In questi giorni ci siamo ritrovati con un po' di sconforto davanti alla solita sfilza di tormentoni latini prodotti in serie, e mettere adesso nella stessa frase uno dei sottogeneri più "leggeri" della musica pop e uno dei più grandi compositori italiani di sempre, sembra un’eresia imperdonabile.
Eppure la grandezza di Ennio Morricone sta proprio nell’essersi giostrato fra sperimentazione e pop, e aver portato questo ai suoi massimi livelli. Aver fatto convivere grandi sinfonie, rumorismi e rivoluzioni rock n’roll, e nell’averlo fatto sempre in maniera coerente, elaborando in maniera organica stimoli diversissimi e arricchendo ogni produzione con quanto imparato in altri lavori. Senza il Morricone avanguardista non avremmo avuto quello pop, e senza quello pop non avremmo avuto le sue colonne sonore.
Una parte della sua produzione popolare è proprio quella legata agli arrangiamenti dei primissimi successi estivi della musica leggera italiana, canzoni iconiche che hanno definito un genere ed un’epoca. E che contemporaneamente hanno permesso al Maestro di sperimentare soluzioni innovative e padroneggiare linguaggi che avrebbe usato per tutta la sua carriera.
Certo, i tormentoni arrangiati da Morricone, i cui migliori trovate qua sotto, sono figli di un’epoca particolare: il boom, la rivoluzione dei costumi, la musica che si muove velocissima sotto le spinte che arrivano da oltreoceano, con spazi enormi per innovazione. Però, ci ricordano che anche nelle produzioni concepite a uso e consumi di spiagge e juke box è possibile inserire originalità, personalità, innovazione. Una fantasia che vorremmo vedere più spesso in chi produce tormentoni estivi oggi, che invece troppo spesso si adagiano sulle mode del momento e offrono il minimo sindacale, con il solo scopo di avere un passaggio in più su radio lido.
Il Barattolo - Gianni Meccia (1960)
Iniziamo con il pezzo meno famoso, che detiene però una serie di primati. Il brano divide con Tintarella di luna di Mina il trono di primo successone dell’estate italiana, in quel 1960 in cui il fenomeno dei tormentoni neanche aveva ancora un nome (arriverà nel 1962 con Legata ad un granello di sabbia di Nico Fidenco). La struttura armonica del pezzo è molto semplice, ma il giovane Ennio Morricone, agli esordi come arrangiatore per l’RCA, inserisce diverse volte la registrazione di un vero barattolo che rotola su una superficie di cemento e ghiaia. Si tratta del primo esperimento di musica concreta in un brano italiano di musica pop, un semplice gesto in cui è possibile vedere rimandi al suono-rumore futurista, ma soprattutto l’influenza di John Cage, che aveva folgorato Morricone due anni prima ai corsi estivi di Darmstadt, il tempio dell’avanguardia musicale.
Più che i clangori del futuro industrial, il rimbalzo metallico dell’oggetto nella ritmica tropicale rumba-beguine de Il barattolo arriva a ricordare le percussioni riverberate del reggae/dub, che stava prendendo forma in Giamaica dal calypso. Altri due primati: Meccia sarà il primo a essere etichettato come cantautore, per la sua carriera parallela di autore di successi come Il mondo di Jimmy Fontana (arrangiata indovinate da chi? Sì, Ennio Morricone), e il Il barattolo è il primo singolo venduto con un gadget, ovviamente un barattolo portapenne. Quando si dice la musica commerciale.
Pinne, fucile ed occhiali - Edoardo Vianello (1962)
Lo sperimentatore Morricone, quando si tratta di arrangiare le canzonette estive, ragiona in maniera tutto sommato semplice: Il barattolo, mettiamoci il suono di un barattolo. Pinne fucile ed occhiali, andiamo con il rumore dell’immersione nell’acqua. ‘Splash’. Banale? Tutt’altro. Quello che il Maestro cerca di fare inserendo suoni della vita di tutti i giorni nella musica era, si legge in un’intervista dell’epoca, “dare un contributo di verità a queste composizioni’, spesso nate per essere il prodotto usa e getta di un estate al mare. Quello stesso senso di verità, di concretezza, che aggiunge alle pellicole di cui firma le colonne sonore: colpi di pistola, campane e versi di animali per trasportarci nella frontiera, i rumori della macchina per farci entrare nell’incubo operaio della catena di montaggio. Il gorgoglio delle onde che si alterna alla voce indolente di Vianello, mentre descrive la routine di una calda giornata in riviera o a Ostia Lido, non è molto distante come idea.
