Con la pioggia, in Friuli, ci si impara a convivere. Il grigiore nel cielo è una presenza costante, capace di manifestarsi anche nelle giornate più limpide, un rischio fisso che nel peggiore dei casi porta anche a ben poco simpatici crolli di alberi. Motivo per cui, quando la settimana scorsa hanno annunciato l’allerta meteo, ho provato subito quel misto di rassegnazione e preoccupazione che solo il nordest riesce a regalare, sapendo che c'era la concreta possibilità che andasse a farsi benedire l’intenso weekend di schizofrenia musicale in cui mi stavo per gettare. Una tre giorni che sarebbe culminata domenica 4 luglio, con il live dell’artista dal disco più atteso degli ultimi 2 anni (se non più), Jacopo Incani aka Iosonouncane, presso Villa Manin, splendida villa veneta nel cuore del Friuli che da anni ospita concerti importanti. E che anche in questa stagione post pandemia non è stata da meno con "Villa Manin Estate", la rassegna di eventi che si svolge nello splendido parco della villa, che ha visto e vede in programma artisti come Motta, Lo Stato Sociale, gli Extraliscio, Ariete, La rappresentante di Lista e i Coma Cose.
Nonostante la pioggia risparmi parzialmente il venerdì e il sabato, per domenica è previsto il diluvio. L’inizio del concerto viene anticipato dalle 18:30 alle 18, nella speranza di schivare il maltempo. Ad aprire il live c’è Vieri Cervelli Montel, musicista già membro degli /handlogic e che già ci aveva colpito per la sua angosciante versione di Almeno tu nell’universo, in cui la struggente melodia dell’originale viene bombardata da una scarica di synth quasi industrial. In questo contesto, Vieri si esibisce in versione acustica: lui con una chitarra classica, mentre ad accompagnarlo ci sono un leggiadro pianoforte e un setup di batteria atipico, con la grancassa posta in orizzontale e qualche piatto. Qualche delicato brano inedito sembra riuscire a dissipare le nuvole e a trattenere la pioggia, che fino ad adesso non si è ancora manifestata.
Alle 18 spaccate sale Jacopo sul palco, accompagnato da Bruno Germano e Amedeo Perri. Due gazebi li riparano dalle ancora poche gocce che iniziano a scendere timidamente quando loro attaccano a suonare. Non una parola, non un saluto, prima di cominciare, ma ci si getta subito nelle stringenti spire di Ira con brani estratti dal disco, riadattati e rimescolati tra loro in un pulsante magma funereo. Difficile riuscire a cogliere distintamente il passaggio da un brano all’altro, è come se si incrociassero l’uno con l’altro senza mai concludersi del tutto.
Un’esperienza già di per sé catartica, che viene ancora di più amplificata dall’intero contesto: la pioggia inizia a scendere, questa volta con più decisione, mentre la rassicurante facciata della villa diventa minacciosa sotto un cielo di un tetro grigio scuro. La voce di Iosonouncane sembra provenire da un’altra dimensione, una sorta di placido limbo scosso da pulsazioni infernali e da armonie spettrali.
La prima mezz’ora scorre via ininterrotta: dall’inizio lento di Petrole ci si snoda in un fluido spasmodico e avvolgente, in cui si riescono a cogliere alcuni elementi, come la nevrosi ritmica di Foule o l’abisso oceanico di Ojos. Rinuncio rapidamente a segnarmi quello che sta succedendo e decido di abbandonarmi alla visione cerebrale che sta prendendo forma sotto i miei occhi, mentre ho già i jeans zuppi di pioggia e il mio impermeabile trattiene a stento l’acqua dal bagnarmi anche il resto del corpo. In mezzo all’imperscrutabilità di Ira, c’è spazio anche per Buio, estratto dal precedente Die, in una versione ancora più crepuscolare.
Con il crescere del climax di Ira, anche la pioggia inizia a farsi più intensa. La maggioranza del pubblico è incapace di muoversi, totalmente rapita dal muro di suoni di Iosonouncane e soci. C’è il tempo per ancora un paio di brani, mentre Jacopo, fino a quel momento parco di parole, trova il tempo per parlare rapidamente col pubblico, annunciando l’ultimo pezzo “per ovvi motivi”. Inizia così Niran, guidato da una voce ancestrale spezzata da un dolore innato, tanto che più di qualcuno si chiede se sia davvero lui a cantare, mentre le angoscianti trame di synth si levano come a sfidare un ostinato cielo che non vuole saperne di dare tregua.
“Grazie per il coraggio”, dice Jacopo al termine del concerto, costretto a chiudersi anzitempo un’ora dopo il suo inizio. Il pubblico, fradicio, applaude a profusione. Qualcuno inizia a dileguarsi, ma il grosso rimane ancora un attimo lì, troppo coinvolto dal live per rendersi conto della portata del temporale che sta per arrivare. Nel giro di un paio di minuti scende un diluvio tremendo, tanto che molti decidono di rifugiarsi momentaneamente nell’enorme porticato della villa, prima di tentare di raggiungere il parcheggio. Un nubifragio a cui sì, siamo abituati in Friuli, ma che qua diventa un’amplificazione della poesia di Iosonouncane: tutta l’intensità e la devastazione evocate in Ira trovano una loro risposta nella natura, come se fosse stato lui stesso a evocare questa pioggia per sciacquare via una sofferenza incancellabile, profonda e comune a tutta l’umanità.
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L'articolo "Ira" di Iosonouncane fa tremare anche il cielo di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2021-07-05 16:00:00
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