Lu Colombo: "Non odio Maracaibo, ma si è presa tutta la mia vita"

40 anni dopo esce in vinile una nuova versione del brano che ha fatto ballare tutti quanti. L'autrice (no, non è di Jerry Calà) ci racconta il rapporto di amore e odio con il suo successo, Fidel Castro e il senso del brano, l'epopea delle cassettine in discoteca e il suo sogno da "vagabonda"

Lu Colombo nel frame tratto da un video di un'esibizione dell'epoca
Lu Colombo nel frame tratto da un video di un'esibizione dell'epoca

Questa è la storia di una ballerina. È bella, sensuale, intrigante e molto furba. Fa il doppio gioco. Di notte gli spogliarelli e lap dance, di giorno traffica armi con Cuba, la sua patria. Il suo è amore un rivoluzionario: si fa chiamare Miguel, ma tutti sanno che il suo vero nome è Fidel. Fare la rivoluzione, però, è un mestiere difficile, e quell’uomo non c’è mai, sta sempre sui monti a combattere. Così lei si rifà con Pedro, un amante molto focoso, esplosivo. Miguel/Fidel torna finalmente a casa, trova i due assieme e ha tutte le intenzioni di ammazzarla. Lei fugge per mare, incontra una tempesta, viene quasi mangiata da uno squalo, è più morta che viva. Ma in qualche modo sopravvive. E torna alla vita in un tempo, non più come ballerina, ma come maitresse. Anche perché adesso pesa 130 chili. 

Riconosciuta? Sapete di cosa stiamo parlando?

Dietro a questa grande avventura – che contiene svariati temi di incredibile attualità: l’emancipazione femminile, il femminicidio, il body shaming… – si cela una sinossi acceleratissima di uno dei pezzi italiani più famosi degli ultimi decenni. Un pezzo a cui nessuno o quasi, di primo acchito, darebbe una connotazione politica, dato che probabilmente lo sta ballando nel bel mezzo di un trenino o cantando a squarciagola durante un karaoke. Invece, a prendersi la briga di leggerla, la vicenda è proprio quella riportata sopra. E lo storytelling con cui sono narrate le peripezie di Zazà è davvero magistrale. 

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Ok, l’abbiamo tirata per le lunghe. Il pezzo è Maracaibo. A proposito, sapete chi la cantava (e l’ha scritta assieme a David Riondino)?

No, non era Jerry Calà, anche se è stato lui a renderla celebre durante l’epica scena finale di Vacanze di Natale dell’83. Nemmeno Raffaella Carrà, anche se lei ha dato al brano un’altra bella botta di popolarità ballandola in tv. Nemmanco Giuni Russo, anche se è vero che potrebbe ricordarne la poetica.

L’autrice è Luisa “Lu” Colombo. Milanese, avrà 71 anni tra qualche mese. Maracaibo non è l’unico pezzo che ha scritto, anche se tutti (e pure noi ci aggiungiamo alla lista, sorry Lu) la ricordano per quello, e la ossessionano per quello. Ha una carriera lunghissima, considerato che ha iniziato a cantare e suonare la chitarra da giovanissima, negli anni ’60 ed è stata per un breve periodo la corista di uno dei gruppi simbolo degli anni dell’impegno e della canzone politicizzata (e non solo): gli Stormy Six. Poi ha lavorato in teatro e nelle colonne sonore, fino a fare il botto con Maracaibo. Che esce nel 1980, ma non è affatto un successo immediato. E, come ci racconterà, non ha affatto avuto un’influenza solo positiva sulla sua vita e la sua carriera. 

Lu ha firmato altri pezzi di successo come Dance All Nite, ma, dopo il successo degli anni 80, nel decennio successivo è sparita. Letteralmente, visto che si è messa a fare l’artista e la restauratrice a Firenze e ha mollato la discografia. È tornata gradualmente all e canzoni nel nuovo millennio e da allora ha prodotto diversa musica, compreso un disco di omaggio al cantante spagnolo Joaquín Sabina. Nel 2017 è uscito l'EP Basta, con quattro brani contro la violenza sulle donne, alla faccia di chi – speriamo nessuno, almeno non seriamente – le avesse contestato l’anti-femminismo di Maracaibo, la cui protagonista viene quasi uccisa da un uomo. 

