Era il 28 settembre del 1992, praticamente la preistoria coi brontosauri e gli uomini nudi con le clave. Per 20 minuti, il pubblico italiano di Italia1, la tv dei giovani, rimase ostaggio di un personaggio tutto sprint e parlantina, che indossava dei panni incresciosi: camicia nera, pantaloni larghissimi neri, giacca arancione con le spalline talmente grandi da sembrare Mazinga e capelli tirati indietro raccolti da una coda di cavallo foltissima. È il giovane Fiorello, che viene dai villaggi vacanze e dalla radio per spiegare agli italiani il significato della parola karaoke. La prima puntata si svolge in piazza, ad Alba in provincia di Cuneo e i concorrenti sono presi direttamente dalla piazza, per cantare perle come L'italiano di Toto Cutugno o Ci vuole un fisico bestiale di Luca Carboni. Il più bravo si porta a casa un lettore cd della grandezza di una tavola da stiro. i concorrenti e i loro look impossibili si prendevano i loro warholiani 15 minuti di popolarità, che rimanevano eterni nei paesi di provenienza. Erano quelli andati in tv a cantare, una novità assoluta, prima del Grande Fratello o di internet, che ha reso tutti desiderosi di 15 minuti di oblio.
È iniziata così per gli italiani la passione per il karaoke, ma in realtà, ancor prima di chiamare la cosa con un vocabolo giapponese, la cantata amatoriale di pezzi famosi è nel DNA di ogni cena alcolica, di ogni viaggio in macchina, delle feste comandate, dei matrimoni, delle serate annoiate e di quelle in pieno hype. È la tradizione che sposa il futuro, e tutti giù a cantare. Non deve certo fare strano se la data estiva di Max Pezzali a San Siro sta vendendo un sacco di biglietti (pare 30.000 in tre giorni): sarà un karaoke di quelli enormi, tutti vogliono far parte del coro che canterà fino a perdere la voce le canzoni dell'adolescenza. Perché Vasco Rossi fa ancora tour, forse perché ha finito i soldi? Non crediamo proprio, piuttosto per assecondare la richiesta dei fan di cantare un'altra volta Siamo solo noi e Albachiara con la mano rivolta al cielo.
Se da un lato la musica diventa territorio di ricerca underground su Soundcloud, dall'altra i concertoni dei dinosauri del rock, specie gli stranieri, riempiono spazi enormi. Pensate forse che vedere Paul McCartney sia un evento irripetibile? Stavolta pare di sì, anche lui fa parte di quel carrozzone di artisti anziani che fa cassa col Farewell Tour, e come fai a perderti per sempre l'opportunità di cantare i Beatles insieme a uno di loro?
Pensare che il karaoke sia un fenomeno solo mainstream sarebbe un delitto, perché da qualche anno in tutta Italia spuntano come funghi quelli un po' alternativi. Ariele Frizzante è diventato il Fiorello punk nelle sue serate milanesi e non solo: video, base con sopra le parole, microfono che gira tra il pubblico e la serata finisce in bellezza, tra un pezzo dei Green Day e uno di Venditti. Ci dice (Ariele, non Venditti): "Il nostro è un esperimento che va controcorrente rispetto al karaoke tradizionale, nel nostro si elimina alla radice l'individualismo del singolo che vuol cantare, noi distribuiamo 4 microfoni aperti per incentivare la cantata collettiva. Non è troppo diversa dall'esperienza decennale di dj set che ho fatto, ma se per far ballare si usano sempre delle canzoni di un certo tipo e sono quasi sempre le stesse, nel karaoke tento di introdurre ogni volta una decina di pezzi nuovi e la forchetta è ampia, si va dai classici ai moderni, dalle trash alle ballad, canzoni di solito escluse dai dj set tradizionali. Il Collettivo Karaoke gira a livello multigenerazionale, la settimana scorsa ne ho fatto uno per un pubblico di donne over 70, mi è capitato di avere dei bambini, di solito però il target è quello dei trentenni. Interessante e un po' inquietante è l'effetto nostalgia che hanno questi ventenni o poco più, che conoscono a memoria gli 883 ma non possono averli vissuti direttamente. Forse la nuova fruizione randomica della musica sulle piattaforme di streaming crea dei ricordi fittizi."
Il giovedì sembrava essere il giorno perfetto per il karaoke: serata potenzialmente noiosa, non ancora weekend, obbligo di tornare presto e allora niente di meglio di un aperitivo lungo che culmina nell'ubriacatura e nella perdita di dignità col microfono davanti, come la tipa che latra nel famoso video meme di Beyoncé. La voglia di cantare però è talmente profonda che ben presto la serata riempitivo è diventata il sabato sera di successo, forte anche del fatto che negli ultimi 5 anni la musica italiana ha fatto il botto ed è più facile cantare Ueeee deficiente rispetto ai testi degli Arctic Monkeys, non ci nascondiamo dietro a un dito.
Il futuro e il passato che si mischiano costantemente: Fiorello a Viva Raiplay invita sempre Calcutta e si diverte a fargli cantare le cover nella sua versione, poi fa fare il karaoke a Max Pezzali e tornare al punto di partenza, mille anni dopo. Potremmo fare un sacco di critica, pertinente o pregiudiziale sul karaoke, su chi lo fa e chi ci va, ma questa sarebbe l'analisi più superficiale di tutte. Viviamo in un'epoca di solitudini iperconnesse, di hikikomori (altra parola giapponese, guarda un po'), quelle persone che rinunciano del tutto alla vita sociale e si barricano in casa a giocare ai videogiochi e a chattare, ogni occasione sociale, anche la più caciarona, qualcosa di buono lo porta. Un po' di serotonina, un ricordo condiviso, una canzone emozionante o una solenne sbornia, sempre meglio dell'ennesima maratona di una serie tv che manco vi piace. Che facciamo, ci compriamo il cappello con la coda i cavallo incorporata e prendiamo il biglietto per cantare tutti insieme Nord Sud Ovest Est?
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L'articolo Una Repubblica fondata sul Karaoke (fuori sincrono) di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2019-12-04 15:11:00
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