L'appuntamento era in Triennale, dove l'ho vista una delle prime volte live, assieme a Tatum Rush. Non è stato possibile, ed è colpa mia. O meglio di una di quelle malattie attraverso cui pare obbligatorio che tutti i bambini delle scuole milanesi passino, e che paiono usciti da un b-movie anni '80 con protagonista un morbo contagiosissimo. Ripieghiamo su Meet.
Quello che conta è prendersi un po' di tempo per parlare del nuovo ep di Laila Al Habash, Long Story Short, cinque tracce – o meglio quattro più uno skit – uscite questa notte per Undamento. Classe 1998, sangue romano e palestinese, dopo l'apparizione a MI AMI (dove il disco è stato suonato in anteprima) Laila torna così a "compattare" musica dopo il suo primo vero disco Mystic Motel. E conferma quanto di buono, ed è stato parecchio, abbiamo detto su di lei in questi anni.
Più che la promessa del pop italiano, è l'augurio che facciamo al pop italiano: quello di produrre musica di qualità come la sua, da un punto di vista dei testi e delle produzioni, cui hanno lavorato artisti importanti come Stabber e Contessa. Musica personale, leggera e profonda allo stesso tempo.
Avevamo voglia di chiacchierare con lei, e lo abbiamo fatto.
Mi pare che Milano stia diventando una parte della tua vita e pure delle tue liriche, e non solo perché la nomini in Cartagine. Com’è potuto accadere proprio a te, fiera romana (di provincia)?
Contro tutti i miei pronostici, o forse solo quelli più cattivi e più cinici, Milano sta diventando un posto che mi viene da chiamare casa. Mi piace stare qui ho, trovato la mia dimensione, una sorta di recinto in cui ci sono io, i miei amici e le cose che mi piace fare. Quando sono arrivata qui, ero sicura che Milano sarebbe stata solo una tappa durante il viaggio. Dopo quattro anni ho la certezza che la sosta sarà un po' più lunga del previsto, anche grazie alle persone che ho conosciuto. Le ultime volte che sono arrivata in Centrale la sensazione dentro di me era qualcosa tipo di gioia e comfort, è così che ho capito che qualcosa era cambiato.
Il treno per Roma non è più la cosa più bella di Milano?
Non sono mai stata una che se la vive così. Ma durante i primi anni a Milano, inevitabilmente, tornare a casa mi faceva sentire più al sicuro, adesso posso dire che casa mia è qui.
Long Story Short: spiegaci perché tra mille possibili hai scelto questo titolo.
Per due motivi principali. Uno, perché mi faceva ridere. E poi perché nel disco c’è tanta roba in poco tempo, molto contenuto in appena cinque tracce, e non trovavo espressione che sintetizzasse tutto ciò meglio di “te la faccio breve”. In inglese suonava meglio, perché gli anglosassoni sono sempre molto bravi a racchiudere in un’espressione un concetto.
I singoli sono i singoli, dominanti oggi. I dischi sono i dischi, una forma di resistenza e dalla tradizione gloriosa. Che senso ha invece fare un Ep oggi?
Non è una domanda che mi sono fatta, se devo essere sincera. Senza rendermene tanto conto, questo sta diventando un po' un mio modus operandi, nel senso che ho sempre fatto un ep e poi un disco. Inizio con un assaggio, poi arriva la portata più grande. Anche che dopo Long Story Short ci sarà qualcosa che non è tanto “short".
Altro tuo modus operandi è quello di inserire uno skeet. La particolarità di questo, che chiude l’Ep, è il suono di un Zaghrouta. Cos’è?
È un ululato forte ed acutissimo, che viene lanciato dalle donne nella cultura araba, per esprimere gioia e felicità, di solito nel corso dei matrimoni o dei festeggiamenti importanti. Era da tempo che volevo usarlo. Nella traccia si mischia con i suoni urbani, ci sono rumori di clacson, una televisione, a un certo punto a tenere il tempo insieme alla cassa è il cicalino della retromarcia del camioncino dei rifiuti. Mi piace inserire elementi di “confusione” in ogni progetto. E poi ci ho messo dentro una frase che a un certo punto ho sognato: “Il tempo è l'unica cosa che abbiamo tutti, ma che non ha mai nessuno”. Mi pareva una cosa interessante, potente e ce l'ho messa dentro.
Lo skit è anche il primo pezzo che hai prodotto interamente tu. Quando hai iniziato a “praticare”?
