Ivan Graziani ha ridisegnato i confini della canzone sentimentale

Qui si parla delle strategie fallimentari di rimorchio dell'ingegner Ferri, che raccontava un sacco di storie improbabili. Non tutti possono essere come il cantautore abruzzese, che ha parlato d'amore e di altre sfighe come pochi suoi colleghi

Ivan Graziani in una foto promozionale
Ivan Graziani in una foto promozionale

Penso sempre all'inettitudine al rimorchio dell'ingegner Ferri se ascolto Firenze (Canzone Triste) di Ivan Graziani. Lasciate che vi racconti. Alto, con gli occhiali spessi, spigoloso, l'ingegner Ferri non è sempre stato così. A dire il vero, l'ingegner Ferri non è neanche mai stato ingegnere. Il nomignolo gli venne affibbiato da qualcuno di noi ai tempi del liceo, sentendolo raccontare di come Ostia, in pratica, l'abbia costruita lui: l'ospedale Grassi, la scuola media Passeroni, i palazzi, tutta opera sua. Non solo, come dimenticarsi di quando organizzò un concerto dei Led Zeppelin alla parrocchia di Regina Pacis, “prima di loro ha suonato Robert Wyatt”; o di quella volta che regalò una sua poesia, Il Cielo, a un “regazzino imbranato a pallone ma sensibile” che poi sarebbe diventato Renato Zero.

L'ingegner Ferri non è sempre stato come lo si vede ora. Fisico gonfio di alcol, Prozac, medicine varie e altre consolazioni. Piedi sporchi, aspetto sciatto. C'è stato un tempo che, con un parrucchino che lo faceva sembrare venti anni più scemo, riusciva pure a tentare improbabili approcci sul lungo mare del litorale romano. Con quei suoi finti capelli d'oro e un giubottaccio con il collo di pelo di qualcosa, non era poi tanto diverso da quei cummenda televisivi alla Zampetti. Si metteva di tre quarti sulla balaustra e, con il mare di fronte, magari al tramonto, diceva bestialità come: “Me lo sento addosso, è così romantico!”, per poi iniziare le sue storie, sempre modeste, sempre nuove.  

Capiamoci: difficilmente gli approcci dell'ingegner Ferri erano meno rocamboleschi o disastrosi dei nostri che lo osservavamo divertiti. Tanto io, quando giocavo al dottore con le cuginette, finivo col guidare l'autoambulanza, tanto lui finiva per spanzare qualche successo personale un pelino difficile da credersi. Immaginatelo modulare il tono della sua voce, abbassandolo rispetto al suo standard, si faceva serio come un crooner, e poi diceva: “E poi c'era un'arietta quella sera con Neil sulla Luna!”; oppure: “Non mi posso trattenere molto, mi aspettano i Kiss per il té!”. La ragazza (o le ragazze, il Ferri non si faceva scrupoli) scoppiava allora ridere, fino a capire spaesata che l'ingegnere diceva - ehm - sul serio. Voglio dire, per lui c'erano davvero Gene Simmons e Paul Stanley ad attenderlo per il té. Eppure fino a due minuti prima si era zuppata tutti i suoi discorsi sul tramonto “toccante”.

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Ma stiamo scherzando? Evidentemente, il banale in amore funziona sempre. O quasi. Prendete, per dire, l'opera più nota di Goethe, I Dolori del Giovane Werther: un costante ammettere “ti sarà già noto”. Eppure questo è forse il primo successo letterario tedesco su scala mondiale che si ricordi. Evidentemente, il banale in amore funziona. Chiaramente il fine è generalmente trombare, e solo i migliori riescono a raggiungerlo, ma in una certa misura anche sfiorarlo non è male. “Firenze nasce dal mio amore per i film di Elvis - disse in un'intervista Ivan Graziani - Perché Elvis prima si scatenava ma, quando si trovava con la ragazzina giusta, finiva per parlare del suo cuore infranto e quelle si scioglievano”. Penso sempre all'inettitudine al rimorchio dell'ingegner Ferri, l'ho detto, che poi è solo un'estensione dell'incapacità di tutti, incapaci e sboroni, quando ascolto Firenze (Canzone Triste) di  Ivan Graziani, uscita proprio in questi giorni quaranta anni fa. E mentre gli archi arrangiati dal'ex-Perigeo Gianni Tommasi, le tastiere di Dave Bristow e il resto si mettono a ballare un valzer sotto la sua voce rotta e onesta penso “ecco, così saremmo tutti più credibili”.
 
