A scorrere la scaletta lasciata a lato del palco a fine serata in apparenza non sembrano esserci grandi novità. E' un concerto dei padovani Halley DNA proprio come come li avevamo lasciati qualche anno fa. Un'ora scarsa, qualcuno dice pure meno di cinquanta minuti ma, si sa, quando ci si diverte il tempo sembra volare. Quarantacinque minuti divisi tra una Ethio avviata dagli urli ritmati di Marco, una Afro tosta e diluita quel giusto per lasciare micro-spazi solistici a tutti, una Lizard che accende gli animi degli astanti in un attimo solo, oltre alle immancabili Uomini & Politica e FU2 che avevano già convinto il pubblico tre o quattro anni fa.
Anche la formazione non è cambiata d'una virgola: oltre i due Red Worms Farm Marco Martin alla chitarra baritono e voce e Matteo Di Lucca dietro le pelli, i fidi Renato Benin del oramai culto archeologico pre-screamo Gruppo Trasversale (a.D. 1993, per qualcuno un po' come dire il Paleozoico) e Alessio Zago: alla Gibson sulla sinistra del palco il primo e alla Hagstrom sulla destra del palco il secondo. Insomma, nessuna grandissima sorpresa, fatta salva l'estrema concentrazione messa in mostra dall'intero uditorio a digiuno da troppo tempo di chitarre elettriche e l'ottima resa artistica della band in questione. Dietro però c'è una bella storia, comune e diversa in tanti altri luoghi in questo periodo.
A inventarsi il concerto che si tiene in forma gratuita all'interno del parco Milcovich a Padova, un po' come un tempo avrebbero fatto i Fugazi da qualche parte nell'area di Washington DC, ci son i ragazzi di Dischi Sotterranei. Un collettivo assai sveglio, innamorato della musica, con un sogno, trasformare la scena alternativa veneto-padovana in una valida alternativa a quella emiliano-bolognese o, perché no, quella milanese o romana (e in quasi dieci anni di attività c'è pure riuscita: basta vedere i responsi di fine anno). Dischi Sotterranei decide così di superare anche il gap anagrafico-culturale che di solito inchioda le nuove etichette al giovane o tutt'al più al giovanilistico e inizia a mettere nel loro roster “matusa” (se li paragoniamo ai Post-Nebbia...) come i Non Voglio Che Clara, fino ad arrivare - in tempi recenti - appunto agli Halley DNA. Badate bene che non è cosa da poco. Il 2021 per l'Italia non è un anno come gli altri: da un lato lo strombazzato finto ritorno del rock grazie ai successi musical-televisivi dei Måneskin è ancora caldo; dall'altro l'odore della trap più dozzinale non accenna mi pare a diminuire; al centro, i cadaveri del fake-indie e del it-pop che, alla fine, si sono ammazzati a vicenda.
Ecco che allora far fare un nuovo disco (Futurismo & Fastidio, 2021, per ora solo in MP3 con poster in omaggio ma presto in vinile) a gentaglia come gli Halley DNA è un chiaro segnale a chi è in grado di capirlo. Un trattino d'unione con un dato passato e un dato preciso modo di concepire la musica e suonare, con filosofia Dischord Records (“Ma senza le pippe religiose dell’attitudine straight edge”, precisano i DNA) nella testa e attitudine Do It nelle tasche. Cose che possono risuonare molto anni '90 oggi ma che invece potrebbero aiutare molte nuove leve a riprendere un giusto approccio all'intera faccenda. Insieme a un'attitudine più volta alla sostanza che al mero esibizionismo. Personalmente ho sempre pensato che la musica sia in grado di ridurre i problemi, di spiegarli con modi semplici, inducendo all'analisi oltre che al confronto d'idee.
Le nuove tracce presentate dal vivo dagli Halley DNA sono un piccolo vademecum su ciò che bisognerebbe ripassare del rock (alternative, punk, garage, date voi la definizione). Murder, primo singolo posto in apertura, e Clean Break, aggraziate e pesanti quanto la mascolinità tossica contro cui il quartetto si scaglia e che può ricordare da vicino Battles e The Rapture, ma decide poi di fare di testa propria; Kyno Eyes, indecisa fino all'ultimo se essere un malinconico art-punk o un urlo feroce e percussivo, Damn Prudence si complica di armonie vocali febbrili e spigolose, e Futurismo & Fastidio porta la composizione in territori post-hc, chiudendo l'assaggio di quelle che sono le dodici canzoni contenute nel disco. Tutto in un boccone più un bis buttato là veloce, visto che tra sopra e sotto il palco sembrano esserci piccoli problemi di memoria su come di chiede e concede un bis: Morning Love è la traccia che da modo agli Halley di rievocare lo stile “blues” d'epoca Jon Spencer.
Ecco, tra i vari skills di cui prendere nota è che i DNA si fanno bastare la scrittura, non c'è accessorio ulteriore a rinforzare i pezzi. Ed è incredibile che (almeno) a loro venga così facile. Lunga vita, quindi, e chi li ama li segua.
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L'articolo Una notte underground a Padova con gli Halley DNA di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2021-07-02 12:16:00
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