"Quando il tuo mondo non è rappresentato, te lo crei da solo, tagliandolo e cucendolo su di te". Se vi chiedete perché creare una nuova etichetta oggi, questa è una possibile risposta. È quella che arriva da Lele Sacchi – dj e "cultore" della club culture in Italia, che promuove da anni in ogni modo e forma – e da Asian Fake, etichetta milanese da sempre attiva nella ricerca di sonorità nuove.
Dal loro incontro nasce una nuova label, chiamata Stolen Goods Records. Cose rubate, appunto, per riprendere un concetto che sta alla base della tradizione dell’arte d’avanguardia e del mondo di dj e clubbers. Il mondo, per intenderci, delle cassette mixate e duplicate, dei CD masterizzati, dei rave.
Venerdì 8 luglio è stato pubblicato il primo lavoro di Stolen Goods, che si intitola Volume Zero: 12 tracce per altrettanti atisti che guardano alla dance e all'elettronica intesa non solo come un suono, ma quasi come un sistema valoriale. Il disco, curato da Lele Sacchi, è composto da nomi noti e nuove scoperte.
Si va da Bawrut a Plastica, da Nic Sarno a Funk Rimini e poi Elisa Bee, Artizhan, Ruff Stuff, Rogue D, il misterioso Industrial Romantico e Sickarone. "Bassi, batterie, stacchi e drop, voci e riverberi…quando il mondo fuori ci schiaccia, dentro il dancefloor ci riprendiamo le nostre identità", ci spiega Lele Sacchi. Qua la sua visione su questo progetto e, più in generale, sulla necessità di tornare in pista, metaforicamente e non.
Perché una nuova etichetta, che significato ha oggi e che lavoro può fare?
L’etichetta discografica indipendente ha ancora un ruolo fondamentale. Ho fatto in tempo a lavorare nella discografia ‘vecchia’, a fine anni ’90, quando in un modo o nell’altro dovevi passare da un’etichetta per avere la tua musica sul mercato. Chiaramente oggi non è più così perchè tutti hanno modo in pochi minuti e senza esborsi di mettere la propria creatività davanti al mondo. Ma proprio per questo la ‘label’ diventa qualcosa persino di più importante perchè il lato distributivo è diventato più leggero e quindi il lavoro è totalmente creativo: identità sonora, intenti, immagine, comunità, senso di appartenenza sia degli artisti che verso i fan, la promozione ‘giusta’, un manifesto…Tantissimi aspetti stimolanti a valorizzare il contenuto musicale, che poi rimane il ‘core’ sia nel senso di centro che nel senso di cuore. Poi c’è la variante culo, importantissimo e insondabile elemento del successo nel mondo della musica e dello spettacolo!
Dopo due anni di pandemia, con la "criminalizzazione" dei club, senti di avere in qualche modo cambiato indirizzo, per non dire missione?
Assolutamente no. Anzi le frasi chiave di Stolen Goods girano tutte attorno alla parola club. For Clubbers By Clubbers. È un'etichetta di musica da club. Tutti gli artisti sono dj ed anche poco concettuali, dj che mixano musica underground, elettronica, di qualità, ma dance, che fa ballare. È indubbio e davanti agli occhi e alle orecchie di tutti che questo ritorno alla normalità è segnato da musica dance fisicissima, più veloce di prima, piena di frequenze basse. Noto anche un ’tana libera tutti’ sui sottogeneri. Vale tutto purchè si balli, purchè si mixi. In questo io mi sento totalmente a mio agio: è la quarta decade che vedo dietro un mixer (90-00-10-20) e la ‘missione’ quindi è sempre quella di ‘evangelizzare’ tenendo la gente in pista.
Come vedi la situazione attuale?
Mi gasa anche perchè è arrivata una ondata di nuovi ventenni che erano stati in standby e hanno una carica repressa che si è trasformata in una grandissima voglia di ballare. Non hanno steccati mentali, magari non conoscono i classici di genere, ma si buttano. In più i dancefloor sono stati completamente conquistati da ragazze giovanissime, ormai in maggioranza in gran parte dei club che vedo ed anche questo è un elemento nuovo per house, techno e dintorni. Insomma tutto bene, i musoni loggionisti appoggiati alle pareti che avevano inquinato la scena qualche anno fa che stiano a casa davanti a uno schermo sul sito Discogs, i club sono per chi balla.
Ci spieghi meglio il concetto del "furto di roba"?
