La notizia è stata uno scossone per gli appassionati di musica di tutto il mondo: Pitchfork, la principale webzine musicale online a livello internazionale, verrà inglobata all'interno del magazine GQ – che a occhio c'entra poco con un sito di critica musicale così specializzato, ma tant'è –, portando a una riduzione del personale non meglio quantificata come conseguenza. Entrambe le testate sono controllate dal colosso editoriale Condé Nast, la cui chief content officer Anna Wintour ha comunicato ai dipendenti la scelta attraverso un'e-mail. Tra le teste saltate in questa rivoluzione calata dall'alto c'è quella di Puja Patel, caporedattrice di Pitchfork dal 2018.
Pitchfork era nato nel 1996 a Minneapolis per mano di Ryan Schreiber, all'epoca dipendente di un negozio di dischi, come un blog incentrato sulla scena alternativa e indie e col nome di Turntable. Era qualcosa di nuovo, fresco, per certi versi anche molto sbagliato, visto il taglio molto personale nella scrittura, ma di cui evidentemente si sentiva il bisogno. Nel corso degli anni Pitchfork ha assunto sempre maggiore autorevolezza, fino a diventare la mecca – criticata, discussa, spesso parodiata per lo stile di scrittura, ma non di meno un punto di riferimento – per gli appassionati di musica di tutto il mondo. C'è pure una meravigliosa pagina di meme italiana abbastanza seguita che mescola calcio e musica il cui nome è un gioco di parole su Pitchfork, giusto per rendere l'idea di quanto sia nota anche dai musicofili nostrani.
An awful day for music journalism, music journalists – and for music, too. Saluting all the great editors I’ve worked with at Pitchfork and my fellow contributors.
— Simon Reynolds (@SimonRetromania) January 17, 2024
Nel 2015 era arrivato l'acquisto da parte di Condé Nast, mossa che aveva fatto storcere il naso parecchio ai puristi del sito e che si era riflessa nelle scelte editoriali degli anni seguire, con una attenzione sempre maggiore alla dimensione mainstream. Meno ricerca, più moda, per dirla in due parole. Col passaggio di proprietà Schreiber era rimasto all'interno del sito nel ruolo caporedattore, per poi passare il testimone alla già citata Puja Patel. La fine di Pitchfork per come lo conosciamo, quindi, chiude un'epoca, ma non era il primo stravolgimento della sua vita quasi trentennale. E, soprattutto, sembra che questo destino fosse segnato a partire dall'entrare a far parte di una multinazionale.
Vedere questo sgretolamento della redazione di Pitchfork fa impressione, pensando al peso che era riuscito a conquistarsi all'interno del settore, al punto che si ritiene abbia contribuito e non di poco al successo di numerose band e progetti musicali, intercettati nella fase embrionale della propria carriera (quello che, concedetecelo, cerchiamo di fare noi ogni giorno nel nostro piccolo). Come Bon Iver: il suo debutto For Emma, Forever Ago è oggi considerato un capolavoro, ma tra i primissimi a incensarlo ci fu proprio Pitchfork, che lo inserì tra i migliori dischi del 2007, anticipando le testate illustri che l'avrebbero poi inserito nei classificoni dell'anno successivo. O ancora gli Arcade Fire, che si videro appioppare un bel 9.7 (Pitchfork associa un voto da 1 a 10 a ogni album recensito con tanto di decimale) al loro iconico esordio Funeral, disco che poi sarebbe stato indicato come disco più bello del 2004 secondo la testata.
I've referred to my job at pitchfork as being on a ferris wheel at closing time, just waiting for them to yank me down. after nearly 8 yrs, mass layoffs got me. glad we could spend that time trying to make it a less dude-ish place just for GQ to end up at the helm
— Jill Mapes (@jillian_mapes) January 17, 2024
Oltre a questo, uno dei pregi che ha dato a Pitchfork questo status è la capacità di avere uno sguardo parecchio ampio sulle uscite discografiche, fino a sconfinare in territori inaspettati. Per fare un esempio, nel 2020 la violinista bolognese Silvia Tarozzi era finita tra i consigli d'ascolto della webzine col suo progetto solista Mi specchio e rifletto, disco di musica tra classica, jazz e sperimentazione ispirato dalle poesie di Alda Merini. Insomma, non proprio scontato che qualcosa del genere arrivi alle orecchie di un gruppo di critici anglofoni, eppure è successo.
Ora questo punto di riferimento è destinato a venire mangiato da un magazine dedicato all'universo maschile (qualsiasi cosa voglia dire questa espressione nel 2024). Come commenta amaramente la critica Jill Mapes, tra le persone licenziate da Pitchfork: "Sono contenta che abbiamo passato tutto questo tempo a cercare di rendere il giornale un posto meno maschilista, solo perché GQ finisse al timone". In una discografia sempre più schizofrenica e satura, in un'ecosistema dove la critica musicale è sempre più marginale, abbiamo perso un altro tassello che sarà difficile sostituire.
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L'articolo La "fine" di Pitchfork è la fine di un'era di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2024-01-18 14:53:00
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