“The rock 'n'roll was the altar, the guys who did it were the gods and their women were the sublime priestesses.” (Pamela Des Barres)
"Se non hai groupie intorno, vuol dire che non stai facendo sul serio." (Frank Zappa)
Quando nel 1965 Pamela Ann Miller raggiunge il lussuoso Ambassador Hotel di Los Angeles, accompagnata dall’amico Don Glen Vliet, ha diciassette anni. Ad aprire la porta della camera a cui i due bussano, un giovane completamente nudo: il ragazzo che li accoglie risponde al nome di Micheal Phillip “Mick” Jagger, ha ventidue anni ed è il leader della rock band che sta travolgendo il mondo. Se l’intimidita Pamela riesce a trovarsi lì è grazie a Don, conosciuto grazie a un amico in comune e meglio noto nell’ambiente musicale come Captain Beefheart. Ma come consacrerà la sua vita alla frequentazione dei backstage (e dei letti) delle più sfolgoranti stelle del rock –da Jim Morrison a Keith Moon, da Noel Redding a Chris Hillman- è tutta un’altra storia.
(Pamela Des Barres e Alice Cooper)
Una storia che si snoda lungo la Sunset Strip attraversando gli Stati Uniti dalla west alla east coast, invade i camerini dei musicisti del Regno Unito e risuona in echi sgargianti nella moda e nel lifestyle, perché le groupie furono parte imprescindibile del contesto musicale tra ’60 e ’80, ma la loro influenza si propagò ben al di là dei confini della musica. Per la californiana Miss Pamela, oggi più nota come Pamela Des Barres, la folgorazione musicale avviene durante le prove a pochi isolati da casa di una band locale, i Rainbow Rockers. È un primo contatto con la ruvida e attraente patina del rock'n'roll comune a gran parte delle supergroupie nate a cavallo tra ’40 e ’50, ragazze innamorate della musica e dei musicisti che la creavano, fortemente desiderose di sentirsi il più possibile parte di quell’universo sfrenato e pullulante che all’epoca stava attraversando la sua golden age e che difficilmente apriva le sue porte alle donne come artiste e musiciste. Infatti, almeno per quanto riguarda i primi giorni del rock'n'roll, diventare groupie era spesso l'unica alternativa per le donne che volessero partecipare, in qualche modo, alla creazione e alla diffusione della musica che amavano.
Coniato dalla stampa intorno alla metà degli anni ’60 e definitivamente consacrato da Rolling Stone nel febbraio 1969, quando la rivista dedicò alle ragazze del rock uno speciale correlato dagli scatti del grande fotografo Baron Wolman, il termine groupie definiva l’entourage prevalentemente (ma non solo) femminile che ruotava intorno ai membri dei gruppi rock del tempo, assecondandone le abitudini sfrenate e cercandone le attenzioni sessuali.
(Le GTOs agli A&M Studios di Los Angeles, 1968. © Baron Wolman per Rolling Stone, febbraio 1969)
È chiaro che di ragazze che attorniavano i musicisti ne esistevano anche prima che a tale fenomeno fosse dato un nome. Ma la rivoluzione culturale degli anni '60 e la nascita dei grandi gruppi rock gettarono le basi per la creazione di contesti del tutto nuovi: sui palcoscenici emergevano figure selvagge e magnetiche che suonavano qualcosa di mai sentito prima, recependo ed elaborando un senso di illimitata libertà a cui davano voce con gestualità carismatica, imponendosi nell’immaginario degli ascoltatori e di fatto entrando a passi larghissimi e trionfali nell’impero delle divinità del rock. In questo senso, le groupie furono un fenomeno illuminato di riflesso dall’esplosione luminosa di personalità di culto che loro stesse adoravano in prima persona, spinte da una viscerale passione nei confronti della musica e del mondo a cui essa apparteneva.
(Chris O' Dell e Keith Richards)
Spesso si trattava di ragazze provenienti dalla moda, come la baby groupie Lori Maddox, avvicinatasi al mondo della musica appena quattordicenne e nota per le sue relazioni con David Bowie e Jimmy Page, o la bellissima Catherine James, modella ribelle della east coast legata a Bob Dylan e in seguito coinvolta nella Factory newyorkese di Andy Warhol (come visibile anche in questo breve video).
