Tra i tanti pezzi che escono durante la settimana, di solito a ridosso del venerdì (ma c'è chi anticipa di un giorno, come in questo caso), abbiamo scelto la canzone Manhole degli In June, trio romano formato da Daniela Mariti (cantautrice e chitarrista), Mara Graziano (batterista) e Pier Iulianello (bassista) sia per la musica che mischia sapientemente Billie Eilish ai Cure, sia per la tematica intima e sconvolgente che tratta.
Manhole è la narrazione di una ferita profonda che un abuso può lasciare, è una denuncia alle violenze psicologiche e fisiche che molte persone sono costrette ad affrontare durante il corso della loro vita e di cui a fatica si riesca a parlare. Raccontarle in un pezzo è un modo per esorcizzarle, renderle sì vivide ma affrontarle e in qualche modo inchiodarle al muro, provando a lasciarsele alle spalle. Siamo in un momento storico molto molto delicato, in cui parliamo spesso di temi come la normalizzazione dello spettro dei disturbi psicologici, dei diritti delle donne e delle minoranze schiacciate da secoli di pensiero a senso unico, quindi ci sembra del tutto giusto, una volta concluso il mese del Pride, non dimenticare violenze fisiche e psicologiche che molte persone subiscono in silenzio.
La musica che accompagna il testo è oscura, notturna, in bilico tra elettronica e quel rock che per maniera o (come in questo caso) per passione sta dimostrando giorno dopo giorno che non era per niente morto, che stava semplicemente prendendo la rincorsa per il nuovo salto. È interessante focalizzare l'attenzione sul fatto che sempre più band formate (in maggior parte) da ragazze preferiscono le distorsioni delle chitarre e le batterie pulsanti rispetto a percorsi più urbani. In questo caso, In June suonano in modo viscerale, etereo, prendendo ispirazione sia dalla wave di fine '80 che dalle band storiche degli anni '10 in stile Florence + The Machines, con una strizzata d'occhio al pop più sperimentale degli anni '20.
Manhole descrive in modo fotografico di come si convive con un abuso (che sia psicologico o fisico non è importante, che sia da parte di un uomo o di una donna non è importante e infatti non lo specifica), è un pezzo che racconta come si convive con un trauma, con la paura, con il dolore. Come si convive con l'essere di fatto un sopravvissuto. Abbiamo chiesto a Daniela di parlarci della canzone e questo è ciò che ci ha rivelato:
"La musica per me, come credo per molti in realtà, ha sempre avuto anche uno scopo terapeutico. Scrivere questo pezzo è stato curativo per certi versi. Da un lato, il riuscire a dire certe cose ad alta voce, senza vergognarmene, smettendo di nasconderle, è stato liberatorio, come se avessi iniziato a respirare dopo un lunghissimo tempo in cui fossi stata costretta in un'apnea forzata. Uno dei problemi più seri degli abusi è che la vittima, spesso, rischia di sentirsi quantomeno corresponsabile, se non del tutto colpevole. Quantomeno responsabile di non essere stata in grado di evitare delle dinamiche, di non averle sapute riconoscere.
E poi c'è il tema della diversificazione tra abuso psicologico e abuso fisico. La nostra è una società che non è ancora pronta a riconoscerli in modo paritario. Una traccia non visibile non fa meno male, non lascia ferite meno profonde, anzi, il rischio è che quelle ferite lascino danni molto più permanenti proprio perché non affrontate, sedimentate, nascoste. Parliamo tanto di normalizzazione e di accettazione, e per farlo io credo che sia necessario passare per la narrazione di un certo tipo di vissuto, è quello che ho provato a fare, facendo i conti con i miei traumi e i miei fantasmi, che credo siano purtroppo facilmente riconoscibili da molti. Accettare questo significa anche riuscire a guardarli negli occhi e riuscire a superarli".
L'accettazione che passa dal riconoscimento del disagio e dalla voglia o dall'urgenza di parlarne a tutti, nell'unico modo che una band può fare in concreto, scrivendo una canzone. Essendo in inglese, vi mostriamo la traduzione del testo per una miglior comprensione:
Ti chiedi mai
Perché io sia sempre spaventata? Mentre cammino per la strada
Mi arrendo alla paura
Distillo tutte le lacrime
Per creare un castello di vapore Dove nascondermiTi chiedi mai
Perché io guardi sempre indietro
Sulla via
Nelle parti più impolverate del mio cervello
E perché io abbia sempre bisogno di un po’ di cambiamento?Hai ragnatele che nascono dal tuo corpo
Ma le ferite potrebbero essere nuove di zeccaHo passato una vita a far finta che non fosse vero
Che non fosse mai successo, che fosse un sogno tra me e te
Ma poi la giovinezza ha portato delle conseguenze
E le immagini non volevano sparire
E ho imparato a non fidarmi di me stessa
Ho imparato che gli incubi non esistevano davvero
Ma la macchia si faceva sempre più ampia nei miei pensieri
E mi sono svegliata dall’essere stata priva di sensi
Per così tanto tempoCostretta alla detenzione in un tombino
Hai ragnatele che nascono dal tuo corpo
Ma le ferite potrebbero essere nuove di zeccaNon sei un uomo perché mi hai lasciata in una buca Non sei un uomo perché mi hai lasciata in una buca
Hai ragnatele che nascono dal tuo corpo
Ma le ferite potrebbero essere nuove di zecca
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L'articolo In June, la musica che guarisce le ferite di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-07-02 08:12:00
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