"La rivoluzione digitale è compiuta, ora salviamo la musica": parla la FIMI

La pandemia inaugura definitivamente l'era dello streaming, ma allo stesso tempo esalta il vinile. E poi i live club abbandonati dalle istituzioni, i lavoratori da tutelare a ogni costo, partite di calcio vs. concerti: conversazione con Enzo Mazza, Ceo della Federazione Industria Musicale Italiana

La rassegna bolognese "Tutto Molto Bello" - foto di Marianna Fornaro
La rassegna bolognese "Tutto Molto Bello" - foto di Marianna Fornaro

"Riapriamo gli stadi, ma non teatri né live". Così cantava Willie Peyote nella sanremese Mai dire mai, brano che gli è valso  – una volta di più – l'accusa di populista, semplificatore se non mistificatore della realtà. Poche settimane dopo arrivavano le prime conferme del governo alla cosiddetta "Deroga Salva-Europeo", che da giugno riaprirà – pare a 16mila persone – l'Olimpico di Roma per la competizione continentale del pallone. Che ne sarà dei concerti, per il momento non è dato a sapersi.

"Non si vendono più i dischi, tanto c'è Spotify", aggiunge Willie, che per altro sulla piattaforma svedese sta andando fortissimo con il pezzo. E però qualche disco pare si venda. Vinili, per la precisione, visto che dopo 30 anni il supporto ha sorpassato il Cd tra i segmenti di vendita in Italia, segnando una crescita del 121% nel primo trimestre 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020, contro il calo del 6% del collega sottodimensionato. Problema risolto, dunque? Difficile essere più lontani dalla verità.

Eppure non è del rapper torinese che ci occuperemo qui oggi, né delle sue doti di profeta. Bensì di numeri, ragionamenti e prospettive, assieme alla persona che più di ogni altra nel settore musica in Italia è chiamata a svilupparli: Enzo Mazza, Ceo della Fimi. Di recente la Federazione dell'Industria Musicale Italiana, branca di Confindustria che si occupa della materia, ha diffuso dati decisamente interessanti. 

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Nel 2020 secondo il Global Music Report il mercato globale della musica registrata è cresciuto del 7,4% (sesto anno consecutivo col segno +). La crescita è stata trainata dallo streaming (con ricavi aumentati del 18,5%), contro il -4,7% del formato fisico (e quindi alla fine Willie Peyote ha ragione pure qua) e i diritti connessi, diminuiti del 10% a causa della pandemia. Una dinamica ancora più evidente in Italia, che ha registrato un'impennata negli abbonamenti streaming premium, i cui ricavi hanno visto un incremento del 29,77%, superando i 104 milioni di euro.

Da qui partiamo nella nostra conversazione con Enzo Mazza, da quella transizione digitale che procedeva da anni e che la pandemia ha ora completato (il digitale copre circa l’80% del fatturato italiano, mentre il vinile rappresenta l’11% delle vendite di musica nel Paese). Poi arriveremo ai live, alla "farsa" – parole sue – della riapertura degli stadi in mancanza di indicazioni chiare per la musica, di un mondo della cultura che "non può essere trattato così".

Enzo Mazza, Ceo della Fimi
Enzo Mazza, Ceo della Fimi

Nel vostro ultimo report descrivete la crescita del mercato discografico nel 2020, grazie ai consumi online. Avete fatto esercizio di ottimismo, visto il periodo, o davvero le cose complessivamente non vanno così male?

Tutto parte dalla distinzione tra ciò che è avvenuto nel mondo dei live e l’industria discografica: se parliamo di musica dal vivo la situazione è pessima, invece nel secondo caso ci sono delle note positive. I dati che abbiamo diffuso sono relativi alla sola musica registrata, in cui negli ultimi mesi si sono verificate delle accelerazioni importanti.

Avete scritto che la rivoluzione digitale è ora completa. Questo significa che prima non lo era ancora?

Il balzo in avanti causato dalla pandemia e dalle chiusure è stato notevole. La quota di mercato del digitale ha raggiunto nel 2020 l’81% di tutti i ricavi dell’industria in Italia, contro il 72% del 2019. La rivoluzione è stata lunga, era iniziata attorno al 2000 nell'era post-Napster, con tutte le difficoltà per la scarsità di infrastrutture e nella costruzione di nuovi modelli di business: ora con la pandemia mondiale si è salito l’ultimo gradino. Questo ha permesso al settore di resistere, "tenere il mercato", non essere travolto. Ha pagato un prezzo meno caro di settori più tradizionali o impossibilitati per status a una simile transizione, anche in mondi "contigui" come il cinema o la moda.

Qual è stato il fattore determinante? 

Il passaggio al digitale da parte delle fasce più adulte della popolazione. La fruizione digitale è qualcosa che varia da Paese a Paese: Stati Uniti, Corea o i Paesi nordici sullo streaming sono molto avanti rispetto a noi, soprattutto per via del fatto che qui l'informatizzazione degli "over" è sempre stata bassa. Il 2020 – tra smart working, DaD, nuove piattaforme – ha forzato il passaggio al digitale anche di chi è sempre stato legato a consumi più tradizionali. Non a caso abbiamo avuto una crescita degli abbonamenti ai servizi di streaming più alta che altrove. 

