Cosa fate a San Valentino, non lo vogliamo sapere. Cosa ascolterete, invece, sì. E la nostra proposta è di riprendere in mano, o meglio in cuffia, L'amore non è bello, uno dei dischi più significativi del nuovo cantautorato italiano, che Dente pubblicava nello stesso giorno di 15 anni fa. E che ora ritorna con un doppio vinile in edizione speciale, a cura di INRI, in un packaging gatefold che include in grafica le fotografie, accordi, manoscritti e altro materiale, oltre all'album rimasterizzato, le demo di tutti i brani del disco e due tracce mai uscite prima.
L'amore non è bello sarà anche in tour, dal 13 febbraio. Si parte da Milano, si finisce il 25 a Roma. Qua tutte le date, occhio che ce ne sono varie sold out. Inoltre, per l'occasione, Dente ha recuperato il vecchio computer con cui 15 anni fa aveva mixato l'album. Nelle pause del lavoro di remastering che ha preceduto la ristampa, nello studio di Marco Borsatti a Bologna, ha racconta a Giulia Cavaliere come era nato L'amore non è bello.
Qua, in anteprima su Rockit, trovate il video di questo racconto. Sotto al video, il racconto della giornalista Giulia Cavaliere, per tanti anni firma di Rockit, per cui ha narrato vecchio e nuovo cantautorato italiano. Qua ci spiega perché L'amore non è bello è, invece, bellissimo.
È il 2008 quando verso le due della mattina, alle Scimmie, uno storico locale (anche) di musica live sul canale milanese chiamato Naviglio Grande, un ragazzo con un ciuffo molto folto parzialmente coperto da un berretto color ciclamino simile a una coppola, si avvicina a me e al mio gruppo di amici sull’uscio invitandoci ripetutamente al suo prossimo concerto. È un tipo buffo, simpatico, non insistente ma di certo tenace nei modi, tuttavia i miei amici e io non pensiamo neppure per un istante di andare davvero a quel concerto, certi (e ovviamente privi di Instagram) che sotto quel ciuffo non ci sia nessun cantante.
Pur senza volerlo, però, e dunque senza neppure farlo apposta, il martedì successivo, usciti di casa per andare a un concerto, ci troviamo davanti agli occhi, sul palco, proprio quel ragazzo col ciuffo che solo soletto si occupa di aprire il live per cui quella sera abbiamo deciso di abbandonare il rispettivi divani.
È una serata come tante al primo piano di uno dei nostri quartier generali cittadini, un circolo ARCI in una casetta al numero civico 139 di via Ripamonti che si chiamava appunto La Casa 139, ma noi chiamiamo semplicemente La Casa.
Questa, come forse qualcuno di voi ha già capito, è una storia di locali che non esistono più, di studi di registrazione che non lo sono più (La Sauna di Varano Borghi), ma è soprattutto il ricordo di quando quel ragazzo col ciuffo, dopo essersi prodigato a sparare bolle di sapone nell’aria con una piccola pistola in plastica fluorescente e a cantare canzoni lofi sul palco della Casa e su molti altri palchi, ci è riapparso davanti agli occhi e nelle orecchie, qualche mese dopo, con un disco straordinario capace di segnare in modo profondo e in una certa misura davvero radicale un passaggio cruciale nella storia della canzone italiana degli ultimi vent’anni. Quel ragazzo col cappellino ciclamino si chiama Dente, a differenza di tutti quei locali non ha mai smesso di fare musica, il suo disco capitale si intitola L’amore non è bello, è uscito il giorno di San Valentino del 2009, tra qualche settimana saranno trascorsi esattamente 15 anni da quel giorno e dunque è giunto il tempo di festeggiare.
L’amore non è bello è una cesura, il primo verso di un proverbio che qui non viene completato, la prima parte di un enjambement segreto che non fu mai scritto. Con gli enjambement, le trovate metriche che misurano i battiti della parola lirica, i giochi di parole, Dente da Fidenza, provincia di Parma, ci saprà sempre fare e qui ce lo annuncia in grande e la combina grossa. Già, perché L’amore non è bello, in effetti, scappa in questo titolo dalla sua trama nota (quel “non è litigarello” che subito penseremmo omesso) per dispiegarsi in un annuncio sotteso: forse non è bello, forse dovremmo smettere di dirci che lo è, insomma, e fare spazio a tutte le cose che, invece, l’amore è.
Non è bello ma, dicono le canzoni di questo disco, è fragile, è stancante, è appassionato, ombroso, devoto, trattiene con sé incubi, sogni, desideri, voci, vagheggiamenti, azzardi, storie lontane di chi eravamo, proiezioni di chi saremo. Nel cruciale momento di passaggio della scena italiana dalla band al cantautore solo al sole, dalla canzone che tinge la parola amore di molte sfumature tematiche e prova il più possibile a occultarne l’utilizzo smaccato, sostituendogli le storie, scegliendo i racconti generazionali più che l’introspezione pura, L’amore non è bello arriva a noi esplicito e intimo fino all’osso: nudo e spacciato.
È un trattato onirico e poetico di autoanalisi amorosa, con immagini mutuate da nessuno e un modo di scrivere musica che subito ricorda tante cose talmente lontane che sembrano raggiungere orecchie giovani per la prima volta.
