Agosto, musica mia non ti conosco. O meglio: ti vado a vedere dal vivo, ma tra le uscite del venerdì è calma piatta: largo ai tormentoni in ritardo, quasi tutti aspettano settembre per affacciarsi di nuovo alla discografia. In quel quasi c'è una differenza abissale, dato che ieri notte è uscito il nuovo ep dei I Hate My Village, che come al solito scuote e cambia le carte in tavola.
Il ritorno degli I Hate My Village non può che essere un evento: una band con Alberto Ferrari (Verdena, in questo ep eccellente assente ma tornerà dal vivo), Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours), Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion) e Marco Fasolo (Jennifer Gentle) potrebbe non esserlo? Si parla di alcuni tra i musicisti e le teste pensanti più interessanti degli ultimi quindici anni di musica italiana più o meno underground. Quando hanno esordito nel 2019 con un disco e dei live di fuoco tra cui , in molti li hanno definiti afrobeat, sempre in equilibrio tra math rock, sperimentazioni e suggestioni etniche che vengono dal continente africano. Un disco il loro che è piaciuto a chi non vedeva l’ora di disfarsi degli orpelli dell’itpop e ascoltare finalmente gente che suona senza porsi limiti.
Stavolta con l’ep dal titolo Gibbone, spingono ancora di più in là la loro creatività, arrivando a toccare vette di psichedelia decisamente inusuali. Prendete gli 11 minuti e passa della title track: vi perderete nel deserto dei ritmi afro ambient che vi faranno fare un trip niente male, che fa il paio con il rumorismo della conclusiva Hard Disk Surprize: qui la musica da meditazione lascia il passo al noise e il risultato è lo stesso: un gran viaggio mentale. Ami ha una struttura più classica, una melodia nello stile del Mali che rotola felice e fa ballare. Yellowback, che apre questo ep, è il singolo e la canzone più in linea con il vecchio materiale di IHMV: di sicuro dal vivo sarà una gioia da ascoltare e farà muovere anche i culi più pesi sulle sedie. È anche l'unico pezzo in cui c'è la voce, una canzone fatta e finita che può entrare nelle playlist internazionali.
Questa volta la band sfrutta ancora di più i limiti del supporto su cui è registra. Sì perché il registratore a quattro piste che è stato utilizzato, in qualche modo è servito per plasmare la musica, togliendo sovrastrutture e orpelli per prendere una fotografia esatta del processo creativo, scevro da ogni velleità di classifica o orecchiabilità, anche tra il pubblico della vecchia guardia che si aspetta più batterie e chitarre.
Il progetto Gibbone sposta ancora più in alto l'asticella della libertà creativa, della psichedelia sonora, delle radici etniche e del flow in cui abbandonarsi senza chiedersi niente. Potrebbe apparire musica cervellotica ma è il suo esatto contrario, non si perde in passaggi obbligati da rispettare, fluisce libera ed è un piccolo miracolo che esca in piena estate, a contrastare inconsapevolmente quella valanga di prodotti prefabbricati che escono dalla filodiffusione dei centri commerciali o degli stabilimenti balneari. I limiti della tecnologia che si rivelano opportunità, ecco il succo di un lavoro per certi versi anacronistico e quindi ancora più prezioso di questi tempi.
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L'articolo La scimmia dell'estate degli I Hate My Village di Redazione è apparso su Rockit.it il 2021-08-06 14:49:00
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