È uscito il disco dal vivo di IOSONOUNCANE, dal titolo QUI NOI CADIAMO VERSO IL FONDO GELIDO – Concerti 2021-22, per per Numero Uno (Sony Music) / Tanca Records (Trovarobato). Registrato con tre formazioni diverse: La Mandria (composta da IOSONOUNCANE, Amedeo Perri, Serena Locci, Simona Norato, Francesco Bolognini, Simone Cavina e Maria Giulia degli Amori), in trio elettronico con Bruno Germano e Amedeo Perri e di nuovo in trio elettroacustico con Amedeo Perri e Simone Cavina.
Un disco da perdercisi dentro per sentire tutti i mutamenti delle canzoni di Jacopo Incani nelle varie versioni live, per ascoltare qualche inedito e di base far parte dell'esperienza di materie sonore in eterno mutamento. Fuori dalle filosofie posticce e dalle altisonanze, è il secondo album live di Iosonouncane dopo quello che documentava le performance in duo con Paolo Angeli, ed è questo il fil rouge della nostra chiacchierata: la musica dal vivo. Come sempre, è stato un piacere stare ad ascoltare.
Perché due album live di seguito?
Non c'è un vero e proprio motivo, anche perché hanno avuto due gestazioni molto diverse. Quello con Paolo Angeli è un disco che sarebbe dovuto uscire tre anni fa e che fotografa una fase artistica sia del duo che delle rispettive storie musicali del tempo, che è servita ad entrambi per esplorare successivamente alcune cose. Paolo da quel disco ha iniziato a cantare di più nelle sue produzioni, io ho abbracciato con più consapevolezza e serenità la possibilità dell'estemporaneità. Io sono stato sempre molto rigido su questo, la prima passione musicale è coincisa con la fase psichedelica dei Beatles, quindi per me creare significava stare chiusi in studio a cercare i suoni, poi sono stato fan dei Radiohead che dal vivo cerca di suonare al meglio possibile il materiale dei dischi, salvo rarissimi casi. Negli anni dai 15 ai 35 ho sempre pensato che suonare dal vivo significasse quello: suonare al meglio i brani per com'erano su disco. Questa cosa ha vacillato ai tempi della Macarena su Roma perché giravo da solo con una strumentazione che mi imponeva una certa estemporaneità dal vivo, con slabbrature volute e momenti di improvvisazione all'interno di schemi piuttosto rigidi. Ira è un album di oltre due ore creato senza sovraincisioni, nato per essere suonato da una band di sette elementi come su disco, con la massima concentrazione.
Di mezzo ci si è messa la pandemia che ci ha fatto chiudere l'album nella primavera del 2020 e che mi ha concesso di suonare il disco integralmente come avrei voluto due anni dopo. Ciò che andavamo a portare in tour, al di là dell'esecuzione integrale fatta nei teatri che è stata l'esperienza più bella che ho vissuto da musicista per ora, partivano dal presupposto che dovevamo prendere quel materiale e portarlo un po' avanti, perché si affacciasse verso scenari nuovi. I tour di Ira sono stati diversi: in trio, con la band al completo, con le percussioni, i pad e la batteria acustica e gioco forza c'è stato un ampio margine per le improvvisazioni. Alla fine di questo lungo tour in tre parti mi sono ritrovato ad avere tanto materiale inedito, scritto sia nell'ultima fase di Ira in cui non c'era più tempo per registrarlo, altro materiale rimasto in bozza, altro ancora scritto successivamente come Sacramento oppure venuto fuori direttamente sul palco durante i tour. Ho voluto dare testimonianza di questi due anni, del rapporto con la musica e coi musicisti con cui ho lavorato perché credo meriti di essere pubblico. Un disco dal vivo che non somiglia minimamente a un best of, il pudore mi impedirebbe di pensarlo perfino.
Come hai scelto il titolo? Nell'ultimo periodo i titoli dei tuoi album si componevano di una parola sola...
L'idea era proprio di creare una discontinuità con Die e Ira, con quel tipo di scelta e di estetica. Non volevo che questo ulteriore disco di due ore venisse percepito come una costola di Ira ma che venisse percepito con una sua specifica identità e mi è parso che un titolo in italiano lungo segnasse una prima differenza. Sono andato a ricercare tra i testi i passaggi lunghi compiuti e in Ojos. Anche la grafica ricorda quella del jazz degli anni 50 - 60, perché l'ho ascoltato tantissimo durante Ira. Mi è piaciuto il fatto che nonostante fossi il band leader, essendo mio il progetto, in questo tour avessi la possibilità di dare più libertà ai musicisti di improvvisare. Ad esempio il brano Polvere è venuto fuori da una sessione tra Amedeo e Simone mentre io ero fuori a prendere un caffè.
