Gli His Clancyness tornano in Italia dopo il tour europeo, e al Locomotiv di Bologna portano sul palco le loro band preferite del momento: i giovanissimi Own Boo, Havah, e i bolognesi Melampus. Chiara Angius era lì e ci racconta com'è andata, Nik Soric invece ce lo mostra, con una gallery di venti foto che trovate in fondo a questa pagina.
Da Bruxelles ad Amsterdam, fino alla Germania. Da Vienna a Barcellona.
E ancora, Parigi, Lussemburgo e Zurigo. Queste sono alcune delle date che hanno allontanato gli His Clancyness da casa. Insomma parecchi mesi in giro per l' Europa (insieme ai Maximo Park) e probabilmente i chilometri macinati dopo un po' si sono fatti sentire e quando si ritorna a casa si ha voglia di festeggiare. E se dicono che non c'è nessun posto come casa, questo in parte è vero, perché a casa ci sono gli amici ad aspettarti. Ed è per questo probabilmente che gli His Clancyness, per celebrare la data al Locomotiv, la prima dopo l'uscita di “Vicious”, hanno deciso di invitare tre dei loro gruppi preferiti del momento.
(Own Boo)
La serata parte, a rompere il ghiaccio sono gli Own Boo, nome impronunciabile per me, che non aiuta certo la mia dislessia galoppante, ma io non faccio testo, riesco a stento a dire caleidoscopio. Sono giovani, mi dicono forse ventenni forse bresciani, non importa, potrebbero avere anche cinquantanni e venire da Barletta, so solo che è stato molto interessante vedere la via che hanno intrapreso. Una ricerca sonora tutta tesa a creare uno spazio ibrido dove si mischiano divagazioni psichedeliche anni 70, innesti shoegaze fine 80 e leggere sfumature di noise-pop. E una bella voce femminile calda e profonda a completare il tutto. Aria fresca e primascelta meritatissimo. L'unica cosa che in alcuni istanti mi ha convinto poco e che non era in armonia con il resto del live è stata la confusione dei suoni in alcuni piccoli episodi, la voce scompariva nel caos, non lo so, probabilmente non avevano fatto un buon soundcheck. A parte questo mi toccherà imparare a pronunciare il loro nome, perché sicuramente è un gruppo che sarà sulle bocche di molti, compresa la mia.
Il secondo a salire sul palco è Havah, Michele Camorani. Già dal primo pezzo si capisce che lo sfogo non è cercato attraverso ritmiche serratisime, vertiginosi muri di chitarre e tantomeno nel tecnicismo o nelle liriche nitide usa e getta, lo sfogo si è rivelato nella naturalezza di ogni brano, come se fosse stato creato lì sul momento, forte di un fatalismo di chi sopravvive nonostante tutto, di chi cerca la bellezza anche quando il buco sullo stomaco ormai è riempito da malinconia e distacco. Imperfetto, scomposto, con la voce stropicciata, sfibrata e a tratti timida, un timbro che ha avvolto tutti i pezzi in una profondissima introspezione. Una scaletta bilanciata tra pezzi del nuovo disco “Durante un assedio” e il precedente “Settimana”. Un live che aveva tutte le carte in regola per presentarsi come il buon compitino wave-post punk fatto bene e invece ha sdoganato ogni raffica di citazionismo wave, deja-vu post-punk melodico, influenze musicali trite e ritrite. E' stato un concerto singolare, istintivo. Non ho remore a far svettare il live di Havah ben al di sopra di molte delle cose ho visto e sentito, pure con piacere, in questo ultimo periodo.
(Melampus)
E' il momento dei Melampus, e l'atmosfera si fa subito brumosa, crepuscolare, bastano i primi rintocchi di batteria di Gelo e una nera alienazione ammanta il concerto. Un suono compatto ma allo stesso tempo malleabile scende sulla serata, coronato dalle melodie trasognate e dalla voce di Francesca, melanconica, scura, profonda, per divenire poi solenne. Poche frasi per brano, giri di chitarra ben dosati, batteria inappuntabile: il duo lascia i fronzoli a chi ancora deve dimostrare qualcosa. Si sente, hanno imparato a utilizzare durante i concerti il vuoto, il minimalismo sonoro come manifesto di un disagio notturno affascinante, suggestivo, e cosa importantissima senza teatralismi posticci, in tal senso “While We Float” è stata quasi proverbiale: tastiera dalle note profonde e scheletriche voce stoica, atmosfera plumbea, è stato il momento più catatonico della serata.
Arriva il momento dominante della serata, salgono sul palco i padroni di casa, gli His Clancyness. Ecco, devo dire che io non sono tanto diversa o originale, e anche questo non è un discorso certo nuovo, ma devo ammettere che come tanti ho avuto parecchie difficoltà ad accettare Clancy come frontmant di un'altra band, sì, ero troppo legata ai Settlefish. Pensavo frasi proprio infami, del tipo: “sì, sì Clancy mettiti pure a fare tutti i gruppi che vuoi, fatti tutte le suonate che vuoi tanto una roba immensa come Settlefish non ti verrà più, neanche per sbaglio”. Questo per dire che avevo accolto gli A Classic Education con un atteggiamento non di odio, certo, ma con un'attitudine molto democristiana, ogni live lo vivevo con un entusiasmo contenuto, una piccola crociata adolescenziale personale. Beh, con “Vicious” ho perso la mia personalissima guerra.
(His Clancyness)
L'avevo già capito durante il live di dicembre al Bronson, ma stasera è stata la conferma. Dopo la fine di “Safe Around The Edges”, sono arrivata alla conclusione che è una canzone che chiunque, a prescindere dai gusti, dovrebbe ascoltare almeno una volta nella vita. E il motivo è semplice, di fronte a un pezzo simile, di tale portata, non esistono preconcetti o barriere mentali che tengano. A prescindere dai gusti, il dato oggettivo è che non si può fare altro che accettare il regalo e tacere, certe cose non si polemizzano, sono vere e belle come la Bibbia per mia nonna. Sono vere, sante e basta. E se probabilmente His Clancyness nasce da un pensiero solitario di Jonathan, sul palco hanno dimostrato che la coesione della pluralità può fare la differenza, ogni singolo componente aveva un peso specifico nella costruzione dell'armonia dei pezzi, l'impatto visivo e sonoro era potente, coinvolgente e soprattutto credibile pienamente: gente che sa sta stare sul palco divertendosi ma tenendo sempre ben a mente che sono lì per un motivo principe: suonare. Il locale non era un carnaio, ma era pieno di gente presa benissimo, insomma, un concerto completo, una festona riuscita. A livello di umore generale poteva essere una serata stile pubblicità: tutti sorrisi baci e abbracci, quelle robe che quando ci ripensi il giorno dopo riesci a dire solo: oh mammacara. Ma le cose sono andate diversamente: quando His Clancyness chiama, Bologna risponde, in maniera sincera.
Guarda la gallery del concerto
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L'articolo His Clancyness, Melampus, Havah e Own Boo @ Locomotiv - Bologna di chiara angius è apparso su Rockit.it il 2014-04-05 00:00:00
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