Alle ore 15.00 di lunedì 24 febbraio alla mail del nostro presidente è arrivata la comunicazione ufficiale dell’ordinanza della regione Lombardia, che ha vietato lo svolgimento di una qualsiasi attività culturale e di aggregazione, inizialmente abbiamo accettato la notizia non senza perplessità, non senza difficoltà. Ma l’abbiamo accettata, sperando in veloci rettifiche che ci permettessero di tornare a fare il nostro lavoro.
La misura presa - vietare ogni possibile aggregazione chiudendo musei, palazzetti, locali, stadi ma permettendo a un ristorante di rimanere aperto - è nata dalla fretta di dover fare qualcosa senza una vera e propria strategia di fondo che infatti si è rivelata inefficace, soprattutto perché non c’è stata nessun tipo di uniformità di comunicazione da parte delle autorità a tutti gli operatori culturali coinvolti. Nel caso in cui esista una cucina possibilmente attiva quindi c’è possibilità di aprire con musica diffusa, senza servire al bancone, dopo le 18?
Chiunque può aprire prima delle 18 (nelle scorse ore è stata comunicata una parziale modifica all'ordinanza da parte di Regione Lombardia, che permetterà ai bar di tenere aperti anche dopo le 18, "ma solo con servizio al tavolo", ndr) con semplice musica diffusa senza che ci sia della “cultura” alla base dell’aggregazione dei possibili avventori? La definizione stessa di aggregazione, poi, è decisamente labile, in che modo la si può definire? Come diceva Andy Warhol: One’s compay, two’s a crowd and three’s a party; quindi?
Quello che ci fa male e ci colpisce è la facilità con cui si è scelto di tagliare le gambe ad un intero settore (anche Assomusica si è espressa in proposito) - quello dell’intrattenimento in ogni sua forma - senza fermarsi a pensare a quanti siano i professionisti e i lavoratori coinvolti nella realizzazione di un concerto, evento sportivo o mostra. Sappiamo di far parte di un settore che si occupa di beni che non sono di prima necessità, ma non per questo meritiamo di non essere assolutamente calcolati, ogni club, ogni locale, ogni bar, ogni agenzia ha dei dipendenti, come ci si dovrebbe comportare nei confronti di questi? Aspettativa forzata? Cassa integrazione? Ferie? Malattia? Licenziamento?
Un provvedimento del genere, avvenuto tra le altre cose durante i giorni che precedono la settimana del Carnevale meneghino, porta un danno economico inimmaginabile. E non ci limitiamo a pensare a tutte le realtà che, in qualche modo, possono sopravvivere, perché di sopravvivenza si sta parlando, a questi giorni di blocco.
Pensiamo anche a realtà più piccole, che hanno bisogno come l’aria di mantenere viva un’attività con dei costi, delle spese che, senza degli introiti, si troverà costretta a chiudere. Le conseguenze di questo provvedimento, il mancato incasso di questi giorni di apertura da parte di tutti noi in città è certamente quantificabile grazie alle prevendite vendute dei concerti annullati, a una stima del possibile consumo pro capite in serata fino ad arrivare agli storici degli eventi reiterati.
La quantificazione di questo danno può essere sintetizzata in: ENORME. Negli ultimi giorni ci siamo visti annullare cinque serate di cui quattro concerti, concerti che sarà decisamente difficile recuperare in qualche modo: il Magnolia (tra i locali milanesi inviata mercoledì mattina al sindaco Giuseppe Sala) ha una programmazione internazionale sin dalla sua nascita, gli artisti internazionali che sarebbero dovuti salire sui nostri palchi vengono da USA, UK e Canada, tutti con tour programmati da tempo, senza nessuna data possibile per un recupero data, anche gli artisti italiani, con cui potrebbe essere più semplice - e sottolineiamo potrebbe - affrontare un discorso di recupero data, comunque vivono lo stesso problema: tour creati mesi e mesi prima della loro effettiva attuazione nel locali, palazzetti e club.
Fortunatamente esistono realtà che, nonostante questo provvedimento, possono tenere botta ma, allo stesso tempo, viene automatico pensare: per quanto si può tenere botta ancora? Perché un locale, un museo o una mostra senza persone per un periodo indeterminato di tempo, sono tutte realtà destinate a chiudere, chi prima, chi dopo. Quindi viene da chiedere: quando si uscirà da questa situazione esisteranno nuove norme, nuove predisposizioni, nuove misure per dare sostegno a tutte le aziende, che da sempre creano lavoro, cultura e socialità in questa città da anni?
Siamo sconfortati, spaventati e affranti, affranti dal fatto che nonostante il nostro sia da sempre un settore che crea, sotto ogni punto di vista, e opera, a più livelli, ancora non è considerato al pari di altre industrie e ancora non può far valere la propria voce all’interno della nostra società ma si trova costretto a subire, guardandolo con i propri occhi supermercati presi d’assalto, pieni di gente a stretto contatto che non sa più come comportarsi di fronte a un virus, la cui diffusione non vogliamo in nessun modo minimizzare, che sta mettendo in ginocchio un’industria non solo nella città di Milano ma anche in altre regioni.
Forse non è il momento di fare polemiche e non vogliamo farne di sterili e inutili, ma le nostre sono domande che meritano e hanno bisogno di una risposta.
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L'articolo Che ne sarà di noi quando tutto sarà finito? di Il direttivo del Circolo Magnolia è apparso su Rockit.it il 2020-02-26 15:02:00
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