Sono un po' di anni che smanetto i software. Ho imparato vedendo gli altri, per fortuna lavoro con grandi professionisti. Io sono curiosa, e ogni volta chiedo di spiegarmi cosa stanno facendo. Studio musica da quando ho tre anni, cerco sempre di migliorarmi e allargare la mia visione. Anche se il mio campo preferito rimane sicuramente la scrittura, col tempo vorrei migliorare nella produzione. Essere più autonoma e consapevole dei processi.
Questo Ep conferma delle scelte, più che introdurre dei cambiamenti. Confermi questa lettura?
Da un punto di vista musicale ho cercato di aprirmi a strade nuove, Sottobraccio è forse la traccia più “pop” che ho fatto. Intendo che ha proprio una ritmica da pop italiano, quasi alla Battiato, con basso e batteria che vanno assieme. C’è una “quasi ballad” come Cartagine, con i suoni rarefatti che ho sempre avuto nella mia produzione. In Giura, invece, ho utilizzato un sample: non lo avevo mai fatto, è un sample di una band giapponese, una produzione ’60 che mi sono molto divertita ad usare. Non è che abbia cercato di fare una cosa completamente nuova, perché non ne sentivo il bisogno. Ho cercato più che altro di confrontarmi con me stessa, di arrivare al meglio di quello che so fare. E poi c’è il live, a cui già penso: mentre realizzavo le canzoni, la cosa che mi gasava di più era pensare al momento in cui le avrei suonate dal vivo.
Hai fatto il tuo primo MI AMI, ma sembravi sin da subito una di casa.
Ero veramente molto agitata ed emozionata, per me MI AMI ha un peso diverso. Vengo qua da mille anni, prima come ascoltatrice, poi ho iniziato a mettere un piedino sul palco e ora il main stage. Poi suonare di domenica, che è il mio giorno preferito di MI AMI da sempre. E sullo stesso palco dove poi avrebbero suonato i Phoenix… Sicuramente è stato un po' azzardato fare la prima data del mio tour qui, dopo un po' che non suonavo a Milano. Ma è andata alla grande.
Quest’anno suonerai allo Sziget. Questa cosa di suonare all’estero la pratichi da un po’, in particolare hai fatto una sorta di “tour” assieme agli Istituti di Cultura Italiani all’Estero che ti ha portato in Brasile, Germania e Marocco. Cosa hai capito viaggiando in questo modo?
Anzitutto che fare queste esperienze è una figata. Puoi viaggiare, vedere un'altra cultura, metterti alla prova in contesti molto diversi da quelli cui sei abituato e molti diversi tra loro, uscire dalla comfort zone. La cosa che ho percepito è che all’estero noi italiani siamo “cool”, molto più di quanto percepiamo noi. E che fuori dall’Italia c’è più curiosità e più volontà di scoprire cose nuove. In questi posti nessuno mi conosceva, ma veniva a sentirmi per il piacere di conoscere una cosa nuova.
Probabilmente un tempo c’era anche da noi questa cosa, ma si è persa.
In Italia tutti a vedere vedere la band che gli piace, mi ci metto in mezzo anche io. Ma da artista è bellissimo avere sotto il palco qualcuno che non ti conosce e dover cercare di “conquistarlo”. Quando poi, il giorno dopo, mi trovavo il follow di una persona dal Marocco o dal Brasile era una bellissima sensazione.
Qualche tempo fa su Rockit avevamo fatto un’intervista in cui raccontavi il tuo punto di vista su quello che sta succedendo tra Israele e Palestina, il Paese di tuo padre. Al MI AMI hai portato una bandiera palestinese sul palco. Che reazioni stai avendo per queste tue prese di posizione?
Non mi sono mai pentita di quell’intervista, il contrario semmai. È stata un'occasione di mettere nero su bianco la mia posizione. Le reazioni sono state tutte positive, anche e soprattutto quella del pubblico di MI AMI. Ecco, se proprio devo trovare una cosa bella in questi mesi terribili è la convinzione che se l’obiettivo israeliano era quello di cancellare l'identità palestinese, be’ non ci sono riusciti. Mi sembra più forte che mai. Di Palestina parlano tutti, ci si informa e si protesta (ad esempio nelle università), pian piano sta tornando anche la politica, come nel caso delle Maldive, anche se parliamo di un piccolo Paese. Per me è stato molto impegnativo parlare di queste cose, mi ha richiesto parecchia “centratura” con me stessa, ma sono felice di averlo fatto.
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L'articolo Laila Al Habash questa volta ce l'ha fatta breve di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2024-06-07 10:15:00
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