(Jimmy Page e Lori Maddox. © Michael Ochs Archives/ Getty Images)
In altri casi si trattava di personaggi legati a loro volta alla musica e all’arte, come Cynthia Plaster Caster – amante anche di Eddie Van Halen, diventata famosa per i calchi in gesso degli attributi dei musicisti, tra cui quello di Jimi Hendrix, realizzati su idea di Frank Zappa (“He recognized the humor as well as an art form”)-, Claudia Lennear, legata tra gli altri a Bowie e Jagger e in seguito corista di Eric Clepton, George Harrison e Bob Dylan, o Susan Janet Ballion, cantante più nota con il nome d’arte Siouxsie Sioux, al seguito dei Sex Pistols prima di proseguire la propria carriera con il progetto Siouxsie and the Banshees.
(Un breve estratto dall'intervista ai Sex Pistols al Today Show di Bill Grundy, quando la band inglese diede scandalo per il linguaggio osceno usato in diretta in risposta alle provocazioni del conduttore. Siouxsie Sioux è visibile in piedi, sull'estrema destra)
E poi l’attrice Tura Satana che, prima di diventare icona dell’exploitation con “Faster, Pussycat! Kill! Kill!”, insegnò a Elvis Presley il famoso movimento pelvico che caratterizzerà gli indimenticabili balli del King; la “ultimate insider in rock-music circles” Chris O’ Dell, supergroupie irrequieta e dalla tempra autodistruttiva, in grado di impressionare persino Keith Richards per quantità di droghe assunte, coinvolta nei cori di “Hey Jude”, presente all’ultima performance dei Beatles sul tetto della Apple (in cui lei stessa lavorò, diventando anche assistente personale di George Harrison), al tour di reunion di Crosby, Stills, Nash & Young nel ’74 e alle registrazioni di “Exile on Main St.” degli Stones; l’affamata “Sweet Connie” Hamzy di Little Rock, Arkansas, al seguito di Eagles e Who; la baby groupie del glam rock Sable Starr, bambolina di Alice Cooper, Bowie e Iggy Pop. E poi Bebe Buell, legata a Steven Tyler, Rod Stewart e Mick Jagger, e ancora Michele Overman e Cassandra Peterson, fino ad arrivare alla controversa Nancy Spungen e alla sua celeberrima quanto insana relazione con Sid Vicious.
(Bebe Buell e Steven Tyler)
Dall'essere fisicamente presenti nei camerini e nei jet delle rockstar a finire all'interno delle loro canzoni il passo era breve e inevitabile: solo per citarne alcune, Cynthia Plaster Castle ricevette l'omonimo tributo dei Kiss nel 1977, mentre a una Rosie a lungo cercata (ma la cui identità non fu mai definita con chiarezza) si rivolge il pezzo "Whole Lotta Rosie" (1977) degli AC/DC. Chris O' Dell è l'inequivocabile ispiratrice di "Miss O' Dell" (1973) di George Harrison, Connie Hamzy quella di "We're an American band" dei Grand Funk Railroad e Claudia Lennear il riferimento di "Lady Grinning Soul" (1973) di David Bowie e di "Brown Sugar" (1971) dei Rolling Stones, che al lussurioso mondo delle groupie dedicarono anche la volgarissima ed esplicita "Star Star" (1973). All'argomento, i Led Zeppelin fecero probabilmente riferimento in "Going To California" (1971), mentre i Pink Floyd ne cantarono qualche anno più tardi nella magnifica "Young Lust" (1979).
"Plaster Castle"- Kiss (1987)
The plaster's gettin' harder and my love is perfection/ A token of my love for her collection, her collection.
"Star Star" (originariamente "Starfucker")- The Rolling Stones (1973)
Honey, I miss your two tone kisses/ Legs wrapped around me tight/ If I ever get back to New York, girl/ Gonna make you scream all night.
Ad eccezione di coloro che già muovevano i propri personali passi sulle vie della musica, le groupie non diedero alcun contributo alle produzioni musicali dell’epoca, con l’unica (dimenticabile) eccezione del progetto GTOs (Girls Together Outrageously), creato da Frank Zappa assemblando sei famose groupie del tempo e scioltosi ad un mese di distanza dall’unica uscita discografica, "Permanent Damage" (se ci tenete, potete ascoltarlo qui).
