“Quando scrivi canzoni non ci sono regole. Anzi, l'unica cosa che devi fare è trasgredirle”.
Keith Richards
Creare un film da zero, da indipendenti, in soli quattro anni, con una pandemia mondiale nel mezzo e un budget che non arriva neanche ai 1500 euro: sono pochi i registi italiani che possono vantare in un'intera carriera un simile traguardo. Anche tra quelli indie, come Fabio e Damiano D'Innocenzo, e ancora di più tra tutti quelli che da sempre sono chiamati “giovani autori” e poi vai a vedere e hanno più di quarant'anni e tre film alle spalle, come accadde per Gabriele Salvatores diMediterraneo.
La nostra assurda storia e che, proprio per questo, merita di essere raccontata, ha inizio nell'agosto del 2020 quando Elsa Greggio, Stefano Sorace Distilo e Alvise Marin, all'epoca neanche ventenni, nel caldo afoso della prima inutile estate pandemica padovana decidono di girare un lungometraggio. Sostituendo così, da principio, a quell'ordine (costituito?) secondo cui ogni cosa deve essere fatta nei tempi giusti e nei modi consoni, chiedendo magari permesso ai grandi, ai genitori, ai maestri o alle autorità, la voglia di potersi esprimere e basta. Mettendo piuttosto davanti a tutto questo aspetto ancora di vitale importanza nei giovani - che giovani lo sono ancora sul serio. Così, incontrandosi più volte a settimana, la sera e nel tempo libero dallo studio, Alvise, Stefano ed Elsa hanno definito la trama e, pian piano, scritto la sceneggiatura. Ma non siamo qui per parlare di cinema militante.
È solo una piccola premessa per introdurvi con consapevolezza a In Bianca che, oltre a essere una sorprendente opera prima, indipendente in ogni suo aspetto, è legata a doppio filo a certe commedie generazionali (oserei dire in senso universale) che hanno caratterizzato il cinema italiano degli anni Novanta. Film con un'analisi sociale intrinseca, risultando a loro modo “politici”. Parlo di pellicole come Ovosodo di Virzì,Jack Frusciante è uscito dal Gruppo post-libro di Enrico Brizzi,La Guerra degli Antò di Milani, Tutti giù per terra di Ferrario, fino a Santa Maradona e Paz! - dei primi anni Zero questi ultimi due. La citazione contemporanea a valanga di tutti questi titoli non è casuale per tre motivi: il primo è legato al fatto che se vi mettete a chiacchierare con qualcuno di una di queste opere inevitabilmente finirete, prima o poi, a citarne almeno un'altra o più; il secondo è che alcune delle tematiche sono comuni o assai affini al cosmo di In Bianca e quindi di facile analisi congiunta; il terzo è dato dalla quasi certezza che Alvise, Elsa e Stefano non hanno certo questi film alla base del loro essere registi, sceneggiatori o semplici cinefili, il che rende In Bianca ancora più speciale nel riprendere un discorso interrotto da anni di cinema veltronizzato, berlusconizzato, raicinemato e netflixato, per riportarlo alla luce nelle sue caratteristiche migliori da quell'angolo buio in cui è stato ghettizzato e gambizzato negli ultimi vent'anni.
