Gli hardcore junkie della Capitale

Un supergruppo nato dalle scene più radicali (e con il culto per MF DOOM) sta scuotendo Roma e punta al resto d'Italia: sono i Feldspar, il cui disco d'esordio "Old City, New Ruins" arriva il 30/9. Ce lo raccontano in anteprima, assieme al perché all'hc non si può mai rinunciare

I Feldspar
I Feldspar
23/09/2024 - 11:50 Scritto da giorgiomoltisanti

Già il posto, non giriamoci attorno, non è dei migliori. Di sicuro non è alla mano per chi fa musica rumorosa. In un Paese come il nostro, dalla tradizione melodica ingombrante come una montagna. Vi basti, per esempio, considerare il nome di una rivista (Rumore) come indice della peculiarità. Come dire: “Attenzione! Qui c'è del rumore!”, per il vostro interesse o  la vostra salvezza. Eppure, pensando agli albori del punk, a Inascoltable degli Skiantos (1977) e all'omonimo dei Gaznevada (1979) e, poi, a tutto il dilagare del movimento fino al 1989, con le pietre miliari di Raw Power e Negazione, oramai storicizzato in lungo e in largo, non sarebbe poi così tanto azzardato vedere lo Stivale come una enclave (insieme a Inghilterra e Stati Uniti) dello sviluppo del genere rumoroso per eccellenza. Più di Francia e Germania, sicuramente. Soprattutto per il monolitico spin-off dei '90 che ne ha confermato l'enorme potenziale non soltanto artistico, ma anche sociale e divulgativo.

Eppure. Eppure, come detto, il Bel Paese, con la sua Bella mentalità votata al Bel canto, è sempre stato un inevitabile ostacolo. E quando non lo è stato, poi, quando le voci di tutte le "Divine" e le malinconie pop dei cantanti di Latina o Frosinone non sono stati contraltari insormontabili (ossia quasi sempre), ad auto-sabotarci c'abbiamo pensato noi stessi. Perché, come diceva Guy Picciotto dei Fugazi in una storica intervista di oramai trenta e rotti anni fa: "Quando le cose ci vanno bene cominciamo a sentire del disagio, come quando nell'hardcore ogni cosa iniziò a essere ritualizzata, perdendo ogni potenza e potere: solo persone convinte che la questione fosse indossare determinati vestiti e avere un determinato atteggiamento, creando una normalizzazione che a noi non piace".

Feldspar
Feldspar

In questo contesto, non stupisce se all'arrivo di un nuovo gruppo degno di attenzione e interesse, segua sempre uno strano miscuglio di entusiasmi e di perplessità. Sorte che non sta toccando i Feldspar o non in modo ingombrante. Grazie a dio o chi per lui. Visto che i Feldspar hanno già insaccato tre o quattro reti di quelle per cui andrebbero solo ringraziati. Riportare il “gioco” nella Capitale, dopo un po' di tempo (il che non vuol dire tifare una regione piuttosto che un'altra, semmai avere una cartina più ricca e particolareggiata); portare con sé due o tre collaborazioni di prestigio; contribuire - senza perdere il bagaglio storico - all'ulteriore ampliamento stilistico di un genere che, specie all'estero, è  onnicomprensivo oramai da anni.

Il tutto al debutto, Old City, New Ruins, a fine mese su Time To Kill e candidato adesso a diventare uno spartiacque nel nostro mondo di vedere e intendere il punk in Italia. Ovviamente chi bazzica nell'underground nostrano sa già abbastanza del curriculum vitae della band romana, ma, nell'eventualità che a leggerci ci siano nuovi adepti, e anche per scongiurare ogni dietrologia, Riccardo Zamurri, voce dei Feldspar in coppia con Anna Pasolini, precisa fin dal principio (mettetevi comodi) che: “Feldspar è un gruppo di persone che si conoscono da una vita. Abbiamo tutti militato nelle scene musicali e non solo più radicali. Alcuni dei progetti del passato e del presente di alcuni di noi sono i Growing Concern di Andrew, icone del HC romano, e gli Undertakers, i Crude, i Volume... Ma Stefano (Casanica, qui alla chitarra, ndr), come produttore, ha realizzato Non dormire di Noyz Narcos, un disco culto della scena rap nazionale”.