Per il Record Store Day, la giornata dedicata mondiale dedicata ai negozi di dischi indipendenti, il prossimo sabato 22 aprile, uscirà una nuova edizione di Maracaibo. È uno dei dischi italiani della ricorrenza, qua trovate la lista completa. La versione 2023 di Maracaibo, in cui nuove versioni con remix del dj veronese Gian Maria Bragantini, è pubblicata da UDP, etichetta dance di Discopiù Milano, in vinile giallo, edizione limitata. 

Da qui partiamo per la nostra chiacchierata con Lu Colombo.

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Quante versioni in vinile di Maracaibo ci sono in giro?

Pochissime. Infatti quando giro l’Italia ed entro nei negozi di dischi controllo sempre, e non c’è mai. Ci sono le due versioni degli anni ‘80, che hanno avuto una storia tormentata, poi c’è un remix del 2003, che fu pubblicato in vinile e cd, con sette o otto versioni del pezzo. E ora questo nuovo remix, che quindi a suo modo è una rarità. Certo, non è l’originale, ma le sonorità sono buone e l’oggetto è bellissimo, con quel giallo acceso. Poche altre volte un pezzo come Maracaibo è  stato valorizzato come in questo caso.

Hai accennato alla genesi difficile del pezzo, che poi avrebbe fatto epoca. Cos’è accaduto?

La canzone fu rifiutata un po’ da tutti, probabilmente per via del testo (la censura del nome Fidel, sostituito con Miguel, non è un falso mito, ndr). Andavo dalle discografiche e mi dicevano che proprio non la capivano, non sapevano se fosse salsa, musica latina, se cantassi in spagnolo o italiano. Io amavo la world music, avevo in mente una sorta di “dance etnica”: il mio orizzonte era quello. 

Poi che successe?

Nel 1980 fu incisa da Carosello, che ne fece un vinile. Ma poco dopo la persona che mi aveva voluto fu mandata via, e il mio progetto di fatto fu accantonato. A quel punto trovai un’altra etichetta, Moon Records, distribuita da Emi, che fece un remix del brano (per questioni legali), curato dal dj Tony Carrasco. Quella versione uscì in 45 giri anche in Francia. Da quel momento per 20 anni il disco non è più stato ripubblicato. 

Nel frattempo, però, Maracaibo era esplosa, al di fuori dei canali tradizionali. Ci racconti com’è avvenuto?

Dopo l’uscita del disco, passato abbastanza sottotraccia, mi ero fatta una versione “auto-piratata” con un nastro revox, e avevo iniziato a portarlo nelle discoteche, per chiedere ai dj di suonarlo. In particolare avevo scoperto che c’era questa discoteca a Panarea, il Raja. Era un posto molto bello, che metteva roba angolana all’aperitivo, musica per tutti i gusti. Sentivo che andava bene per me. Dopo qualche giorno, senza dirmi nulla, misero il brano. Nessuno mi conosceva, ma dopo pochi secondi dall’attacco della canzone erano tutti in pista a ballare. Da quel momento misero Maracaibo più volte al giorno, ed era sempre un trionfo. Rimasi lì due settimane, avevo capito di avere qualcosa di forte tra le mani.

Lu Colombo in una foto recente, per gentile concessione di Lu
Lu Colombo in una foto recente, per gentile concessione di Lu

Tu eri una “discotecara”?

Lo ero diventata. Perché avevo scoperto che negli anni 70 in discoteca si sentiva tanta musica bella, che altrove non si poteva sentire. La prima volta che ho messo piede in una discoteca, lo ricordo ancora, sentii Otis Redding, Aretha Franklin, gli Stones. Allora andava così, e per me fu un’illuminazione. Andavo a ballare a Milano, in Svizzera, dove riuscivo.

