San Gennaro tradisce, Liberato no

Mentre il santo patrono di Napoli in passato ha “dato buca” con il suo sangue, il cantante misterioso ogni 9 maggio compie il suo miracolo. Un napoletano d.o.c. ci racconta perché con “E Te Veng’ A Piglià” entra definitivamente nel pantheon cittadino assieme a Troisi, Pino Daniele e altri grandi

Liberato in una celebre foto
Liberato in una celebre foto

Da qualche anno ho l’impressione che qui a Napoli il 9 Maggio sia una sorta di festa del santo patrono. Più del 19 settembre, San Gennaro. Più delle date in cui lo stesso santo dovrebbe – secondo la tradizione, la religione ma soprattutto il folclore – compiere il suo prodigio. Ormai il 9 Maggio i miei concittadini aspettano un altro miracolo: quello di Liberato. E se per ben due volte San Gennaro ci ha “appeso” – così si dice da queste parti “dare buca” – finora Liberato non ha mai deluso le aspettative di chi desidera una sua apparizione in questa ricorrenza pagana.

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Il 9 Maggio 2020, mentre eravamo chiusi in casa, era tutto un “chissà cosa farà Liberato”, ed è arrivata la sua diretta Instagram. Due anni fa, invece, usciva l’album vero e proprio. Quest’anno, ho iniziato la giornata con Gaetano, 29 anni, giornalista d'inchiesta, che mi ha scritto un messaggio chiedendomi se l’avessi sentito la canzone nuova, uscita poche ore prima. Subito dopo, Andrea, 40 anni, videomaker: ed erano soltanto il primo di tanti, tantissimi messaggi. Nel mentre, Instagram veniva invaso di stories di ragazze e ragazzi di Napoli e provincia, sedicenni e cinquantenni, folgorati da Te Veng A Piglià. Chiunque, qui a Napoli, ha vissuto il 9 Maggio 2021 in funzione di quella canzone. “Chissà poi perché il rosa?”, “Perché quelle lettere in latino nella copertina?” “Come mai ha cambiato regista?”, “Perché non ha girato a Napoli?”. Lungo la giornata le chiacchierate hanno avuto queste domande ricorrenti, tra esperti di musica e non, tra professionisti e uomini della strada. Sin dal 2017, quando (non) è apparso sugli schermi dei nostri computer e cellulari, il progetto dell’artista misterioso si è intrecciato in maniera profonda ed onesta con Partenope, rappresentando caratteri estetici e romantici della città raccontati in musica come mai prima, ed è così che ha acceso la curiosità e il senso di appartenenza dei napoletani.

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Napoli è sempre stata laboratorio di avanguardia musicale: volendo essere analitici la prima canzone pop (ovvero che segue la struttura Strofa / Ponte / Ritornello) è Te Voglio Bene Assaje, scritta nel 1839, e poi dalla classica napoletana, per arrivare alle influenze americane di Renato Carosone e delle superband che hanno mescolato il blues e il rock con la lingua napoletana. Una lingua – a tutti gli effetti, riconosciuta dall’UNESCO, mi permetto di ricordare – che sa appoggiarsi molto meglio dell’italiano al cadenzare sporco di rock e urban. I napoletani che non si accontentavano del bel canto, dagli anni ’70 in poi hanno visto gli Showmen, i Napoli Centrale, gli Osanna, gli Shampoo (che rileggevano i brani dei Beatles in napoletano) e gli Squallor, che addirittura al napoletano aggiungevano un pizzico di liberatoria volgarità. È stato poi il tempo di Pino Daniele, messia della scena musicale napoletana, capace di partire dal blues e spaziare in lungo e in largo nei generi, rimanendo vena nella carne della nostra città. Nei nineties è toccato rappresentarci al rap battagliero dei 99 Posse e alla dub degli Almamegretta…e poi? Nel nuovo millennio il napoletano si è sentito soltanto in progetti di derivazione neomelodica, da Nino D’Angelo – prima di reinventarsi con la World Music – a Gigi D’Alessio, che comunque prima delle sirene del pop italiano, era riuscito a scrivere piccoli capolavori – Annarè – che più che neomelodica erano una proposta moderna del classico napoletano.

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La lingua napoletana era rinchiusa in questa gabbia di melò e stereotipi. Liberato rompe questo incantesimo che ha confinato per un decennio la lingua e l’identità musicale della città a due compartimenti stagni: il post-melodico (D’Alessio, Gigi Finizio, Sal Da Vinci, Andrea Sannino) e il Rap (Clementino, Rocco Hunt, Co’Sang, Lucariello), eccettuando ovviamente il neomelodico puro che fa microcosmo a sè, con un enorme mercato parallelo e una fanbase profondamente consolidata ma anche moltissimi che lo ascoltano per ridere – dal successo memetico di A Me Me Piace ‘A Nutella fino alla memorabile l’ospitata di Alessio ai TRL Awards 2008 di MTV, costretto a cantare per il LOL le hit di Finley e Rihanna, in una Piazza del Plebiscito stracolma.

