Come ci è finito un pugliese in un paesino sperduto dell’Islanda? E come mai il bar in cui lavora è diventato un caso nazionale in Islanda? La storia di Leonardo Piccione ha dell’incredibile: dopo aver preso il suo dottorato in scienze statistiche all’università di Padova, Leonardo ha deciso di andare in Islanda, Paese che da sempre lo affascina, e dove ha trovato l'ispirazione per scrivere Il libro dei vulcani d'Islanda, edito da Iperborea.
Da qualche anno vive a Húsavík, cittadina turistica di appena 2000 abitanti. E che negli ultimi giorni è finito su tutte le testate nazionali islandesi, e non solo, proprio grazie a Leonardo, il quale ha documentato tutto sul suo profilo Twitter. Una storia assurda dove la musica è protagonista, e che lo stesso Leonardo ci ha raccontato.
Ci spieghi cos’è successo?
Su Netflix è uscito Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga con Will Ferrell e Rachel McAdams, che interpretano una coppia di cantanti islandesi che vuole partecipare all’Eurovision e che qua è diventato famosissimo. Nel film, quando loro suonano le loro canzoni candidate per andare all’Eurovision nel pub di Húsavík, gli avventori chiedono sempre di suonare la stessa canzone: Jaja Ding Dong, un motivetto da Oktoberfest con un testo molto esplicito in ambito sessuale. A me allora è venuta l’idea di chiamare il bar che stavamo per aprire, collegato all'hotel dove lavoro e di cui c’era già il progetto, con il titolo della canzone.
Come doveva chiamarsi il bar?
Kon-Tiki, come la zattera dell’esploratore Thor Heyerdahl. Örlygur Hnefill Örlygsson, il titolare dell’hotel, ha anche fondato un museo sull’esplorazione, quindi siamo passati da un riferimento ricercato alla canzoncina di Will Ferrel (ride, ndr). Sta funzionando, però, abbiamo tantissimi clienti e ne parlano tutti.
Dov'è stato girato il film?
L’anno scorso gli attori sono stati qua a Húsavík quattro giorni, in particolare ho avuto l’occasione di bere due birre con Pierce Brosnan. Ci siamo trovati in uno dei bar del paese e lui mi ha offerto da bere, era venuto a vedere il museo dell’esplorazione nel pomeriggio e poi per caso ci siamo rivisti al bar. Abbiamo parlato di vulcani principalmente, visto che lui è stato protagonista di un film sui vulcani, Dante’s Peak. L’aspetto interessante di tutta questa vicenda è che sembra surreale da lontano, ma qui succede e basta. La magia dell’Islanda è che le cose succedono in maniera imprevedibile e sembrano normali.
Come viene presentata l’Islanda nel film?
In maniera caricaturale, si prendono in giro i luoghi comuni sugli islandesi come la credenza negli elfi o l’essere molto provinciali, però gli islandesi hanno amato questa cosa. Sono molto autoironici come popolo. L’hanno presa sul ridere e Jaja Ding Dong è diventato il tormentone estivo di quest’anno.
Il film è stato inizialmente recensito negativamente dalla critica, tu quando l’hai visto cosa hai pensato?
È interessante anche questa storia, col passare del tempo sono uscite sempre più opinioni positive. Il pubblico ha talmente amato questo film che anche le recensioni si sono in un qualche modo adeguate. È comunque una commedia con tanti difetti e una trama davvero elementare, però si fa voler bene. Prende in giro sia l’Eurovision che l’Islanda ma con benevolenza, per cui alla fine ci si ritrova incuriositi da queste due realtà.
Chi viene al vostro Jaja Ding Dong?
Prima di tutto va detto che è un bar solo all’aperto, che è una scelta inusuale per il clima islandese. Abbiamo sfruttato questo spiazzo di fronte all’hotel con una bellissima vista sul porto di Húsavík, quindi già di per sé era un’idea strana. Quest’anno ci vengono stranieri ma meno degli altri anni, vista la situazione internazionale, la maggior parte della clientela è islandese. Visto che non si può andare all’estero, molti islandesi stanno visitando il loro stesso paese, alcuni per la prima volta perché d’estate di solito sono presi d’assalto da turisti stranieri. Viene gente di tutte le fasce d’età e di ogni tipo: gli islandesi non associano un posto a una determinata clientela, non è un Paese dalle grandi divisioni sociali. Non si curano nemmeno del brutto tempo: io sto lì tutto incappottato con sciarpa e cappello, mentre loro si bevono tranquillamente la birra sotto la pioggia.
Perché avete aperto il bar?
Quest’estate ci sono meno turisti, quindi avevamo meno lavoro e più tempo libero e abbiamo deciso di buttarci in questo progetto in maniera improvvisata. Gli islandesi sono fatti così, hanno un approccio da "cogli l’attimo" perpetuo. Per esempio gli altri anni, con i turisti stranieri, a gennaio avevamo già l’hotel pieno per l’estate, questa volta invece ci arrivano le prenotazioni il giorno prima perché si tratta di islandesi che decidono all’ultimo secondo dove andare. In un mese siamo riusciti a imbastire tutto un po’ per la burocrazia snella, un po’ perché quando lavoravamo più intensamente alla costruzione c’erano 24 ore di luce e quindi non ci sono limiti. E poi avevamo già tutte le licenze per l’hotel, quindi non è stato difficile.
