LNDFK vestita di fiori e di fuoco

"Kuni", primo disco della musicista napoletana, parte dal Takeshi Kitano di "Hana-bi" per creare un incontro ipnotico tra amore e morte, delicatezza e violenza, poesia e realismo. Un concept album che diventa un brillante amalgama di jazz, nu soul e hip hop, in cui è lei stessa il filo conduttore

LNDFK - Foto di Mattia Giordano
LNDFK - Foto di Mattia Giordano

Febbraio è un po' presto per iniziare a pensare al classificone dei dischi dell'anno, ma quando la folgorazione arriva c'è poco da stare a questionare. È così, fin dal primo ascolto, che mi sono trovato totalmente catturato da Kuni, primo album della musicista, cantante e compositrice di origini napoletane e arabe LNDFK – nome d'arte di Linda Feki –, tanto da farmi dire con certezza che a dicembre la ritroverò nella mia personale top 10 degli album italiani del 2022. E questo superando pure tutta quella serie di dubbi, tentennamenti, "forse", "chissà" o "magari" che mi assale quando mi trovo a parlare o scrivere di musica, a dimostrare quanto davvero sia un album imperdibile.

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Per chi non conoscesse la sua musica, LNDFK mischia in maniera organica elementi hip-hop, rap, jazz e soul, avvicinandosi al movimento avviato dall’etichetta BrainFeeder – Flying Lotus, Thundercat, Kamasi Washington e compagnia –, che ha ridato linfa vitale a quel West Coast jazz nato più di mezzo secolo fa. Prima di Kuni, Linda aveva pubblicato nel 2016 l'ep Lust Blue, a cui erano seguiti altri tre singoli nei due anni successivi e tutti prodotti con l’aiuto di Dario Bass, che l’ha affiancata anche per questo ultimo disco. Per chi invece la conoscesse, questi anni di silenzio e pandemia – interrotti solo al momento della pubblicazione del singolo Don’t Know I’m Dead or Not nel giugno del 2021 – saranno sembrati lunghissimi. È la stessa Linda a spiegare il perché di questa pausa: “Ero arrivata a un punto in cui avevo le competenze tecniche per suonare la musica degli artisti a cui mi ispiro, ma mi sono resa conto che non era veramente mia, quindi mi sono fermata. È da lì che ho avviato un lungo processo di ricerca che mi ha portata a Kuni".

LNDFK - foto di Mattia Giordano
LNDFK - foto di Mattia Giordano

I tre anni di “silenzio” sono stati quindi anni di ricerca ed esplorazione, un modo per arrivare a un suono e a un disco che fosse sì influenzato da vari artisti, ma che fosse soprattutto di LNDFK, un modo per smettere di suonare la musica degli altri e iniziare a suonare veramente la propria. Il risultato è un disco che è praticamente un concept album, nel quale convergono ispirazioni, citazioni, stili e musica dalle provenienze geografiche, storiche e mediatiche più disparate e il cui filo conduttore, prima ancora del tema del disco, è proprio lei, Linda: “Ci sono tracce che aderiscono in maniera meno fedele al tema dell’album rispetto ad altre, ma per queste il filo che le unisce con il resto del disco sono io”. Lei che tutte queste componenti che percorrono il disco le ha assimilate e le ha filtrate attraverso la propria sensibilità, rendendo il prodotto finito un’opera veramente sua.

Kuni, nelle sue 10 tracce, ruota attorno a tutto ciò che lega amore e morte, Eros e Thanatos, delicatezza e violenza, poesia e realismo e, per arrivare agli ideogrammi che formano il nome del disco e che sono riprodotti in maniera stilizzata sulla sua copertina, fiore e fuoco. Questa dualità è esplorata ulteriormente nel modo in cui le tracce ci vengono presentate: cinque per parte, come in un botta e risposta tra lato A e lato B. Una scelta stilistica ma anche conscia della dimensione fisica che assumerà il disco, un dettaglio che Linda, che si definisce un po’ old school in merito, ci ha tenuto a curare.

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Tra le tante fonti di ispirazione di Kuni, una di quelle che spicca di più è Hana-bi, film di Takeshi Kitano vincitore del Leone D’oro al Festival del Cinema di Venezia: si tratta di una storia a metà tra un poliziesco e una meditazione sulla morte e sull’amore, film di difficilissima classificazione e che ha colpito profondamente sia Linda che Dario, in particolare nella meravigliosa scena – che potete vedere qui sopra – in cui uno dei protagonisti vive un momento di illuminazione fermandosi a guardare la vetrina di un negozio di fiori. Violento e dolce, tragico e poetico, realistico e onirico, il film è un gioco di opposti, e l’album si ispira così tanto a questa dualità – e alla colonna sonora scritta da Joe Hisaishi – da “dedicargli” i due brani di apertura (Hana-bi e Takeshi) e le loro controparti sul lato B.

