Cos’è l’identità? Di un popolo, di una regione, di un territorio? Regola innegabile o percorso in piena evoluzione? Dogma o magma? La lava che scorre nelle strade intorno a Melpignano sono persone, 200mila, circa. Giovani, adulti, gruppi organizzati, famiglie intere, pronte a riunirsi proprio nel nome dell’identità, il tema di quest’anno della ventiseiesima Notte Della Taranta. Come ogni anno, il Salento è cornice di un evento più unico che raro, in cui una folla sconfinata accorre per un happening che celebra non un trend del momento, ma la tradizione popolare che anno dopo anno continua a cambiare, ibridarsi, diventare altro da sé mantenendo una chiara matrice identitaria. E non dipende dagli headliner, come ad un festival, non dipende da chi c’è sul palco, alla base di questo amore ci sono le canzoni: un repertorio vivo.
Al centro del concertone c’è il ruolo del Maestro Concertatore: direttore artistico, master of ceremony, narratore di questa grande storia. In passato ci sono stati Steward Copeland, Mauro Pagani, Ludovico Einaudi, Goran Bregović, Phil Manzanera, Carmen Consoli, Enrico Melozzi con Madame e, l’anno scorso, il coraggiosissimo set diretto da Dardust – con innesti elettronici accesissimi e addirittura campioni dei Chemical Brothers sul finale –, mentre quest’anno il podio va a Fiorella Mannoia. Attenzione, chiariamolo subito: Maestra, con la A, nonostante l’opinione di alcune esponenti del mondo musicale governativo: "sono una donna, perché mi dovrei chiamare Maestro Concertatore? Diamo l’identità alle cose: le dottoresse sono dottoresse, le professoresse sono professoresse, quindi come ci sono i Maestri Concertatori io sono una Maestra Concertatrice", come ci spiega Mannoia in conferenza, dove tiene a ribadire anche che "... la Taranta è roba di femmine". Ad accompagnarla nel confezionamento dello show, gli arrangiatori Carlo Di Francesco e Clemente Ferrari.
La piazza è piena fin dal giorno prima: 60'000 presenze già per le prove generali. Per la curiosità di vedere quale vestito avrà indossato la tradizione musicale salentina, affidata, come sempre, anche a ospiti d’eccezione: Arisa, voce versatile e carnale, il fantasista Brunori Sas e la rivelazione del pop di quest’anno Tananai. L’impianto scenico è quello di un evento rock, con grandi ledwall e una grande ricerca anche nei visual, per ricreare l’aspetto della festa di piazza del futuro, proiettando luminarie in movimento: una grande gioiosa festa popolare per far ballare una intera regione.
Il concerto si apre con Un giorno di venerdì, cantata da Fiorella Mannoia e dedicata a Gigi Chiriatti, nume tutelare dell’arte della taranta, scomparso pochi mesi fa, solo una settimana dopo l’incontro con Mannoia. L’orchestra si accende, come il pubblico e la festa, con migliaia di tamburelli anche nel pubblico ad accompagnare ogni canzone. Sale sul palco, emozionatissimo, Tananai, con un segno rosso sotto l’occhio, una camicia con la scritta ADESSO BASTA, NESSUN’ALTRA! sulla schiena. Affida la sua Tango ai violini per poi fare festa con il pubblico su Ri ro la la, c’è l’emozione e la gioia, e il nostro golden boy porta a casa il risultato con evidente meraviglia per il colpo d’occhio dal palco. Si ripeterà con La pizzica di Aradeo, più complicata testualmente, ma il ragazzo ha evidentemente studiato, padroneggia il brano e si gira spesso e volentieri per cercare l’approvazione dei cantanti dell’orchestra.
