Immaginiamo di poter viaggiare nel tempo, più precisamente in un passato remoto. Scemato il gasamento iniziale, arriverebbe il momento della consapevolezza di quante cose diamo per scontate. Tecniche e oggetti che utilizziamo tranquillamente e di cui magari conosciamo anche il funzionamento (in teoria), ma che non riusciremmo mai a costruire da zero o peggio ancora a spiegarne le basi a qualcuno che non ne abbia la minima idea: ci ritroveremmo come Troisi e Benigni che provano invano a illustrare a Leonardo da Vinci il termometro e il gioco della scopa.
È così in tutti i campi dell'esistenza, compresa la musica. Per esempio: per quanto possiamo essere digiuni di studi specifici, tutti quanti sappiamo cos'è un pentagramma e cosa indicano forma e posizione delle note. È una delle cose che diamo per scontate, così come ci sembra naturale il fatto di poter leggere una musica e capire come dovrà suonare senza averla mai ascoltata prima.
Immaginate però di tornare indietro nel tempo, quando la musica era solo nell'aria e mai su di un foglio: ci è voluto un grande sforzo creativo di una mente fervida per immaginare una tale rivoluzione. Nello specifico, il rivoluzionario che dobbiamo ringraziare per il moderno sistema di notazione, senza il quale la musica che ascoltiamo nemmeno esisterebbe, è Guido Monaco, conosciuto anche come Guido D'Arezzo.
(Il sistema mnemonico inventato da Guido Monaco per ricordare le note)
Ci troviamo, come ben si intuisce dal nome, intorno all'anno mille. Guido è un monaco benedettino e insegnante di musica. Come vuole quella che è quasi una norma, l'invenzione che può ben essere definita “del millennio”, arriva dalla pratica e dall'osservazione quotidiana di una difficoltà. In questo caso, da un insegnamento che fino ad allora era basato quasi esclusivamente sull'oralità.
Prima di lui, infatti, qualche tentativo di scrittura musicale era stato fatto: con un sistema di lettere indicanti le note scritte sopra le sillabe da cantare, poi con dei segni che indicavano approssimativamente l'alzarsi e abbassarsi della melodia, e ancora con un'unica linea dove in base a una nota di riferimento veniva indicato quando la melodia andava in alto (sopra la linea) e in basso (sotto).
Se sembrano sistemi imprecisi, poco pratici, limitanti e limitati, be' lo sono. È quello che pensa anche Guido D'Arezzo mentre insegna canti gregoriani ai monaci dell'abbazia di Pomposa e poi della cattedrale di Arezzo. È qui che ha modo di sperimentare il suo nuovo metodo di insegnamento e gettare le basi per la musica scritta che conosciamo oggi, a partire dai nomi delle note: per denotare i suoni, Guido usava le prime sillabe dei versi dell'inno a san Giovanni Battista di Paolo Diacono, e cioè “Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si” (L'Ut viene sostituito con il Do qualche secolo dopo da Giovanni Battista Doni). Oltre a questo, introduce l'uso del tetragramma, diretto precursore del nostro pentagramma, quattro linee per indicare l'altezza delle note a seconda del loro posizionamento, in modo, ovviamente, più preciso rispetto al rigo unico.
Come spesso accade quando si introducono innovazioni epocali, l'intuizione di Guido D'Arezzo gli porta gloria ma anche avversità: se infatti Papa Giovanni XIX resta colpito favorevolmente, al punto da invitarlo a Roma per farsi illustrare di persona i suoi metodi, il mondo delle abbazie rimane sospettoso per qualche tempo, probabilmente temendo di vedere ridimensionato lo status di conoscenza elitaria, per iniziati, che aveva ai tempi la musica “colta”. Cosa che in effetti accade, ed è per questo che si può definire l'innovazione di cui stiamo parlando anche, in un certo senso, politica: un po' come accadrà anche con la stampa qualche tempo dopo, si trattava di liberare una conoscenza fino a quel momento appannaggio di pochi privilegiati, di offrire a tutti la possibilità di imparare, e riprodurre, qualcosa che prima poteva venir tramandato solo oralmente, all'interno di un ambiente chiuso come appunto quello della chiesa.
Nonostante gli scontenti e i conservatori che ci sono e sempre ci saranno, è certo che dalle rivoluzioni non si torna indietro, e così è stato anche per la musica: negli anni sono arrivati il pentagramma, il Do e nuovi simboli, il sistema di scrittura è stato perfezionato, è arrivata infine la riproducibilità, ma se bisogna indicare un momento in cui si può dire che la musica è diventata davvero per tutti, è stato quando un monaco di Arezzo ha deciso che era ora che chiunque potesse impararla, dove e quando voleva.
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L'articolo Guido d'Arezzo e l'invenzione che ha cambiato per sempre la musica di Letizia Bognanni è apparso su Rockit.it il 2016-11-21 11:36:00
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