L'Handmade festival giunge alla quinta edizione. La ricetta resta la stessa: il primo maggio, in una cascina nel bel mezzo della compagna reggiana, molti dei migliori nomi della musica italiana suonano per un concerto gratuito. I prezzi sono popolari, il clima è rilassato, si sta bene. Un piccolo/grande evento, di quelli da tenere d'occhio. Sandro Giorello racconta.
Non è facile: ripeterei quanto detto l'anno scorso e in sostanza direi, semplicemente, che di feste come l'Handmade ce ne vorrebbero di più, che sono cose importanti, che fanno bene a tutti [per ritrovare un modo (sano, personale, tagliato su misura) di vivere/valorizzare la musica, per conoscere persone e asciugarle a forza di chiacchiere, per festeggiare insieme una data su cui è utile domandarsi (e ce lo domandavano io e Fiz nel lungo viaggio Milano-Guastalla) che spazio abbia ancora nel sentire comune (oggi, il primo maggio)]. Però, a costo di ripetersi, lasciate che vi racconti questo Handmade #5.
Per onestà: non vi descrivo i live. Il cast era formidabile: nonostante le defezioni di Young Wrist e Altro, c'erano solo nomi interessanti, nessun tappabuchi. Ma chiacchierare fa venir sete: alle cinque ero già al terzo mojito, il quarto l'ho bevuto verso le sei. Alle nove eravamo di ritorno verso casa perdendoci le ultime band. Non ho visto tutti i gruppi e pochi dall'inizio alla fine. Ma, abbiate pazienza, facciamo finta per un attimo che la musica non sia la componente principale dell'Handmade. Diciamo che è stato più un'insieme di fattori.
Possibile elenco di fattori: il sole, l'aria pulita, l'essere in un piccolo fazzoletto di terra con attorno solo campi coltivati, o vedere tutti questi bambini che razzolavano vicino ai genitori (molti di più dell'anno scorso, e a me i bambini mettono calma), le belle ragazze. Tanta, tanta, gente e non erano nemmeno ancora partiti i concerti. In parecchi me l'hanno fatto notare: la prima è stata Simona dei Perris, che ad un certo punto della conversazione si corregge cambiando la parola Festa in Festival, come se, vista l'affluenza, fosse d'obbligo dire così. Durante gli A Classic Education quasi non si riusciva ad arrivare sotto palco. Dopo di loro ho abbandonato l'idea di seguire i concerti: era ora di cena, mangiavo una pizza e ad un certo punto c'è stata un specie di esplosione e qualcuno mi ha detto "hanno cominciato i Cut". Questo per spiegarvi come tutto, ormai, fosse fluido: la musica entrava e usciva, la testa si alleggeriva, sorridevi (quello vicino a te faceva lo stesso). E non eravamo in vacanza in una metropoli europea a gustarci l'ennesimo festival "serio": eravamo sperduti nella campagna reggiana, un primo maggio qualsiasi, e quello che mi ha fatto il panino con la salciccia non aveva l'aria di un cuoco professionista (il panino era buono però). A volte basta poco.
(Nelle Foto: Be Forest, A Classic Education, Cut, Quakers & Mormons. Scatti di G. Fonseca)
E in molti già si preoccupavano del futuro: cosa succede alla cose piccole e ben curate quando diventano giganti? Dove starà tutta la gente? Come faremo a godercela se per prendere un cocktail devi fare un'ora di coda? Semplicemente: si cresce. Qui si vede la bravura di chi organizza, una maniera la troveranno di sicuro.
E' stata una festa (festa o festival, rinuncio alle definizioni) fantastica. Meglio ancora dell'anno scorso. Vi racconto solo più questo: era ora di ritornare a casa, camminavamo verso la macchina e Fiz si gira indietro un momento e mi fa "Ma guarda che bello". Ed era vero: la cascina era completamente illuminata di rosso, c'erano le lampadine appese ai fili tipo sagra di paese (che per inciso non le vedo più nemmeno alle sagre del mio paese), e dai divani sparsi nel prato arrivava un vociare che quasi copriva il volume degli Smart Cops.
E sinceramente: immagini del genere sono rare. A mio parere: è tutto merito di chi ci ha creduto cinque anni fa, ha lavorato duro (investendo sul territorio, non pensando solo ai soldi, mettendoci il proprio gusto) ora raccoglie ciò che si merita. La gente è arrivata con la certezza che sarebbe rimasta contenta. Clima rilassato autoalimentato e in crescita esponenziale. A quel punto le band formidabili, l'ubriacarsi, la location super figa diventano un contorno: si sta bene, ci sei tu e quello/quella che ride davanti a te, il resto ti scivola addosso accompagnato dall'alcool, guardi l'orologio ed è già ora di andartene. Ce ne vorrebbero di più di feste così, sono cose importanti, fanno bene a tutti.
La foto in testa è di Ebe Babini
---
L'articolo Handmade Festival #5 - Guastalla (RE) di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2011-05-01 00:00:00
COMMENTI (3)
ma che bello e che voglia di farci un salto :)
Si, sempre ottimo lavoro!
Complimenti!
... e grandi CUT!
come fai a non tornarci l'anno prossimo??
Miracolo a Guastalla!!