Lastanzadigreta, gli strumenti di recupero contro la cultura del superfluo

"Macchine inutili", l'ultimo album del collettivo torinese, gioca con strumenti tradizionali e auto costruiti, per un disco giocoso e pieno di spunti, che può servire ai molti che non amano la fruizione odierna, per far pace con la musica italiana

Lastanzadigreta al completo, foto di Renzo Chiesa
Lastanzadigreta al completo, foto di Renzo Chiesa

Sento parlare del nuovo album dei torinesi Lastanzadigreta e mi trovo in difficoltà per tre fattori. Il primo è che non li conosco e già mi pento perchè scopro che hanno vinto una Targa Tenco con l'album di debutto Creature selvagge del 2017, il secondo è che ho problemi del tutto soggettivi con quelle band che utilizzano un nome femminile nell'atto di fare o essere qualcosa: La fame di Camilla, Marta sui tubi, Non voglio che Clara, per fare qualche esempio. Il terzo, più importante, è che il nuovo album Macchine inutili, è davvero bello. E poi il titolo è dedicato a Bruno Munari.

Per descrivere la loro musica basterebbe fare un lavoro di sottrazione: prendete il pop e togliete tutti i cliché leziosi, gigioni, strappalike. Prendete il rock e togliete tutti gli orpelli vistosi, che chiedono continuamente attenzione. Fate conto di vivere in un mondo in cui trap è il diminutivo di trappola, in cui i testi e i suoni sono importanti, l'etica di un'opera lo stesso, in cui non conta la durata o la radiofonicità del pezzo, in cui un album abbia sempre un valore che va al di là della playlist casuale di singoli.

 

Lastanzadigreta è un collettivo di cinque musicisti attivo dal 2009, composto da Alan Brunetta (percussioni, marimba, tastiere, bidoni); Leonardo Laviano (voce, chitarre); Umberto Poli (chitarre, cigar box); Flavio Rubatto (theremin, didjeridoo, sintetizzatori, voce); Jacopo Tomatis (mandolini, sintetizzatori, giocattoli, voce). Di solito non amo leggere l'elenco degli strumenti suonati, ma questo è proprio interessante. Chi accompagna la cigar box, la chitarra fatta con gli scarti del consumismo, al theremin che crea i suoni degli horror anni '50, ai giocattoli, di sicuro quando compone si diverte

È proprio sull'autocostruzione degli strumenti che mi vorrei soffermare: i Lastanzadigreta, proprio come le jug band afroamericane dei primi del Novecento, riescono a suonare qualsiasi oggetto di recupero, insieme a strumenti strani dimenticati in soffitta e risuscitati. Una pratica che conferisce un suono del tutto personale alla band.

 

Non è tutto, se la loro attitudine non fosse già abbastanza personale, dietro il loro lavoro c'è una filosofia chiamata "musica bambina", che in teoria vuole superare le distinzioni tra alto e basso, giovane e vecchio, adulto e bambino, per creare canzoni che sappiano mettersi in gioco, in cui tutti possano suonare tutto, un po' come quando metti degli strumenti in una stanza e poi lasci che i bambini scelgano quello che più li affascina e inizino a suonare.

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Nell'ultimo album sono presenti spazzole, tubi in pvc, macchine da scrivere, bidoni industriali, racchette da tennis, batterie di pentole, insieme agli strumenti più tradizionali, per creare un insieme inusuale e prendere a piene mani da esperienze estreme come quelle dei tedeschi Einsturzende Neubauten o dei nostri Officine Schwartz, per renderle docili e delicate, di tutt'altra pasta. Filastrocche rodariane, echi di Sufjan Stevens e dei Penguin Café Orchestra, ma tenetre presente che parliamo di cantautorato pop italiano. Che bello sentire quest'ultima definizione che sposa un immaginario anti consumistico, contro la cultura del superfluo.

Un punto, il loro, che s'interroga anche sul mondo della musica dopo l'anno in cui tutto si  fermato: cosa vogliamo salvare dal mondo musicale che abbiamo costruito? Una domanda interessante, che fa il paio con la riflessione sempre più presente, che vede pandemia e novità discografiche due cose  lontanissime, in cui fa soldi solo la musica per teenager e in cui sarebbe più bello innamorarsi di un progetto e seguirlo in maniera old school, mettendolo sul piatto (o premendo play) ripetutamente fino a impararlo a memoria, anziché ascolti veloci a tutto quello che esce, senza soffermarsi mai su un'opera.

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Bene, per gli ascoltatori che amano dedicare tempo a un disco che potrebbe venir fuori da metà degli anni '90 come da un ipotetico domani in cui la canzone vale più dell'hype, Macchine inutili è un buon esempio di album per tornare a far pace con la musica italiana

 

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L'articolo Lastanzadigreta, gli strumenti di recupero contro la cultura del superfluo di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-02-08 10:09:00

Tag: album

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