Ben lungi dall’essere soltanto un tributo a Kitano e alla sua opera, il disco prosegue con Smoke – A moon or a button, che unisce Smoke, una dolcissima bozza di un vecchio demo rimasto incompiuto, e nella seconda metà una parte strumentale che trae ispirazione da A Moon or a Button, una raccolta di illustrazioni quasi introvabile pubblicata più di 60 anni fa negli Stati Uniti. Questa traccia è un interessante dialogo tra la Linda del passato, che aveva scritto Smoke in un momento molto particolare della propria vita, come dedica a una persona, e la parte che segue, scritta dalla Linda del presente, che vede la situazione da una prospettiva totalmente diversa: la luna o un bottone. Questa dualità è rinforzata dal fatto che Smoke non sia stata ri-registrata per l’occasione, ma sia stata usata nella sua versione di demo, facendo sì che compaiano davvero due Linda diverse all’interno del brano.

La copertina di 'A moon or a button'- foto da Shakespeare & Company Books
La copertina di 'A moon or a button'- foto da Shakespeare & Company Books

Il cinema rientra nell’album passando per Ku, l’ultimo singolo rilasciato prima dell’album, nel quale LNDFK racconta la storia di una geisha che passa dal ruolo della vittima a quello della carnefice e il cui personaggio è ispirato a Miho, la letale assassina comparsa in Sin City. La storia, immaginata come una serie di vignette, viene come accompagnata dal brano che è diviso in diversi segmenti proprio per ricalcare le svolte della narrazione, una sorta di coreografia di un combattimento che viene suonata.

Vista la mole di influenze e ispirazioni, forse non vi stupirà sapere che la mood board messa insieme da Linda per questo album supera le 40 pagine. Sarebbe stato bello fosse stata parte della release dell’album, come una sorta di companion piece, un’idea a cui anche lei aveva già pensato e che non esclude possa verificarsi in futuro, come parte di un altro disco. Un futuro che le mette di fronte un nuovo trasloco, per lei che ne ha  già fatti tanti, visto che negli ultimi anni ha vissuto a Parigi, New York e Milano. “In realtà mi piacerebbe trovare un posto dove mettere radici, dove fermarmi per un bel po’, però ancora non è successo, vedremo tornando a Milano…”, mi confessa. Stavolta il passo non è troppo grande, visto che nell’ultimo periodo ha vissuto a Mortara, in provincia di Pavia, insieme a Ze in the Clouds, anche lui parte della corrente nu-jazz emergente, e con il quale ha esplorato una dimensione live negli scorsi mesi.

Ma in tutti questi anni passati dal suo primo ep, LNDFK ha anche rinnovato il proprio sound. I brani di Lust Blue, tutti molto brevi e non particolarmente complessi, seppur infarciti da varie influenze, erano comunque più simili a dei beat, dei punti di partenza, delle basi su cui costruire, specialmente se messi a confronto con i singoli che sono seguiti e con i brani di Kuni. Nel disco ogni traccia ha un suo sviluppo, ogni idea viene esplorata a dovere, in modo da creare lo spazio che possa permettere ai beat di Dario Bass di accelerare e rallentare, danzando attorno alla miriade di dettagliatissime linee melodiche che caratterizzano ogni brano.

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Dalla delicata Hana-bi, che pare schiudersi lenta come un fiore, priva di elementi percussivi e che ricorda l’ultimo disco di Nala Sinephro, al botta e risposta dei featuring, con Chester Watson e Pink Siifu rispettivamente in Don’t Know I’m Dead or Not e How Do We Know We’re Alive, l’album riesce sempre a trovare una nuova direzione da prendere, da esplorare. Indipendentemente però dalla direzione che prende il disco, dalla piega che prendono le sue influenze, ogni volta è la voce di Linda e l’utilizzo che ne fa a colpire maggiormente. Volteggia leggera, il vibrato perfettamente controllato, a volte impercettibile, altre di una dolcezza ingiusta, scorretta; danza giocando con la sincope degli altri elementi della traccia di turno; diventa al contempo elemento melodico e ritmico nello scatting in tracce nu jazz come Ku e Takeshi. La varietà dei suoi utilizzi è fonte di una continua meraviglia di cui sopra e pure lei alla fine ammette di fare la musica che vorrebbe ascoltare.

Hana-bi di Takeshi Kitano ricevette i consensi della critica per la sua capacità di coniugare una storia da poliziesco crudo sullo stile di altri registi americani del tempo, con uno stile narrativo e dei temi più legati alla tradizione orientale. LNDFK fa una cosa simile, senza "forse", "chissà" e "magari’": i 10 brani all’interno dell’album alla fine non sono che la sintesi, l’incontro, l’amalgama, di stili musicali occidentali (soul, jazz, hip hop) e ispirazioni orientali, un ponte in grado di collegare sponde opposte e distanti, che in questo album coesistono nel solito spazio, proprio come amore e morte, Eros e Thanatos, delicatezza e violenza, poesia e realismo, fiore e fuoco.

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L'articolo LNDFK vestita di fiori e di fuoco di ◄Mãtteo Cioni è apparso su Rockit.it il 2022-02-14 12:00:00

Tag: album

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