Decisamente diverso fu invece l’influsso delle ladies del backstage sul piano della moda e dell’estetica: consce di muoversi all’interno di uno spettacolare mondo di apparenze, terribilmente stuzzicate dalla possibilità di far parlare di sé, le miss del rock erano perfettamente consapevoli di dover partecipare attivamente ad un gioco sospeso tra seduzioni suggerite ed esplicite provocazioni, e non è un caso che buona parte degli scatti che le ritraggono si trovino oggi in siti di moda che ne celebrano il ruolo di ispiratrici e consigliere di stile dei rocker e le mise esagerate e trasgressive, tra velluti e pizzi, scarpe maschili e sgargianti boa piumati, trucchi studiatissimi e capi mescolati in modo eclettico e capriccioso, in una continua infrazione delle regole che contribuì in modo fondamentale alla nascita del look rock vintage.
Così il fotografo Baron Wolman in riferimento alle session fotografiche per Rolling Stone: "Notai subito che queste ragazze erano incredibilmente creative. Passavano molto tempo a ideare il loro abbigliamento, mischiavano abiti moderni e quelli trovati nei negozi vintage, per creare una visione. Non erano mezze nude per ottenere le attenzioni degli uomini, si agghindavano per mettere in piedi uno spettacolo.".
(Le gemelle Sanchez in uno scatto di Baron Wolman pubblicato all'interno dello speciale dedicato alle groupie i Rolling Stone di febbraio 1969. © Baron Wolman)
(Karen Seltenrich in uno scatto di Baron Wolman pubblicato all'interno dello speciale dedicato alle groupie di Rolling Stone di febbraio 1969. © Baron Wolman)
Quello tra groupie e rockstar è descritto dalle prime come un rapporto consapevole e simbiotico: le ragazze del rock desideravano ardentemente potersi avvicinare ai fautori di una musica che amavano alla follia, ma nella prospettiva opposta anche i musicisti potevano trovare in questi rapporti divertimento, un conforto empatico e sincero e soprattutto un contributo determinante per consolidare l’alone irriverente e sfrenato che accompagnava, e un po’ doveva accompagnare, l’immagine della rock star. È chiaro che questo dare-avere, misurato in termini di prestigio e di conquista sia emotiva che sociale, era possibile solo a chi fosse davvero immerso nell'universo musicale del tempo al punto da poterne reggere non solo le amplificazioni più luminose (“Being taken on the road, staying in really cool places”) ma anche le abitudini sballate e distorte, i ritmi frenetici dello show biz e le immancabili bugie: celebre in questo senso l’affascinante Jimmy Page, che a ognuna delle sue conquiste prometteva di portarla a casa a Pangbourne a –sic- “guardare i pavoni dalla finestra del mio giardino”.
(I Rolling Stones alla Stephen Stills House durante la preparazione di un tour, 1969)
Lungi dall’essere una realtà facilmente assorbibile, le groupie costituirono sempre un fenomeno scandaloso e disturbante. Da un lato, soprattutto dopo l’uscita dello speciale su Rolling Stone, scatenarono all’epoca l’aperta disapprovazione dei movimenti femministi, che nell’ostentata ricerca sessuale di quelle che apparivano come “prostitute sottomesse” faticavano a riconoscere il “libero e pacifico scambio di intimità e ispirazione” di cui le Miss si dichiaravano portabandiera; dall’altro, non poterono che muovere le scandalizzate riserve dei lettori della rivista a causa della giovanissima età di molte delle protagoniste, in molti casi ancora minorenni.
La risposta fu sempre univoca e continua ad essere riproposta da coloro che più sono state capaci, non senza un ottimo intuito imprenditoriale, di raccogliere e raccontare la propria scatenata giovinezza al seguito dei grandi nomi del rock: le groupie “erano scelte ma a loro volta sceglievano” e volevano essere esattamente nei letti in cui si infilavano, forti abbastanza per condurre la propria vita esattamente come desideravano, liberissime di prendere parte come no al gioco decadente consumato tra le suite degli hotel più lussuosi e i dietro le quinte delle più gigantesche arene. Restituendo attraverso il proprio corpo il piacere e l’estasi donati dalla musica e realizzando così, anche così, una piena comunione, in un totale e spontaneo donarsi. Dandosi interamente, con tutta l’anima -in risposta ad un senso intimo e profondo che non si sa spiegare, e che forse non ha neanche tanto senso motivare- ad una graffiante quanto bellissima astrazione.
[Per approfondire l'argomento, trovate qui il documentario integrale della VH1 "Let’s Spend the Night Together: Confessions of Rock’s Greatest Groupies", realizzato da Pamela Des Barres]
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L'articolo Come le groupie hanno cambiato il volto della musica rock di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2016-01-29 11:03:00
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