Sento il dialogo tra protagonista e studente irlandese di filosofia, il terzo incomodo, il Barbarossa, entrambi rimasti senza l'amore della donna contesa e non posso fare a meno di rimanere estasiato. Non fosse altro perché è una delle poche canzoni mai scritte che iniziano con uno (come si direbbe ora) spoiler: “Firenze lo sai, non è servita a cambiarla”. Geniale. Il due di picche prima del due di picche. Faccio la fine di una che si ritroverebbe con l'ingegner Ferri in mutande, se soltanto avesse creduto alla stronzata dell'allunaggio. Che come storiella era pure meglio dell'ovvietà del tramonto. Ma Ferri e io non siamo Graziani, al massimo siamo Pupo. Perché anche a prendersi un forfait si deve avere un certo non so che. Non vorrei passare per cinico, ma “La cosa che ha amato di più è stata l’aria” come batosta non è che scherzi. O vogliamo soffermarci sull'effetto che fa “Lei ha disegnato, ha riempito cartelle di sogni” sulle labbra del occhialuto Ivan rispetto alle mie? Buddy Holly e Woody Allen – rimanendo in tema  quattrocchi. E poco cale se non fosse proprio l'ideale maschile rapportabile al gentil sesso, come noi o l'ingegner Ferri. La riuscita comunicativa o, se si vuole, del potere seduttivo della sfiga per mezzo di una marcata credibilità poetica, viene da sé.

Ivan Graziani ha scritto di un gran numero di sfighe assortite. Molte di queste son contenute proprio in Viaggi e Inteperie (Numero Uno, 1980), di cui Firenze fu il primo singolo a uscire (Angelina sul Lato B, per capire la stazza). Da Olanda (“Scappare da qui, fuggire lontano, un mondo nuovo che ci accolga tutti e due senza malinconie”) ad Angelina (“Al Mini Bar di Corso Emanuele mordendo il tuo panino stai ancora piangendo / Angelina, Angelina, Angelina non mi dire mai di no”) e Siracusa (“Gli occhi profondi e una spina nel cuore lei mi disse / Ti prego stai attento lui è cattivo ed io gli appartengo come se fossi una cosa”). Ma la sua musica e quella di Firenze (Canzone Triste), più di  tutte, è perfetta per coccolare le tristezze vostre o del vostro amico del cuore: uomo, donna o quel che sia. Così, quando parte: “Per questo canto una canzone triste, triste, triste / Triste, triste, triste / Triste, triste /Triste come me” non c'è ritrosia amorosa che tenga. Non c'è coolness standardizzata che tenga. Ivan Graziani diventa una versione sincera a speculare di noi che per entrare nella stanza da letto di qualcuno tiriamo in mezzo Neil Armstrong con risultati che possiamo ben immaginare.

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Graziani ha ridisegnato, qui e non solo, i confini della canzone sentimentale, avvicinandola a una forma d'arte. In cui ogni aspetto di una Firenze classica di arte, sculture, quadri e scorci  gioca dalla sua parte. Tra romanzo rosa e aulica investigazione dei sentimenti. E quando a un minuto e trenta il crescendo si ferma in uno “stop and go” ben costruito ed estremamente lirico è naturale finire per mettersi a canticchiare in falsetto “E non c'è più nessuno / Che mi parli ancora un po' di lei, ancora un po' di lei”. Come se non fosse mai esistita. E quando inizi a canticchiare una canzone, significa che possiede una sensibilità pop. Mi ritrovo spesso a mugugnare canzoni così. Ma ho sbraitato più canzoni dei Negazione. I Negazione sono decisamente più eccitanti di Ivan Graziani, ma Ivan riesce a creare una maggiore empatia con (la maggioranza de) gli esseri umani. “Caro il mio Barbarossa /  compagno di un'avventura / Certo che se lei se n'è andata no, non è colpa mia /Oh lo so, lo so, la tua vita non cambierà / Ritornerai in Irlanda con la tua laurea in filosofia /Ma io che farò in questa città? Fottuto di malinconia e di lei... ”. Graziani sa il fatto suo. Pochi altri riuscirebbero a recitare versi simili, senza finire per fare la figura del peracottaro al solo pronunciare “filosofia”. Battiato, di sicuro. Bianconi, forse. I Perturbazione e Cristicchi hanno goffamente tentato. Noi e l'ingegner Ferri, che non siamo né Elvis né Ivan Graziani, no. Noi siamo più da: “Accomodati, metto su un disco!”. Banale? E chi ha paura ad essere banale? In alternativa ci sono sempre i Kiss per il té.

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L'articolo Ivan Graziani ha ridisegnato i confini della canzone sentimentale di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2020-10-19 11:00:00

COMMENTI (3)

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  • michelebertoni 4 anni fa Rispondi

    Bella riflessione Giorgio, m'è proprio piaciuta e m'ha fatto anche sorridere, con un po' d'amaro sulle labbra. Giusto scrivo per esaltare il Graziani chitarrista da paura, penso siamo tutti d'accordo su questo. Alla prossima.

  • lasciara 4 anni fa Rispondi

    sono pienamente daccordo su quel che hai detto su Graziani,a cominciare da Lugano addio,canzone che l'ha fatto conoscere al grande publico e poi canzoni malinconiche e rok and rols sfrenati come solo pochi cant'autori hanno saputo fare. Dimmi come si puo' star fermi al suono della sua chitarra in "fuochi sulla collina " ?

  • cd507396c 4 anni fa Rispondi

    ma de che stai a parlà?, non se capisce