La storia di Rockit inizia nel 1997, e da allora sono tantissime le canzoni che sono passate per le nostre orecchie, ci sono entrate sotto pelle e ancora non ne vogliono sapere di scollarsi da noi. Con la serie settimanale di approfondimenti Verdisempre, dalla nostra newsletter Pezzoni (ti ci puoi iscrivere qui), vogliamo raccoglierle e raccontarne la storia dietro al brano, entrarci in profondità, ripercorrere cosa ne pensavamo allora e che effetto fa ascoltarle ora. E c'è anche una playlistona Spotify dove raccoglierle tutte, la trovi qua.
Il corpo è lì, inerte, all'ingresso del reparto di urologia dell'ospedale San Giovanni di Roma, disteso nei viali vicino alle aiuole. È così che viene ritrovato dal personale sanitario, intorno alle 21 del 29 novembre 2010, dopo un volo dal quinto piano. Nessun biglietto accompagna quella caduta, nessuna parola a giustificare il perché di quel gesto, solo un silenzio glaciale sibila nell'aria di fronte al suicidio di Mario Monicelli, uno dei più grandi registi dei cinema italiano. È la morte spietata di un genio, malato di un cancro terminale all'età di 95 anni, che rivendica fino all'ultimo la possibilità di scelta. Compresa quella sulla propria vita.
Ho dieci strofe per lasciare un bel ricordo
Ho dieci piani che mi aspettano giù in fondo
E sono certo in pochi possono capire
Ma davvero io son felice di morire
Comincia così Il testamento, traccia d'apertura e title-track del primo disco, uscito nel 2013, di Appino al di fuori degli Zen Circus, band con cui fino ad allora si era fatto conoscere in giro per l'Italia. Inizialmente, l'album non doveva chiamarsi così, ma doveva prendere il titolo da un'altra traccia del disco, altrettanto potente: La festa della liberazione, brano ispirato a Desolation Row di Bob Dylan. "Mi piaceva, ti liberi un attimo e fai un disco di cazzi tuoi", raccontava Appino a Rockit al momento dell'uscita del disco, "solo che poi ho lavorato con Giulio e lui è darkettone dentro, la parola festa non gli piaceva". Il testamento sia, allora, con questa vena lugubre ad avvolgere tutto l'album.
Ho fatto tutto quello che dovevo fare
Ed ho sbagliato per il gusto di sbagliare
Son stato sveglio quando era meglio dormire
Ed ho dormito solo per ricominciare
La morte di Monicelli è qualcosa che lascia sotto shock, ma chi ha un minimo di confidenza col regista riconosce nel suo suicidio una coerenza assoluta col modo in cui ha affrontato la vita. Una vita lunga e piena, la cui fine era dietro l'angolo per la malattia in età avanzata. E allora ecco la presa di posizione di decidere come andarsene, senza permettere alla malattia di consumare il corpo, in cui si riconosce una rivendicazione lucida. "Non era rivoluzionario, era un grande figlio di puttana di stampo toscano, simpatico ma figlio di puttana. Ma Monicelli ne ha dette di belle, non si può dire di no, e le ha dette con un piglio che io sento mio, di casa nostra. E quando è morto sono rimasto basito, porca troia è morto esattamente da Monicelli, è stato coerente fino all'ultimo", spiegava Appino nell'intervista citata prima. La Nel track by track pubblicato all'epoca invece aggiunge: "Da questo suo gesto un immaginario testamento sull'importanza della scelta, anche quella di morire, ma solo dopo aver scritto liberamente la propria storia". Monicelli, ormai 95enne, questa libertà ha voluto prendersela in maniera estrema, o almeno così ci piace pensare.
E quindi scelgo di saltar dal cornicione
Come un gabbiano, falco o piccolo aquilone
Come un aereo, una falena, un pipistrello
Che vola alto invece ora io mi sfracello
La potenza del testo viaggia in simbiosi con l'arrangiamento, aperto dalle note di un violino e poi caricato a mille dal tocco di Giulio "Ragno" Favero del Teatro degli Orrori alla produzione. Monicelli non ha lasciato niente dietro di sé per spiegare il suo gesto, quindi prova a immaginarlo Appino, raggiungendo uno dei picchi poetici della sua discografia. È il ripercorrere una vita in cui ci si prende tutto, dai successi agli errori, tutti dettati sempre da un'unica cosa: la possibilità di scegliere. "Perché la scelta in fondo è l'unica cosa che rende questa vita almeno dignitosa" canta Appino nel climax del brano, dove non ci sono ritornelli, ma strofe di in quartine che attraversano ricordi immaginari mentre si vola contro l'asfalto a terra. Fino al finale, dove tutto si sgretola in un ultimo canto di libertà:
Io ho scelto esattamente tutto quel che sono
Senza la scelta io la vita l'abbandono
Ho scelto tutto, tutto tranne il mio dolore
Lo ammazzo io e non c'è niente da capire
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L'articolo “Il testamento”: Appino sul cornicione di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2024-06-03 12:32:00
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