Intuizione geniale, sì, ma anche studio: il retroterra è sempre quello dell’avanguardia musicale, che intorno al ‘gesto musicale’ aveva costruito tutto un linguaggio. Uno che ne sa qualcosa di pop e sperimentazione, Mike Patton, con il suo progetto Mondo Cane ha riportato alla luce questa ricchezza della musica leggera anni ‘60 che spesso tendiamo ad ignorare. La sua versione di Pinne fucile ed occhiali è una piccola gemma, con la parte ‘subacquea’ esasperata dalle peripezie rumoriste del cantante californiano.
Guarda come dondolo - Edoardo Vianello (1962)
Si tratta del lato B di Pinne, fucile ed occhiali, inaspettatamente anche lei diventata tormentone estivo e simbolo dei primi incontri dei giovani italiani con la musica e i balli che arrivavano dagli Stati Uniti. Il twist nasce pochi anni prima, portato al successo da Chubby Checker con Let’s Twist Again, ed è Il primo ballo americano a sfondare in Italia. E Guarda come dondolo ne è il manifesto, una descrizione quasi letterale dei passi della danza.
L'arrangiamento è quindi necessariamente abbastanza classico, ma Morricone non rinuncia a inserire il suo tocco e a distinguerlo dalle tante produzioni simili dell’epoca. Anche qui, c’è un ampio uso di ‘gesti’, di ‘eventi’ sonori che compaiono nello spettro della canzone bucandone lo spazio, catturano la nostra attenzione e scompaiono nel nulla pur essendo perfettamente integrati e fondamentali nell’arrangiamento. Gli interventi del vibrafono, o le frasi vocali che accompagnano o sostituiscono gli ottoni, sono una costante della sua produzione pop di Morricone ma anche delle sue colonne sonore più famose.
Guarda come dondolo è una delle prime occasioni in cui Morricone può sperimentarsi con la musica d’oltreoceano, un esercizio fondamentale per la sua carriera nel cinema. Si inizia ad innescare un cortocircuito che esploderà anni dopo, quando saranno i veri fricchettoni americani (altro che i capelloni italiani) a farsi folgorare dalle colonne sonore della trilogia del dollaro. Ma sull’influenza del musicista romano nel rock psichedelico americano ci sarebbe da aprire un altro capitolo lunghissimo: vi consigliamo di aprire invece il primo capitolo del libro Superonda di Valerio Mattioli, da cui sono tratte molte delle informazioni contenute in queste righe.
Sapore di sale - Gino Paoli (1963)
L’estate non è solo spiaggia e divertimento, e ce lo dimostra la vena malinconica di Sapore di sale, nascosta (neanche troppo) tra le vene dell’inno balneare di Gino Paoli. Del resto Paoli non è il frizzante Edoardo Vianello, ma un autore tormentato che mette nei suoi versi un’intensità inusuale per le canzonette anni ‘60, anche per via della storia d’amore con Stefania Sandrelli, a cui ha dedicato molte canzoni, tra cui questa.
Per forza di cose anche l’arrangiamento di Morricone ci porta su lidi meno movimentati, con ampie melodie di archi e ottoni imparentati a quelli della futura Se telefonando. Le sorprese stanno nei dettagli: il basso elettrico suonato con il plettro, novità introdotta dal rock and roll, e un contrappunto di vibrafono indecifrabile, in bilico fra lo scherzoso e l’inquietante. Il languido assolo di sax, invece, porta la firma del futuro astro del jazz argentino, Gato Barbieri.
Abbronzatissima - Edoardo Vianello (1963)
Sarà perché è l’inno della tintarella, sarà la romance estiva con retrogusto amaro di settembre che incombe, sarà la cover di Brusco che l’ha riportata in auge; fatto sta che Abbronzatissima, del solito Edoardo Vianello, è probabilmente il più simbolico dei tormentoni estivi anni ‘60. E ovviamente è merito anche dell’arrangiamento, che qui forse raggiunge l’apice della sintesi tra frivolezza estiva e Morricone style.
Le percussioni tropical-latine, tutte a base di tamburi e guiro, sono una mina da dancefloor che ancora adesso non sfigura e ammicca, di nuovo, a quel gusto reggae che era una novità assoluta. Sentite le rullate, e la cavalcata a 00:58 o l’accelerazione a 1:26: giocate su frequenze diverse non sfigurerebbero in un sound system. Contemporaneamente, nei 2 minuti e mezzo del brano c’è tutto il sentimento del Morricone sinfonico, gli inconfondibili cori utilizzati come strumento, che giocano fra di loro ripetendo brandelli della melodia, sostituendo e imitando ottoni e percussioni.
Per certi versi l’estate musicale iniziata negli anni ‘60 con i successi di Vianello ed altri non è mai finita, anche grazie al suono unico di Morricone. Un altro pezzo imprescindibile, contemporaneamente celebre e sconosciuto ai più, della storia musicale di uno dei più grandi di sempre.
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L'articolo Intitoliamo l'estate 2020 a Ennio Morricone di Sergio Sciambra è apparso su Rockit.it il 2020-07-09 17:37:00
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