E il disco fisico che fine fa?

Sembra un paradosso, ma il boom del digitale ha trascinato anche le vendite di alcuni supporti fisici.

Vinili vari, foto di Bru-nO
Vinili vari, foto di Bru-nO

Si riferisce al vinile, immagino. Che cosa rappresenta oggi per un appassionato di musica?

In un momento in cui c'è un'enorme offerta di musica digitale, con 70-80 milioni di brani disponibili sulle piattaforme in ogni istante, molti fan sentono l'esigenza di reagire a questa "dematerializzazione" e vedono nel vinile un prodotto che li lega al loro artista in maniera più esclusiva. È un po' l'effetto merchandising. Teniamo presente che le fandom sono dei mercati sempre più imponenti e interessanti, anche grazie ai social media, che se ben usati possono mobilitare i fan come entità quasi "tribali".

La domanda chiave, però, è questa: tutto quello che abbiamo raccontato fin qua, a livello di sistema, è una buona o una cattiva notizia?  

Dal mio punto di vista, in linea generale, il digitale è una buona notizia, perché ha abbattuto del tutto le barriere all'ingresso. Nel 2020 abbiamo avuto 246 artisti che hanno superato la soglia dei 10 milioni di stream, contro i 97 che nel 2010 avevano più di 10mila copie vendute. Il mondo del disco fisico presentava vari ostacoli all'ingresso, dai costi di produzione a quelli di distribuzione. Ora decine di artisti senza un contratto fanno successo, prima non arrivavano nemmeno in un negozio di dischi.

Non trovo chi potrebbe contestare. Il punto è però la sostenibilità, che è anzitutto economica, del sistema. 

Essendo aumentato a dismisura il numero di artisti presenti sulle piattaforme, ci sono molte più registrazioni e di conseguenza una grande fetta di artisti che non raggiunge o raggiunge a malapena la soglia di ricavi che permette di svolgere questo lavoro professionalmente. Che la sola fetta discografica non assicuri in automatico il sostentamento è qualcosa che ha radici antiche, solo che quest'anno con la sparizione dei live e dei diritti d'autore connessi la situazione è precipitata. La costante crescita del mercato degli streaming e degli abbonamenti ai servizi, però, è un segnale senz'altro positivo. 

Per quale motivo?

Gli abbonamenti sono importanti perché fidelizzano. I consumatori di musica registrata già negli anni '80 o '90 hanno cominciato a essere una nicchia, o giù di li, mentre con lo streaming tornano a essere un mercato di massa. In prospettiva i ricavi non potranno che crescere.

La nostra vita negli ultimi 14 mesi
La nostra vita negli ultimi 14 mesi

Qual è il dato più sorprendente di quest'anno di digitalizzazione a tappe forzate? 

C'è stata una significativa affermazione dei consumi sulle piattaforme social: i ricavi dai modelli sostenuti dalla pubblicità sono cresciuti del 32% circa (38,9 milioni di euro). Parliamo di video caricati direttamente su Facebook o Instagram, clip di Tik Tok o altro, oggi tutti strumenti di promozione fondamentali. Anche senza abbonamenti, sono modelli che in ogni caso creano economie (e contrastano la pirateria).  

Quanto è equa la ripartizione dei fondi agli artisti?

Conta il catalogo. I numeri negli streaming, ma anche ad esempio nelle sincronizzazioni. 

Anche se poi sempre più artisti il proprio catalogo musicale lo vendono... 

Vero, ma lì parliamo di diritti d'autore. Della necessità di monetizzare da parte di persone o gruppi, magari di sistemare gli eredi oppure per altre motivazioni. 

Nel frattempo, però, non è più così raro trovare artisti che "mollano" Spotify o cercano soluzioni alternative per veicolare la propria musica. Accadrà sempre più spesso?

Queste sono iniziative che vanno valutate sulla base del rapporto di un artista con i suoi fan. Che oggi è la cosa più importante. Il trend va avanti da tempo – di recente anche la questione NFT ripropone questa dinamica –: a volte è meglio da un punto di vista delle entrate lavorare su 1000 prodotti esclusivi pensati per i fan più "ingaggiati" che affidarsi agli streaming. Parliamo comunque sempre di nicchie, più o meno grandi. 

Un live della scorsa estate
Un live della scorsa estate

Veniamo ai live. Sono fuori luogo se parlo di una situazione catastrofica?

Purtroppo no. Secondo i dati di Assomusica, il settore ha perso circa il 90 per cento dei suoi ricavi. L'impatto più brutale è stato sulle maestranze, lavoratori fragili ma quasi sempre esperti.

È preoccupato dalla perdita di competenze?

È uno degli aspetti che più mi preoccupa. Molti uomini e donne hanno dovuto cercare altro, e alla ripartenza sarà difficile recuperare queste professionalità. Faccio un esempio: se un tecnico delle luci nel frattempo ha mollato il live e fa l'elettricista, il settore avrà perso una risorsa preziosa. E ci vorrà tempo a formarne di nuove. 

