Non so se chi, come me, si ostini a girare in bicicletta per Milano lo faccia perché spinto da una qualche subconscia resistenza ecologista, dall'impossibilità di affrontare il traffico cittadino con qualsiasi tipo di mezzo motorizzato o da una forma primordiale di incoscienza. Avrei voluto chiederlo al galantuomo che mi stava per stirare con la sua auto lungo il tragitto che dalla redazione porta a via Padova, la mia meta di oggi, ma dalla bocca mi è uscita solo un'imprecazione che qua non posso ripetere.
L'avrei voluto anche chiedere alla signora che, qualche ora dopo, pedala con disinvoltura sul marciapiede esattamente di fronte a quattro ragazzi in posa per farsi fotografare all'ingresso di un bar, uno di quelli capaci di catapultare dritti nei primi anni '80 una volta che ci si infila un piede dentro. La cosa bizzarra è che il nome del quartetto e quello del locale è lo stesso: Il mago del gelato. "Un giorno abbiamo anche provato a raccontare al gestore che la nostra band si chiamava come il bar, ma questa cosa non ha avuto alcuna reazione", raccontano divertiti i ragazzi. Loro, invece, si chiamano Alessandro Paolone, Giovanni Doneda, Pietro Gregori e Ferruccio Perrone. A una prima occhiata sembrano due coppie di fratelli usciti da Romanzo criminale, guardare la foto qua sotto per credere (con la imperturbabile ciclista come special guest).
Il mago del gelato può rappresentare l'ingresso nel quartiere multiculturale di via Padova, strada che di fatto comincia qualche centinaio di metri prima, come una delle arterie che si dipanano da Piazzale Loreto. "È un porto franco, qua ci passano veramente tutti. Se vai anche solo a prenderci un caffè te ne accorgi", dice Giovanni. Per questo poi finiremo lì, a fare la tappa davvero obbligata del nostro incontro. Prima però c'è un altro posto fondamentale che ci tengono a mostrarmi. Si chiama La Sabbia ed è il loro studio, posto nella cantina di un condominio di fronte al bar. È qui che Il mago del gelato è nato ed è qui che ha preso forma Maledetta quella notte, il loro imminente ep di debutto, che presenteranno ad Arca giovedì 19 ottobre: sei brani che partono da una fortissima radice afrobeat per poi infilarci dentro elettronica, funk, disco music, e anche un tocco di noir thriller nella title-track. Chi li ha visti allo scorso MI AMI sa di cosa sono capaci.
Dentro a La Sabbia c'è di tutto: alla parete si trovano un vecchio articolo di Maradona ai tempi del Napoli, una foto di Keith Haring enorme, un poster dei Commodores, un piccolo primo piano di Frank Zappa, gli adesivi di gruppi, gruppetti, collettivi e quant'altro del milanese, in un angolo c'è un televisore mezzo scassato con una rediviva PlayStation 2, e poi strumenti su strumenti. Quando entro trovo ad accogliermi il gruppo e Marquis, il loro producer, mentre sullo schermo del pc noto il video appena terminato di Supernature di Cerrone. "Questo posto è nato dalla necessità di alcuni nostri amici musicisti di avere un posto slegato dagli orari fissi della sala prove, quindi hanno cercato un posto dove condividere il materiale, la strumentazione e le loro esperienze. Noi ci siamo conosciuti qui e siamo nati qui, subito dopo la pandemia", mi spiega Alessandro.
Uno spazio e un gruppo specchio della vivacità del quartiere in cui si trovano. "Via Padova mondo", come si può leggere sul cavalcavia appena prima del Metropolis, negozio di vinili in zona in cui la band spesso bazzica. C'è il minimarket attaccato allo studio, un salvavita per l'attacco di fame improvviso, ma anche tutta una serie di ristoranti e fast food esotici, oltre ai negozietti di ogni tipo sparsi lungo la via, dal calzolaio in cui la band va a farsi sistemare le scarpe al negozio di elettronica che sta sistemando uno degli strumenti di Alessandro. È ancora lui a raccontarmi la dinamica del quartiere parlandomi di un vecchio sintetizzatore Donner in studio: "Di questo strumento fino a 5 giorni fa non sapevamo niente. Poi l'altro giorno siamo venuti a bere un bicchiere all'enoteca qua vicino quando Thomas, il gestore, ci ha detto che conosceva un ragazzo che si liberava di questo synth, quindi ieri l'abbiamo portato qui. Qua è così: ci si da una mano, c'è uno spirito collettivo di condivisione, per strada ci si saluta". Un rapporto umano diverso rispetto all'immagine che Milano può dare, ossia quella di posto in cui è più facile sfancularsi – vedi il mio scambio con l'autista di cui sopra – che sorridersi.
L'attaccamento alla zona è molto sentita da tutti i membri della band, e si vede, al punto che dallo studio iniziamo a fare un giro lungo la via. Ferruccio è quello che la conosce meglio, visto che qua ci è proprio nato: "Fino ai 16 anni quasi non sapevo cosa ci fosse fuori da via Padova, mi spingevo al massimo fino a Loreto, infatti nell'orientarmi in città sono incapace", dice ridendo. Pietro, invece, è stato "adottato" rispetto a quello che è il suo quartiere di origine, in Chinatown: "Quella è sempre stata multiculturale, ma già gentrificata, come qua un po' si sta trasformando. Io quel cambiamento l'ho già vissuto, venendo qua ritrovo un po' di quella Milano che avevo perso".
Forse è per questo che la musica de Il mago del gelato diventa un'entità difficile da separare rispetto all'oasi in cui ha messo le sue radici: lo spirito che anima via Padova penetra fino alle fondamenta ritmiche su cui si reggono i brani del mago, è un melting pot sonoro in cui si ritrova un senso atavico di comunione con l'altro. Non a caso il punto di partenza è quello dell'afrobeat, uno dei generi musicali che meglio è riuscito a trovare questo senso collettivo al suonare e a percepire la musica. Come spiega anche Pietro: "Siamo partiti da Fela Kuti e Tony Allen, dopo i primi live ci siamo trovati in studio e abbiamo iniziato ad aprire le influenze. Arrivavamo da due anni in cui eravamo fermi, volevamo prima di tutto far ballare la gente". Be', ci stanno riuscendo alla grande, anche se quelli del bar non lo sanno.
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L'articolo Il mago del gelato e la camera dei segreti di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2023-10-18 10:44:00
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