Quando gli ospiti lasciano il palco e tornano i solisti residenti al centro della scena, il vocio del pubblico non diminuisce, anzi, urlano i loro nomi: sono dei local hero perché rappresentano l’arte e la tradizione tutti i giorni, in decine di concerti sul territorio, in tutta Italia e nel mondo, non soltanto in occasioni speciali come questa. Hanno personalità diverse ma portano in scena il canto in grico con approcci diversi e complementari, da Salvatore Galeanda, che apre le danze trascinando il pubblico, a Consuelo Alfieri, che con la sua performance di L’acqua de la funtana dimostra che si può essere una popstar fatta e finita anche con le canzoni della tradizione popolare, passando poi per l’approccio più classico di Stefania Morciano ed Alessandra Caiulo, quello raffinato di Enza Pagliara, l’idolo delle folle Antonio Amato – scatenatissimo mattatore quasi punk su Aria caddhipulina che chiude la scaletta prima della buonanotte – e la voce profondissima di Giancarlo Paglialunga. Sono delle star, perché rendono giustizia alla storia della musica di questo posto.
Alla voce di Arisa, "...che canta come se cantasse per ognuno di noi" (Cit. Mannoia), è affidata una canzone fondamentale per questa Notte della Taranta: Ferma zitella – struggente ballata su una donna che pretende la propria libertà – mescolata con La Notte, la signature song della cantante lucana. Tornerà sul palco per cantare e ballare una megahit come Lu ruciu de lu mare, mettendo a segno due performance muscolari anche dal punto di vista vocale. A Brunori Sas, invece, è affidato l’arduo compito di cantare in arbëreche, il dialetto delle comunità italoalbanesi, e Lule lule è una sorpresa, così come l’occhiata cantautorale data ad Aremu.
A sottolineare che la Taranta sia Donna, anche le parole di Fiorella Mannoia, che non fermano l’aria festante, anzi, ricordano al pubblico che l’amore sia reciprocità, e il pubblico risponde con un boato dimostrando consapevolezza e vicinanza per i tremendi fatti degli ultimi giorni, tra lo stupro di Palermo e quello di Caivano, prima che Taggiu Amatu si trasformi in una trascinante Bocca Di Rosa cantata con le cantanti residenti dell’Orchestra. È proprio lei, a cantare Madonna de lu mare e Fimmine fimmine, canzone di protesta per la condizione delle donne lavoratrici.
Quando non suonano, gli orchestrali ballano, festeggiano, si divertono, lanciano baci e aizzano il pubblico, zompettano allegri e incoraggiano i propri colleghi che hanno una parte da suonare. Ballerini espressivi e sempre sorridenti, contagiosi nella gioia di prendere parte a un tassello di storia, diretti magistralmente da Francesca Romana Di Maio per dare corpo alle storie raccontate nelle canzoni in quadri immediatamente comprensibili. Dietro le quinte ballano i backliner, i tecnici, anche i giornalisti – persino io – e il pubblico è parte integrante dello show, come quando sul palco i percussionisti residenti insieme a Carlo Di Francesco danno vita a un momento di soli cinque tamburelli contro duecentomila persone, una sfida senza vincitori, perché tutti sono parte dello spartito.
Una Notte della Taranta che dimostra come un songbook importante – e quasi dimenticato, prima del lavoro della Fondazione – possa rinascere ogni anno, non essere mai impolverato, vecchio, pesante, scontato. E viene quasi da pensare immalinconendosi come mai altri repertori italiani non siano capaci di presentarsi con questa visione contemporanea e proiettata al futuro, perché non esista una innovazione dei canzonieri napoletano, sardo, di mille altre zone d’Italia che potrebbero fare tesoro di questa lezione, creare turismo culturale e consegnare alle nuove generazioni una nuova faccia della propria identità, proprio come è stata messa in tasca di ognuno dei ragazzi che hanno ballato sotto al palco in questa ventiseiesima Notte. Uno spettacolo di festa, luci e colori che chi non c’era potrà ammirare il 4 Settembre 2023 alle 23.25 su Rai1, considerato che gran parte del successo di quest’anno è figlio dalla trasmissione televisiva del concertone dell’anno scorso.
Cos’è l’identità? Forse, è duecentomila persone che ballano.
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L'articolo La Notte della Taranta è un popolo che non smette mai di ballare di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2023-08-28 10:30:00
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