Sacramento è il pezzo perfetto per chiudere l'album. Vorrei saperne di più.
È nato nell'autunno 2021 tra me, Amedeo Perri e Bruno Germano insieme al regista Alessandro Gagliardi per una sonorizzazione di un film che si chiama Sacramento, una pellicola muta che noi sonorizzavamo all'alba, alle cinque e diciassette di mattina. Tre repliche per un'esperienza pazzesca, la cui idea era simile a quando il prete celebra messa nel paesino sperduto, che se gli va bene la fa davanti a cinque persone, altrimenti anche davanti a nessuno ma celebra comunque, perché il sacramento avviene anche in assenza di testimoni, si compie nell'atto di compiersi. Mi piaceva l'idea della liturgia sonora e visiva anche col rischio di suonare davanti a nessuno.
L'abbiamo fatta a Torino, Taranto e Bologna, come esperienza è stata allucinante perché le persone arrivavano o dopo un after, senza aver dormito, oppure dopo una svegliata alle quattro del mattino, e anche per noi era la stessa cosa. A Torino ho dormito due ore, a Taranto un'ora sola ed è stata la cosa peggiore da fare perché il corpo si accorge che c'è qualcosa che non va e si rivolta contro di te. La migliore cosa è non dormire affatto, come abbiamo fatto a Bologna. Il pubblico in un dormiveglia psichedelico a guardare le immagini di Alessandro piuttosto impressionanti, non capendo se stava vedendo sul serio le immagini o meno. La sonorizzazione si chiudeva con questo brano, Sacramento, durante un momento toccante del film, una lunghissima testimonianza di un agguato di mafia, la totale resa al dolore di un pare per la morte del figlio, ed è stato ispirato da esso.
Dal sacro al profano: quali sono i tuoi album live preferiti, quelli che hanno ispirato il tuo percorso o che sono stati in qualche modo fondamentali per te?
Ricordo nitidamente la prima volta, durante l'adolescenza, che ascoltai col walkman Unplugged in New York dei Nirvana, senza aver mai ascoltato Nevermind o In Utero, fu pazzesco perché mi sembrava di essere seduto in mezzo a delle persone che stavano suonando. Il fatto che ci fossero borbottii, fruscii, imperfezioni, mi ispirò una sensazione di verità commovente e mi ci abbandonai. L'ultimo che ho amato è Live Drugs dei War On Drugs, un gruppo che amo particolarmente e che da giovane avrei schifato per quelle atmosfere anni '80 che mi sembravano ignobili da un punto di vista morale, per fortuna si cresce! Un altro è Live '80-'81 di This Heat, una band che adoro. Un disco abbastanza folle dal vivo è July 15, 1972 dei Taj Mahal Travellers, un album clamoroso di psichedelia, rumorismo, kraut, musica concreta.
Poi c'è un momento veramente intimo in questo percorso: quando ero quindicenne ho iniziato ad ascoltare la musica e avevo una cassetta sulla quale da un lato c'era Yellow Submarine dei Beatles e dall'altro una compilation dal nome This is Jazz, me la fece il mio professore d'inglese che mi ha in qualche modo instradato all'ascolto e che non smetterò mai di ringraziare. Questo disco l'ascoltavo in loop in cuffia, pur non avendo nessun riferimento di canzoni o artisti. Penso sia stato della metà degli anni '20 del Novecento, c'erano molti brani cantati, era mono e c'era un fruscio da vinile incredibile ed era dal vivo, sentivi proprio gente che parlava, il tintinnio dei bicchieri... L'ho ascoltato centinaia di volte pur non sapendo cosa fosse, chi fossero i musicisti. Alla fine presto questa cassetta a una mia compagna di classe che la mette nella macchina del moroso, lo stereo si incaglia e mi devasta la cassetta. Non sono mai più riuscito a trovare quel disco, quelle canzoni, pur avendo fatto un sacco di ricerche. Ricordo la sensazione che mi dava, che era sublime ma non ricordo più molto in fatto di armonie o altro. In tutti questi anni ho preso appunti per volerlo rifare, a seconda dei miei pochi ricordi, e magari prima o poi lo farò. Quello è il disco dal vivo più importante della mia vita.
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L'articolo Iosonouncane: i dischi dal vivo più importanti della mia vita di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2023-11-10 10:00:00
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