Con Liberato, finalmente, arrivano suoni diversi, produzioni internazionali. Un progetto multimediale reso più vero del vero grazie ai videoclip di Francesco Lettieri che mostrano scorci della Napoli non da cartolina turistica ma da polaroid realistica: la Gaiola, il lido Mappatella, Castel Volturno, non il classico golfo con l’albero di pino, che manco c’è più. La presenza di tòpoi radicati come l’immaginario ultras richiamato dalle font delle grafiche ben prima del film ULTRAS che vedrà Lettieri esordire alla regia cinematografica. Liberato non è solo un fenomeno musicale ma una rappresentazione culturale realistica e partecipata, in cui il napoletano medio – non in senso dispregiativo – può specchiarsi totalmente. Chi non viene da Napoli e vuole mostrare simpaticamente di conoscere la città, non usa più la pizza o la mozzarella come stereotipo, bensì cita con pronunce bislacche le frasi cult della serie Gomorra (e ne ho sentite di persone storpiare “Ci arripigliamm’ tutto ‘chello che è ‘o nuost’”) oppure, appunto, cita Liberato. Ed è uno stereotipo nuovo, che ai napoletani piace, e tanto.

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Un hype collettivo, consolidato nel tempo da eventi che hanno messo la città al centro del fattore esperienziale: il live sul lungomare di Napoli viene raccontato ancora oggi come un evento storico a cui vantarsi di essere stati, come Woodstock o Vai Mò 1981 di Pino Daniele, vantandosi di avere intravisto il cantante scendere dal motoscafo e salire sul palco, aver intercettato uno sguardo, in maniera non dissimile dalle teenager degli anni ’90 che si illudevano di aver ricevuto un’occhiata dal proprio Take That preferito. Allo stesso modo, il pop-up store nel centro storico ha portato a veri e propri pellegrinaggi all’icona profana della rosa.

Nel mio caso il giocattolo si è rotto quando è diventata spasmodica la caccia al cantante e mi ha tolto il gusto della musica avvolta nel dubbio, che fino a quel momento mi ero goduto ad ogni release. Con il tempo, l’album, la colonna sonora di ULTRAS, le sparizioni e le puntuali riapparizioni, ho perso un po’ di interesse e curiosità nel progetto, ma vale soltanto per chi scrive, mentre la fame della città e del popolo napoletano, verso Liberato, la sua musica e qualunque – letteralmente qualunque – cosa faccia, è intatto. Rimane, nonostante la ripetitività, una concretezza e una riconoscibilità musicale unica, con produzioni granitiche e sonorità che non potrebbero appartenere ad altri se non a lui. Una voce che forse non è una soltanto, ma che in tutte le sue sfumature, appartiene soltanto a Liberato.

Oltre ad aprire la gabbia che catturava la lingua napoletana, usando l’urban e una scrittura più contemporanea di buona parte del pop italiano, Liberato ha aperto le porte ad altre rivoluzioni musicali neoborboniche, trascinandosi progetti che provano ad applicare la stessa formula declinandola in chiavi diverse: Catena – che ha cercato di rubarne l’aria sviluppando un alter ego femminile –, ma anche progetti ambiziosi come SVM, La Niña, l’R&B di Livio Cori, il pop ben prodotto di Ivan Granatino o il raggiungimento dello status di icona da parte di una già stella neomelodica, oggi credibile poeta metropolitano come Franco Ricciardi. Il mainstream, chiaramente, va in scia, con emuli più o meno riusciti: il progetto rap di D’Alessio con l’album Buongiorno, quello trap della sorana Anna Tatangelo, l’ultimo singolo di Arisa, sono tutte derivazioni che entrano nella porta spalancata da questo progetto senza volto.

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Napoli ama profondamente i propri miti e li innalza a semidei, con la fede che soltanto la mia città sa avere verso i propri simboli: i personaggi che hanno fatto la nostra storia, come Totò, Eduardo De Filippo, Massimo Troisi, Luciano De Crescenzo, Mario Merola, Diego Armando Maradona, Pino Daniele, Massimo Ranieri, Lorenzo Insigne, sono NOSTRI e il popolo è orgoglioso di mostrarli come vessillo di appartenenza. Per millennial e GenZ, Liberato siede accanto a Maradona, Troisi e Pino proprio perché non “esistendo”, essendo un’entità astratta, è stato vissuto nel concreto solo UNA volta – Lungomare – e poi è tornato ad essere icona incorporea. Appare ogni tanto, proprio come una figura religiosa: compie il suo miracolo, lascia un messaggio, sparisce. E il popolo resta, geloso e fedele, ad attenderlo, e credere in lui.

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L'articolo San Gennaro tradisce, Liberato no di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2021-05-14 11:51:00

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