Anima Latina, il disco di ispirazione sudamericana di Battisti e Mogol del 1974, inaugurerà una lunga stagione di citazioni e rimandi nel discorso musicale italiano: La presunta santità di Irene, la dichiarazione sognante che apre L’amore non è bello, è un intenzionale omaggio a Abbracciala abbracciali abbracciati, il pezzo d’apertura dell’album di Battisti che, scopriremo, è qui il modello a partire dal quale viene concepito il suono dell’intero album di piena ispirazione 70s anche dal punto di vista tecnico, nell’utilizzo degli strumenti, soprattutto synth, organo, spinetta, fiati e arrangiamenti figli di mondi lontani. Più barocco di Alice non lo sa, l’esordio di Francesco De Gregori del 1973, L’amore non è bello degregoreggia comunque parecchio, osando maggior nobile furto ad alcuni episodi del disco della Pecora (l’omonimo del 1974) e persino ad alcuni capitoli di Rimmel, pur presentandosi, al confronto, minimo, cioè meno statuario, meno autodeterminato nella sua volontà storica.
I riferimenti al mondo della canzone italiana non ci sarebbero utili – se n’è parlato molto e questa distanza di tempo risultano chiarissimi – se non per definire un dato che a posteriori risuona ancora più potente: questo disco fu cruciale nel definire un legame molto accurato, chiaro, volontario, desiderato, con la tradizione cantautorale italiana, non a caso passando da alcuni dei suoi capitoli più di rottura, quelli capaci di un maggiore rinnovamento del canone, quelli più innovativi. A capo di questo riannordarsi alla storia della canzone italiana d’autore c’è stato certamente un padre, cioè Morgan, che con Canzoni dell’appartamento, il suo primo disco solista del 2003 dopo il percorso con i Bluvertigo, aveva riportato il discorso cantautorale al centro della scena italiana (a posteriori, cover di Gaber a parte, direi molto più nello storytelling che nel suono), infarcendo la sua nuova narrazione solitaria di riferimenti a Bindi, Endrigo, Ciampi, Tenco rimasti per vent’anni e più sotto la polvere del dimenticatoio generazionale, in nome del rock targato Italia e annessi e connessi.
La scena indipendente sembra farsi strada sempre più di frequente, nei primi duemila, proprio in quel medesimo territorio intimista, lo fa splendidamente una band come i Non voglio che Clara (il cui omonimo secondo disco del 2006, ancora più del già ottimo esordio Hotel Tivoli, è una perla mai abbastanza valorizzata), lo aveva fatto Paolo Benvegnù nel 2003 con il suo Piccoli Fragilissimi Film ma a ben vedere le classifiche di fine anno italiane di quel periodo mostrano l’indie italiano ancora attento alle visioni di insieme, alla prospettiva del sé dentro le dinamiche generazionali, a discorsi che certo lanciano uno sguardo nel cuore ma ancora guardano, soprattutto, fuori dalla finestra.
Dente no, in L’amore non è bello il sole è felice se vede i due amanti ancora lì sotto a scaldarsi, i locali notturni e i controlli alcolemici diventano lenti d’ingrandimento su un appuntamento, per il resto il centro resta più che mai uno scenario d’interni, un appartamento, una stanza da letto, una cucina, la vertigine sotto la pelle, la pulsazione cardiaca. Era da molto tempo che non succedeva qualcosa del genere, qualcuno di lì a poco dirà che è così che abbiamo iniziato a giocarci la canzone impegnata per sempre, io preferisco dire che è così che ci siamo concessi registri linguistici, sonori, compositivi capaci di non lesinare sui sentimenti, di includerci, risuonarci, mescolando il sentire più antico che esiste con l’interiore contemporaneo: l’ironia, il senso indolente da ragazzo post-slacker, un po’ di doveroso cinismo che sa non eccedere implodendo in sé stesso.
L’amore non è bello, con le sue melodie esili nella forma e mai nell’incisività, con un’immediatezza ricercata, un modo di gestire la metrica nei testi capace da sé di costruire un registro ironico, genera una creatura nuova, un modo di concepire la love song contemporanea e insieme in grado di guardare alla storia passata delle canzone che di lì a poco furoreggerà e diventerà la norma da seguire per rincorrere il successo a rimbalzi di citazioni dei grandi del passato; è un disco che più o meno consapevolmente farà scuola aiutando molti ad affermarsi in una vera e propria nuova scena d’autore di canzoni nella nostra lingua.
Il 13 febbraio parte un tour che porta Dente a riproporre l’album live nelle maggiori città italiane, una reprise ormai adulta di quello che all’epoca lui stesso chiamava “neverending tour” che lo portò in giro per quasi due anni con questo disco gioiello, in uscita, proprio il prossimo 14 febbraio in speciale doppia edizione in vinile con demo, provini e brani esclusi all’epoca.
Sarà un modo per scoprire quanto tempo è passato da allora e quanto tempo non è passato affatto ma sarà anche un modo per ridare spazio a un’opera e a un autore a cui la musica italiana deve molto più di quanto ha dimostrato di ricordare.
---
L'articolo "L'amore non è bello" di Dente è un disco che ha cambiato tante cose di Giulia Cavaliere è apparso su Rockit.it il 2024-01-29 11:43:00
COMMENTI