Abbiamo intervistato tecnici di palco che fanno i rider, fonici che fanno i magazzinieri. Molti di loro hanno fatto dei mea culpa: per anni, ci hanno detto, ho accettato una situazione insostenibile, perché amavo quel che facevo e tutto sommato ci campavo, mentre avrei dovuto battermi per cambiare le cose. 

Il mondo dello spettacolo è da sempre non regolamentato. Ora serve una svolta, servono interventi importanti. La pandemia, e il gran lavoro comunicativo di questi mesi degli operatori del settore, ha evidenziato che dietro ai nostri palchi ci sono professionalità importanti. Che vanno riconosciute, anche da un punto di vista fiscale o previdenziale.

Inoltre stiamo perdendo luoghi di cultura che hanno sempre fatto la differenza sul territorio.

Un altro problema gigante. Non è stata messa in atto, da parte del governo né degli enti locali, una strategia volta tutelare i live club. Parliamo di bar, club, piccoli locali, che però sono una palestra per gli artisti e un punto di riferimento per i territori appunto. Realtà informali, fragili perché gravati da alti costi e costretti a lungo senza entrate. Già prima queste realtà scarseggiavano, ora la situazione è ulteriormente peggiorata. 

Che poi è un po' l'ennesimo paradosso. Ci siamo detti per anni che il live godeva di ottima salute, ma c'erano comunque pochi club e spesso in perdita. Come mai?

Perché non c'è mai stata una strategia, regole comuni, incentivi, investimenti che rendessero possibile questo tipo di attività. Come industria discografica, ad esempio, noi abbiamo un'interlocuzione con il MIBACT su temi come tax credit musicali, bonus cultura, copia privata o affini, ma sulla musica dal vivo nulla. C’è solo una Direzione Generale dello Spettacolo che si occupa di tutto, dai teatri d’opera alle fondazioni lirico-sinfoniche. La musica popolare è sempre stata la figliastra. Ora c'è una proposta di riforma con istanze bipartisan, arrivata fin in parlamento, per creare una Direzione Centrale Musica al ministero. Speriamo possa rappresentare una svolta. 

Quando si potrà tornare a suonare?

Tutto dipende dalla campagna vaccinale, che in Italia mi pare non brilli per efficienza al momento. Parlano di passaporto vaccinale, ma nel nostro caso non risolverebbe nulla o quasi perché Over 70 e 80, la maggior parte dei vaccinati, difficilmente sono il pubblico dei concerti. Sarà necessario un calo effettivo contagi per poter riaprire.

Dopo gli stadi comunque...

Mah, vediamo... So che il ministro Franceschini, anche alla luce della proposta della Uefa, sta lavorando a dei protocolli per ripartire a inizio estate con numeri tipo l'anno scorso, magari non più con 1000 posti all'aperto ma un po' superiori. 

Lucio Corsi e la sua banda live a Sarzana in estate
Lucio Corsi e la sua banda live a Sarzana in estate

Cosa chiedete al governo?

Orizzonti precisi, un piano per la ripartenza. Alla musica dal vivo servono prospettive e opportunità, date e progetti. Anche Sanremo sembrava impossibile, invece con protocolli fatti bene e con la collaborazione tra i soggetti interessati (pubblici e privati) si è portato a casa l'evento. C'è poi il tema dell'emergenza: al momento sono ancora necessari interventi economici e finanziari per aiutare e garantire professionisti e aziende del settore, soprattutto i più piccoli.

Tra tante nefandezze, cosa porteremo a casa di positivo da quest'anno? 

Si sono fatti esperimenti interessanti, che rimarranno. Penso ai video in streaming, che nel 2020 han fatto segnare un +24,97%. Se presi da soli non sono al momento sostenibili, ma se affiancati al ritorno della musica dal vivo offrono prospettive interessanti. Tipo il calcio, che tiene assieme una dinamica da stadio e quella casalinga. C’è un pubblico disponibile a consumare musica dal vivo attraverso la Rete, bisogna andare incontro a sue esigenze. 

Nell'era dell'accelerazionismo spinto e della perdita di interesse immediata, che senso hanno dischi d'oro e di platino?

Secondo me rimangono un aspetto importante della promozione di un artista. In un mondo in cui siamo sommersi di informazioni di ogni tipo, sono una certificazione univoca ed efficace per misurare il successo. In Italia, a differenza di altri Paesi, il consumo in streaming free non rientra nei calcoli, e questo limita l'impatto di forme un po' "dopanti" come i dischi di chi fa numeri enormi sui social o cose così. E ancora oggi celebriamo il disco d'oro o di platino per prodotti realizzati a fine '90 o nel 2000, sintomo di una costanza e di una penetrazione prolungata invidiabile.

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L'articolo "La rivoluzione digitale è compiuta, ora salviamo la musica": parla la FIMI di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2021-04-27 10:58:00

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