ti ci porto io!”. Ricordo la gioia della finta aplomb che mi trattenne dal dire di spingere sull'acceleratore per non trovare chiuso. Ricordo come spiccava quella veste grafica arancione sulle mensole blu della vetrina. Ricordo quel primo ascolto in macchina di quello che è il monumento insuperato del post-rock in Italia.video frame placeholder

Con il mio amico Roberto, nel pieno dello sconforto, che mugugna “Che merda!” e alza il volume dello stereo come abbassare il volume dei suoi pensieri mentre io, inconsapevolmente, pensavo che quello sia uno dei punti migliori di ciò che oggi chiamiamo indie e che forse per la prima volta in assoluto nei miei ascolti guardava al di fuori degli angusti confini italiani a testa alta, senza alcun tipo di sudditanza ma da comprimari. Da quel giorno, i dischi dei Giardini di Mirò sono entrati nella élite di quei pochi per i quali non ho mai aspettato troppo per farne mia una copia. A prescindere poi dalla riuscita o meno del disco. Perché non si sa mai. Perché non sempre si palesa la fortuna per cui un Cancro entra in Leone scombinando la congiunzione astrale tra un Roberto e una Elisabetta. E anche perché è un filo brutto augurarselo.

Ieri, quando i Giardini (che nel 2021 erano usciti con un ultimo singolo) hanno scritto a mezzo social la loro volontà di prendersi una pausa a tempo indeterminato hanno usato a un certo punto queste parole: “Ora, mentre decidiamo di sospendere le attività (sì, lo stiamo facendo sul serio), ci sembra che, a quanto pare, qualcosa di bello lo abbiamo fatto. Non solo per le nostre vite, ma anche, incredibilmente, per quelle persone che ci han seguito ai concerti, ci hanno fatto sentire la loro presenza, fatto foto, scritto recensioni e, naturalmente, comprato valanghe di dischi”. Anche se la parola “scioglimento” non viene mai pronunciata, e già mentre leggevo la mia speranza batteva qualsiasi fatalismo, al netto del periodo di costanti reunion che siamo abituati a vivere, l'idea è che sia uno stop definitivo.

“Per quanto è per sempre?”, disse  Alice. E il Bianconiglio rispose: “A volte, solo un secondo”. Per ora ci restano soltanto i bei ricordi. Che non è poco.

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L'articolo Giardini di Mirò: proveremo a farci bastare i bei ricordi di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-11-25 11:22:00

Tag: post-rock

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