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Lo sento parlare e seguo ipnotizzato le sue coordinate che le conosco bene, ma avendo superato i quarantacinque, la domanda viene da sé: dopo tutti questi anni ha ancora senso fare hardcore? Una risposta la si può trovare nel titolo (Old City, New Ruins, appunto) e qui e lì dalle tracce e quella di apertura (What Make Us Stay) in particolare. Ma se, in un azzardato parallelismo politico, pure le BR a un certo punto hanno capito che non stavano arrivando da nessuna parte e si son sciolte, non è pretenzioso credere ancora nel 2024 che sarà l'hardcore a scardinare qualcosa nel Sistema? Riccardo mi segue nella mia crisi di mezza età e pazientemente risponde: “Il senso per noi è portare all’attenzione a tematiche stringenti e contemporanee. Non ci interessa ripetere slogan stanchi e anti-storici, anzi nasciamo proprio per fare il contrario. Quindi ci interroghiamo, non senza sottolineare le infinite contraddizioni in cui noi per primi cadiamo, sul work/life balance, sul clima, sul ritorno dei valori di Patria, Dio, e Famiglia, sui meccanismi del capitalismo della vigilanza. Riflettiamo sul riarmo che cresce dopo decenni. Poi c'è il nostro tributo ai nuovi movimenti culturali che lottano per porre attenzione su questi temi. A tutto questo ci mescoliamo le nostre esperienze individuali e le nostre emozioni. Tanto ci basta per portare avanti la band con entusiasmo e disciplina!”.

Old City, New Ruins in effetti si sviluppa, un episodio dopo l'altro, motivato dal bisogno di esprimere rabbia e frustrazione, ma anche dei rimedi ad esse. Allora mi/gli chiedo se hanno sviluppato in questi anni un discorso di auto-consapevolezza secondo cui la dialettica preponderante è a senso unico (band > fan), inteso proprio come rivolta al singolo individuo, che non pretende o non pretende più l'ampio respiro comunitario che ci fu a Washington  D.C. o a Boston nei primi anni '80 e magari qui da noi a Torino. “In questo senso ci auguriamo che le esperienze di rinascita delle scene che invece stiamo vedendo in alcune città in America/Inghilterra possa dar vita, come già in passato, a una crescita anche da noi. Che tra l'altro intravediamo! Faccio riferimento a L.A., Portland e Baltimore in America, Londra e la Scozia nel Regno Unito e a Roma, Veneto, Milano in Italia”.

Feldspar
Feldspar

Visto che di peli sulla lingua - vi dovrebbe essere oramai chiaro - non ne ho mai avuti, gli faccio allora presente che il forte senso identitario che si respira nel disco e nei relativi videoclip non è passato inosservato e questa “romanità” esibita a più livelli ha già dato adito a rotture di cazzo che metà basta - da parte soprattutto di chi vive il punk a squadre (RMHC, CEHC, PVHC, TOHC, eccetera) e ha iniziato a sparare ogni tipo di banalità. Riccardo replica candido, esprimendo con poche parole l'amore per la forza collettiva, espresso musicalmente attraverso una qualità corale già in sé che non ha tempo per distrazioni: “Guarda, siamo i primi detrattori di Roma, quando occorre, ma la usiamo come un simbolo per raccontare alcuni Tic occidentali contemporanei. Però amiamo alcune comunità che lavorano sodo per costruire spazi di socialità e passioni condivise. Non ci curiamo di banalità e di quelle stupide in special modo perché noi tutti siamo in prima linea più per il supporto reciproco”.

Se c'è del lavoro sodo da plaudire, e sicuramente sarà fatto, quello dei Feldspar va evidenziato con un bel tratto di penna, visto che dall'esterno sembrano una macchina da guerra: arrivata al debutto con una professionalità, una visione d'insieme e un tiro che, a conti fatti, non si vede neanche nomi assai più vezzeggiati. “Diciamo che proviamo a darci un’organizzazione e ci dividiamo i compiti  diligentemente. Credo che molto lo si debba anche alle esperienze accumulate in professioni e settori adiacenti alla musica: riusciamo a essere abbastanza efficaci. Siamo contenti di poter curare con attenzione e personalmente i nostri video, le grafiche e tutta la produzione in genere”.

