"Normalità" è una parola che proviamo a pronunciare cautamente ormai da tempo, come se non riuscissimo a crederci fino in fondo, con la costante sensazione di illusione quando parliamo di questa fantomatica ripartenza. Ma quando sono le istituzioni a sancire un nuovo cambio di rotta ecco che la voglia di ripartire si fa collettiva, acquisisce maggiore credibilità, anche se la data fissata per la fine dello stato di emergenza coincide con il pesce d'aprile.
Ad accompagnarci fuori da questo incubo c'è Motta, alla seconda tappa del suo Tour nei club 2022, riprogrammato proprio a causa della pandemia. Dopo la data zero a Roma, è la volta del Locomotiv di Bologna, locale a cui l’artista è particolarmente affezionato. Sono presente anch'io dopo due anni, due lunghissimi e interminabili anni in cui non assistevo più a un concerto. Mi stavo dimenticando della fervida attesa, dell’impazienza del pubblico, dei sorrisi di chi digita la scaletta, dei fumi e del vociare confuso. Pian piano il locale si riempie, la data è sold out, le persone sono vicine e sono qui per lo stesso motivo; ed io questa volta, alla ripartenza, voglio crederci veramente. E ci crede anche Motta, che entra sul palco con un inchino e con una certa emozione di ritrovare il contatto con il pubblico.
Alle prime note di Prenditi quello che vuoi il suo saltellare comincia a rompere il ghiaccio, e con lui tutta la gente inizia a ritrovare confidenza con un ambiente che non viveva a pieno da troppo tempo. “Non vi siete scordati come si fa! Nemmeno noi!”, urla il cantautore alla fine di Del tempo che passa la felicità, che vede tutto il pubblico sempre più fomentato e carico. Gli psichedelici giochi di luce riflettono le teste che ho davanti a me, rivelando un "assembramento" – ma quanto ce la porteremo dietro questa parola? – che fa meno rima con paura. Esattamente due anni fa, nel pieno della prima ondata, avevo il timore che considerare chiunque un pericolo per la nostra incolumità diventasse una tremenda abitudine. Sentendo la folla cantare Quello che siamo diventati all’unisono mi rendo conto che quel brutto presagio non si è avverato. Il brano cantato dal vivo assume una forma più dinamica e animata rispetto alla versione in studio e si porta a casa il primo momento collettivo della serata.
Siamo già a metà, il tempo vola solo a constatare quanto sia bello ritrovarsi e godere insieme di un momento di gioia. Motta entra nel suo habitat naturale indossando la sua chitarra e intonando Quello che non so di te, un brano dall’animo punk tratto dal suo ultimo album Semplice, pubblicato nel 2021, che anticipa la parte più introspettiva della scaletta. Da Via della luce a Chissà dove sarai, Motta si concede in una veste intimista e disarmata, dimostrando una capacità interpretativa intensa e carismatica. Prima de La nostra ultima canzone, Motta inserisce il momento-nostalgia della serata con Fango, pezzo che cantò proprio per la prima volta al Locomotiv con l’ex gruppo Criminal Jokers.
“C’è un sole perfetto, ma lei vuole la luna”. Basta un unico verso per mandare il pubblico in visibilio. La fine dei vent’anni, uno dei pezzi manifesto della sua discografia, viene cantato da Motta seduto su una sedia, creando un’atmosfera raccolta e rapita e un silenzio attonito che somiglia a una magia. Ma la dimensione catartica che si è creata si interrompe dopo la prima strofa, quando un boato accoglie l’ospite a sorpresa: è Giovanni Truppi, presentato da Motta come "una delle persone che ho scelto in dieci secondi", per citare il testo della canzone. Il cantautore napoletano, reduce dall’ultima edizione del Festival di Sanremo con Tuo padre, mia madre, Lucia, entra in punta di piedi in un duetto che sa di amicizia e fratellanza, regalandoci uno dei momenti più toccanti del concerto.
Il pezzo di chiusura è Quando guardiamo una rosa, dove prevale l’uso della tastiera dopo un lungo momento di assoli di chitarra e batteria spinta. Sul finire del concerto Motta dichiara a tutti che tra noi spettatori, laggiù, sono presenti anche i suoi genitori e la zia, dando alla serata una cornice ancora più intima e familiare che solo i club riescono a garantire.
Uscendo dal locale con le orecchie piacevolmente frastornate, tra la contentezza di aver rivisto un concerto dal vivo e l’entusiasmo nell’essere in un luogo così stimolante, mi hanno assalito alcune domande: è questa la normalità che tutti aspettavamo? Possiamo finalmente credere alla ripartenza senza risultare imprudenti? E se pensiamo a quello che è successo nelle ultime settimane a poche centinaia di chilometri da noi, si può rispettare il dolore di chi soffre, rispondendo con un giro di chitarra elettrica e un coro di voci festoso? La risposta, come al solito, mi arriva dalla musica, che non è mai fuori luogo e che ci insegna quotidianamente il valore della solidarietà, rendendoci un unico organismo fatto di emozioni e gioia di condividere. Non so se la mia è un’illusione, ma "sarebbe bello finire così, lasciare tutto e godersi l'inganno".
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L'articolo La fine dei due anni di Beniamino Strani è apparso su Rockit.it il 2022-04-04 09:54:00
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