Il nome lo aveva già in mente Filippo Palazzo di Asian Fake e l’ho trovato subito adattissimo a una label di questo tipo. La cultura della musica per dj è tutta basata sul furto: campionamenti, re-edit, bootleg remix…e la diffusione della musica da club è sempre passata per l’illegalità: le ‘cassettine’, i mixtape, i cd masterizzati, ma anche proprio i rave stessi, le radio pirata in UK, qui in Italia i centri sociali anni ’90 (senza i quali tutta la musica elettronica più alternativa non sarebbe mai arrivata), le feste semi legali in casali e simili per finire ai dj set online, a mixcloud, alle dirette streaming, tutte cose più o meno illegali. La nostra cultura si è sempre dovuta ritagliare degli spazi ai bordi e lì ai bordi lo spazio per arrivare verso il centro lo si ruba…..Oltre al fatto che proprio tutta l’arte d’avanguardia del ‘900 è basata più o meno sullo scippo. Quindi Stolen Goods.
In che direzione va questa prima uscita, e come sono stati scelti gli artisti?
Volevo che Volume Zero desse un messaggio identitario abbastanza chiaro. Gli artisti sono tutti italiani, il modo più chiaro e diretto per comunicare un’identità di gruppo, di scena. Ma non sarà un dogma, anzi, già dall’autunno sui remix coinvolgeremo artisti stranieri e l’anno prossimo avremo anche singoli ed ep non italiani. Però bisogna partire da chi sei e quindi label italiana. E l’altro messaggio è: quello che globalmente non si aspettano dagli italiani. Ormai è assodato il legame fra il nostro Paese e una certa sonorità dance retro, fra disco e early house e il sound balearic e cosmico dall’altro. Oppure la techno, soprattutto quella melodica o quella da ‘mainstage'. Benissimo, sono tutti legami corretti e ci sono amici carissimi e colleghi che fanno stupendamente tutte queste cose.
Ma...
Ma in Italia c’è sempre stato anche altro: suoni ibridi, bassline, breaks, house potente, suoni raw ecc…Diciamo una attitudine un po’ più UK, uno spirito se vuoi più naive e spinto. Ecco Stolen sta lì. E credo che sia la posizione vincente, lo spirito colto della dance italiana con l’attitudine e la ‘aggro’ britannica.
Com'è messo l'underground italiano in questo tipo di sonorità?
L’Italia è uno dei 3/4 Paesi che hanno definito la storia del clubbing e della sua musica. Punto. Ormai questa cosa è riconosciuta anche dalla storiografia che, come sempre, è di matrice anglo-americana. Quando vengo intervistato da media inglesi oggi, ormai quasi sempre da persone una decina di anni più giovani di me, sento un rispetto e una deferenza che mai era esistita prima. Questa posizione la dobbiamo usare bene perchè una produzione house, disco, electro, techno, boogie ecc ecc italiana se presentata e contestualizzata bene viene ascoltata con attenzione in tutto il mondo, cerchiamo di non buttare l’opportunità.
Dove si trova la roba buona in Italia?
La roba buona in Italia si trova dappertutto, anche perchè abbiamo avuto grandi scuole un po’ ovunque, la provincia ha storicamente avuto fantastici club e storici dj che hanno lasciato un retaggio importante. Se guardi la lista di artisti di Volume Zero trovi rappresentato un po’ tutto lo stivale e tante età diverse, proprio perchè l’attuale scena ‘vera’ è così. Uso la parola ‘vera’ o ‘verace’ perchè la parola underground va sempre contestualizzata bene. Per esempio i suoni da club sono sicuramente underground, hanno pochi play su Spotify, ma vengono ballati da centinaia di migliaia di persone e penetrano il contesto sociale e discografico in altri modi. I nomi di alcuni dj che riempiono club in tutto il mondo non sono conosciuti all’esterno della scena, a volte neanche fra un sottogenere e l’altro, eppure sono artisti globali che guadagnano, che hanno sponsor, manager, agenti ecc…
Nella musica "tradizionale" è ormai impossibile capire cos'è underground e cosa no, di conseguenza decidere da che parte stare... Nel "tuo" mondo?
Cos’è underground o no nel 2022 è difficile da definire. Continuo a leggere dibattiti sulla Trap come fosse un fenomeno musicale sottoculturale, quando in realtà gode dell’esposizione mediatica e pubblicitaria più di massa e generalista dai tempi del Festivalbar anni ’80 e gioca attorno a temi ed estetiche mainstream che manco una campagna della pastasciutta durante i Mondiali di calcio. Ecco di sicuro quella non è la cultura di Stolen Goods.
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L'articolo L'arte dello scippo secondo The Stolen Goods di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2022-07-08 15:09:00
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