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Riguardo le collaborazioni con Nick Terry (Stone Roses, Turbonegro) per la produzione e Chris Wilson (Scrowl, Gel) per la copertina e il collettivo napoletano Thru Collected per il video di Dead Friends Still Alive aggiunge: “Con Nick nasce tutto dal nostro amore per un disco, Nattersfeld dei Kvlertak, che Nick ha prodotto nel 2016. Gli abbiamo proposto il progetto Old City, New Ruins e lui, nonostante la leggenda che è, ha deciso di produrlo con grande entusiasmo e partecipazione. Un bellissimo viaggio, anche fisico, nei suoi studi di Oslo, per due volte a novembre e marzo. Poi lui è venuto a Roma, a seguire le registrazioni. Questo rapporto ha dato il risultato che speravamo. Chris invece è parte della scena HC della costa est US, i suoi lavori grafici per Mindforce, Combust ci hanno molto ispirato. Anche lui ha accettato di buon cuore dopo aver sentito la nostra idea perché era intrigato dal costruire un immaginario dei suoi partendo da Roma. I Thru Collected mi sono stati presentati da Brizio di Bomba Dischi, un amico. Ci siamo piaciuti e da lì è nato tutto per il video del singolo”.

Ecco, se anche voi trovate come me sempre meno strano, quando premete il tasto Play per sentire un gruppo inscatolato nella categoria “Hardcore”, sentire un disco mai del tutto “Hardcore”, almeno per come eravamo abituati a intenderlo venti/trenta anni fa (del resto, se neanche Keith Morris lo fa più, un motivo ci sarà), Old City, New Ruins è proprio quello che fa per voi. Nel disco in questione ci son sentori di Life Of Agony con Keith Caputo, di Type O Negative, di Beastie Boys e persino delle litanie di Burzum del periodo "carcere" (e qualcuno le ha paragonate anche a Liberato) oltre che roba vecchia e nuova (Fiddlehead, Comeback Kid tanto, Turnstile prima maniera) della scena.

Feldspar
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Per affinità anagrafica, non faccio fatica a immaginare che abbiano pure loro sentito vagonate di musica, ma quanto questo influenza la nascita di un progetto e dei relativi pezzi o piuttosto lo inficia me lo può dire solo Stefano. “Io personalmente, ma penso di poter parlare a nome di tutti, sono un hardcore junkie, continuo a cercare musica, andare ai concerti, spostarmi per i festival e incontrare gente delle diverse comunità. Nel mio caso, la musica è una linfa che alimenta la voglia di far crescere i Feldspar. Penso però che l’hardcore, in senso largo, sia più vivo e sembra anzi che si stia scrollando di dosso certi dogmatismi. Perciò stanno emergendo realtà come Angel Dust, Gel, Militaire Gun o gli stessi Turnstile che si muovono in territori più ampi pur partendo da una militanza HC. Noi senz’altro ci collochiamo in una posizione dove l’hardcore è attitudine con la quale scriviamo canzoni che però affondano radici e influenze in ambienti musicali molto diversi, come giustamente sottolinei tu. Certo su Burzum avrei da ridire!”.

Quel che dice traspare già dalla copertina, il cui risultato finale sembra un simpatico meltin-pot di MF DOOM e Souls of Black dei Testament ma ambientato a Trastevere. Dopo una grossa risata Stefano precisa: “Il concept è nostro, ci piaceva l’idea di una Roma teatro del conflitto tra forze oscure. Il tutto immaginato da un artista di Philadephia, che vista la sua distanza da Roma ha creato distorsioni visive rispetto alla città che noi siamo abituati a vedere. Nel lavoro di Chris esce l’anima più medievale di Roma. L’effetto è interessantissimo a mio avviso. Il suo “pretaccio” al centro della copertina rimarrà per sempre nei nostri personaggi. Comunque, DOOM o Testament, dovendo ipotizzare un cammeo, la schiacciante maggioranza della band ti direbbe DOOM, compreso me. Testament miti assoluti ma DOOM per noi è un culto”. Dopo l'uscita del disco, il prossimo 30 settembre, i Feldspar faranno date a spasso in Italia e fuori. Quando gli chiedo impaziente del Venezia Hardcore 2025, Stefano mi trattiene: “Per il VEHC credo stiano ancora lavorando alla prossima edizione, se ci chiamano ci siamo al 100%”.

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L'articolo Gli hardcore junkie della Capitale di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-09-23 11:50:00

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