Prima tra tutte l'assenza di un personaggio o di un elemento forzatamente comico o necessariamente simpatico. Vedendo In Bianca e le avventure di Riff e i suoi amici per la realizzazione di un Toga Party clandestino, si ride e si sorridere quando c'è da ridere e quando c'è da sorridere, altrimenti si gusta per quello che è, un buon film senza bisogno di ganci o scorciatoie di alcun tipo. Vi basti pensare che, pur essendo totalmente immerso nei giorni della pandemia, non è un elemento centrale; pur essendo girato a Padova, non è caratterizzante e si trasforma in un luogo dell'anima di tutti noi. PiuttostoIn Bianca, forse, entrerà nei cult del piccolo cinema indipendente per la sua testimonianza di quest'epoca: spin-off dell'epopea della generazione X, fatta non solo di mezzi di comunicazione e nuove tecnologie, ma anche di speranze, di rapporti fantasmatici, di vertiginose solitudini, di simmetrie incasinate e, più o meno, di tutte le ceneri degli ideali bruciati di due o tre generazioni precedenti che credevano di cambiare le cose e che in realtà sono stati cambiati dalle cose.Ma alcuni valori sono rimasti: primo, secondo i registi, l'amicizia. E mentre lo stato delle cose si evolve, il rapporto tra le persone può contare su qualcosa di immutabile e difficile da rendere su carta, più facile attraverso emozioni, esperienze e immaginari comuni fatte anche di oggetti, come una bicicletta o un accendino. Un rapporto difficile, e a volte fraintendibile, ma se trattato con semplicità come in In Bianca coinvolgente.
Lo spettatore si ritrova, riconosce in qualcuno dei personaggi una parte di sé stesso, un'avventura che ha avuto, un amico o una ragazza che ha avuto alla fine del liceo o dell'università, situazioni che ha vissuto; ma lo spettatore si rende pure conto che dietro tutto questo non c'è furbizia, retorica, presa in giro, ma solo la voglia di dire la propria storia, di ricreare sullo schermo il proprio racconto, e ripercorrere con propria firma strade viste nei film di Tarantino, Boyle, Dupieux, Anderson, Landis e quelli che saranno stati i mentori di questi giovani talenti, e dietro tutto questo c'è qualcosa di più complesso: la volontà di capire, di afferrare qualcosa nel momento stesso in cui lo si sta vivendo, di mostrare una generazione, la loro: anche nella pertinente colonna sonora dove,tra brani di Cosmo Sheldrake e dei Big Thief, l'unica concessione al passato è data da un blues di Robert Johnson, mentre persino di Nada viene preso un brano clamoroso ma del 2004,Senza un perché.
Questo è un livello comprensibile da tutti ma non da tutti condiviso. A dimostrarlo, le signore scettiche prima della proiezione alla quale ho assistito e perplesse alla fine, forse per sotteso tossico del titolo, forse per la presenza di cast e crew (sui quali spiccano, tra gli attori, Zaccaria Gazal del Teatro dell'Inutile e Noemi Caneva, ma pure i caratteristi Alvise Marin e Pietro Frosi e, tra i tecnici, il direttore della fotografia Lorenzo Fortin), forse perché semplicemente già vecchie dentro. Oltre qualsiasi disamina sulle qualità creative reali o meno, oggi, un film come In Bianca, così come in passato fu per (concedetemi di straparlare, visto l'elemento comune della bici) quel Ladri di Biciclette, per il quale De Sica investì tutto di tasca propria e delle persone attorno, senza produzione ne nulla, per un non sottostare a Hollywood che voleva imporgli attori professionisti e modifiche sostanziali, è da molti ritenuto semplicemente impossibile. E invece In Bianca c'è.
Riportandoci dietro nel tempo quando, a cavallo tra gli Ottanta e Novanta, si parlava ancora con interesse di cinema “no-budget”. Ma no-butget vero: Permanent Vacation di Jarmusch, Mala Noche di Van Zant, El Mariachi di Rodriguez, Clerks di Smith o, qui da noi,Girotondo Giro Intorno al Mondo di Manuli tutti registi che scendevano in strada senza permessi, senza beneplaciti, senza notai, senza contratti e soprattutto senza soldi per fare solo del fottuto Cinema, il cui motto era: “Libertà è diritto di girare, girare gratis e lavorare gratis, disposti a tutto pur di girare, portare la pellicola allo sviluppo e poi si vedrà”. Anche solo per questo In Bianca, al netto del suo taglio meno autoriale e autorevole, merita di essere visto e raccontato, distribuito e rivelato. E poi si vedrà.
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L'articolo "In Bianca": l'indipendenza vera, almeno al cinema, si può fare di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2025-02-07 09:54:00
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