Come sei finito in Islanda?
Io avevo il desiderio di andarci fin dal liceo, poi negli anni dell’università sono riuscito a visitarla e ho capito che dovevo tornarci e fare un’esperienza da residente. Ho cominciato a cercare qualche lavoro, poi ho cominciato a scrivere perché mi sembrava il modo più giusto per trasferire questo mio interesse verso gli altri e così sono finito a Húsavík e al suo museo dell’esplorazione. Qua sono raccolte storie di esploratori che in qualche modo hanno avuto con l’Islanda tra cui Neil Armstrong: ci era venuto per prepararsi dal punto di vista geologico al viaggio sulla Luna.
Com’è stato passare dall’Italia all’Islanda?
Mentre stavo finendo il mio dottorato in scienze statistiche sentivo il bisogno di un cambiamento netto rispetto alla vita da ricercatore, che comunque è bella e non rinnego, però avevo bisogno di affiancare ai numeri le parole. Ho cominciato a viaggiare e a raccogliere storie, l’esperienza islandese è quella che mi ha segnato di più. Il primo inverno qua è stato difficile, fa freddo e le ore di luce sono poche, io vengo dalla Puglia e non è proprio il clima più simile che ci sia. Io però sono un pugliese atipico, sto bene quando fa freddo e sto bene anche da solo. Quando si scrive la solitudine è la situazione perfetta da ricercare. Ho trovato la condizione ambientale e umana giusta per sviluppare questa tensione che sentivo verso la scrittura.
Cosa ti affascina di più dell’Islanda?
L’Islanda si concilia con la creatività: rispetto a quanto è piccola la popolazione, il numero di artisti di fama internazionale è impressionante. Loro stessi dicono sia qualcosa alla terra, proprio per la sua vitalità geologica. Devono dare dei nomi nuovi a delle montagne o a dei campi di lava che prima non c’erano, è un’attività che stimola la fantasia ed educa chi vive qui a questo processo creativo. L’Italia e l’Islanda sono i Paesi più attivi dal punto di vista geologico e c’è un bel collegamento letterario tra loro: Jules Verne, nel suo Viaggio al centro della Terra, fa partire la spedizione dal vulcano islandese Sneffels e alla fine della storia spuntano a Stromboli. Io ho fatto in un certo senso il percorso inverso.
Si ascolta musica nel vostro bar? Di che genere?
Ho creato una playlist per il bar in base ai vari momenti della giornata, durante l’happy hour c’è solo la musica dell’Eurovision con le canzoni più famose del festival. Il resto della giornata c’è musica più rilassata, da caffè. L’idea è un posto tranquillo dove bersi qualcosa e godersi il panorama sulla baia.
Qualche musicista islandese che merita?
Sicuramente Daði: lui avrebbe dovuto rappresentare l’Islanda a questo Eurovision e aveva la canzone data per favorita dai bookmaker. L’Islanda non ha mai vinto l’Eurovision, quindi sono rimasti malissimo quando è saltata la competizione. Poi c’è un ragazzo che lavora con me al bar che suona, si chiama Rafnar, ha pubblicato l’anno scorso il suo primo disco e la cui musica fa da colonna sonora a Nammi - Islanda al di fuori del cerchio, un podcast che curo da qualche settimana con Francesco Perini.
La musica italiana si ascolta in Islanda?
C’è un legame particolarissimo: in Islanda per qualche motivo hanno trasposto alcune canzoni di Al Bano, Toto Cutugno e simili in canzoni natalizie. Nella playlist dell’happy hour che dicevo prima poi ci sono anche alcune canzoni italiane: L’essenziale di Marco Mengoni è abbastanza nota, poi Soldi di Mahmood la conoscono tutti, la canticchiano per strada.
E con il Covid è stato un problema quello dei concerti dal vivo? Avete in programma di farne nel vostro locale?
L’Islanda è uno dei Paesi che ha subito meno la pandemia, i concerti ci sono ma c’è un limite massimo di persone che possono partecipare. Questo però non è un problema visto che siamo in pochi, qualche giorno fa per esempio a Húsavík hanno suonato i Goss, una band molto interessante, la loro canzone di quest’estate è la mia preferita, si chiama Solar Samba. Noi vorremmo avere uno spazio di musica dal vivo, la cosa bella è che sul nostro profilo Instagram ci segue – oltre a Graham Norton – Lesley Roy, la cantante irlandese che doveva andare all’Eurovision quest’anno. Ci ha scritto dicendo che sta già guardando i voli da Dublino per venire nel nostro locale a suonare.
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L'articolo Storia di una canzone e di un bar "pugliese" in Islanda di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-07-27 17:03:00
COMMENTI (2)
Versione italiana di Husavik. Ciao a tutti
youtube.com/watch?v=VulYz2k…