Eppure i tuoi esordi sono differenti, venivi da un’ambiente prossimo a quello della contestazione. Come la presero i “compagni”?

Negli anni 70 fui minacciata perché avevano scoperto che andavo in discoteca. Mi dicevano di smetterla, perchè in discoteca ci andavano i fascisti. Ma io ci andavo perché la musica che amavo era lì e non altrove. Lì o su Radio Luxembourg, di notte.

La contestazione non faceva per te?

Io la contestazione l’ho sempre fatta a modo mio. Sono un’individualista schifosa. Suonavo la chitarra nel gabinetto a scuola, e ho pure perso un anno per questo. Facevo la mia rivoluzione personale. Sono una persona di sinistra, ma non appartenevo al movimento. Ancora oggi non mi identifico con nulla di preciso. 

Ci racconti un po’ il periodo degli Stormy Six?

Ero a scuola con Roberta Zanuso, che sarebbe poi diventata la corista storica di Moni Ovadia, e che era la cugina di Toto Zanuso, batterista degli Stormy Six. Io e Roberta all’epoca avevamo un trio con Umberto Fiori, Plastic Dolls. Facevamo Baez, Dylan, Seeger, più qualcosa tipo i Mamas & Papas. Io avevo già allora una grande passione per il folk e la world music. Gli Stormy chiamarono me e Roberta per fare i cori in due canzoni, tra cui Leone, una specie di tormentone. Non era il loro periodo migliore, diciamo la verità.

Che tipa eri allora?

Era da poco uscita la minigonna e io Roberta la volevamo mettere sempre. Mi fa strano rievocarlo adesso, visto che poco prima della nostra chiacchierata ho letto la notizia della morte di Mary Quant, l’inventrice del capo di abbigliamento. Quello era il periodo optical, che poi avrei scoperto essere un concetto legato all’antirazzismo. Tornando agli anni ’60 e alla politica, posso dirti che di recente ho cantato alla Palazzina Liberty di Milano (un luogo storico di quell’area, a lungo occupato dalla compagnia di Dario Fo e Franca Rame, ndr) con Franco Fabbri, era un iniziativa sul 68. Fabbri canta ancora benissimo. 

Lu Colombo in una foto recente, per gentile concessione di Lu
Lu Colombo in una foto recente, per gentile concessione di Lu

A distanza di anni se pensi al viaggio che ha fatto Maracaibo, che sensazioni provi?

Non mi viene da ridere o essere felice, questo è sicuro. Ma nemmeno da incazzarmi. Quella canzone ha preso la mia vita, indipendentemente dalla mia volontà. Mi fa molto piacere che quel pezzo lo abbiano ballato tutti gli italiani, quello sicuro. Ma è stato come avere un piede nel cemento, e non riuscire a staccarsi da quella roba lì. Non lo odio, anzi lo suono volentieri ai live. So ad esempio che Cohen non poteva sentire Halleluja, gli dava sui nervi, io no. Però sono un po’ stufa, anche perché la gente vuole l’originale. Quindi sono 40 anni che mi ritrovo a cantarla sulla base.

In quanti, secondo te, hanno capito il valore e la portata del brano, e in quanti pensano sia “solo” il pezzo dei trenini?

La sfida era fare ballare gli italiani, cantando in italiano e con un testo con uno spessore. Per 20 anni in discoteca venivano a parlarmi in spagnolo, nessuno si era accorto che il testo fosse nella nostra lingua, che io fossi di Milano. Un giorno fui invitata all’università di Trieste, dove volevano provare a capire come convivessero un testo su Fidel Castro e Jerry Calà. 

Ti capita ancora di doverla spiegare?

Come no, sempre. Ma se leggi il testo del pezzo si capisce. C’è chi pensa che sia una canzone criptica, con un codice per dire delle cose segrete. A me sembra storia lineare, con un inizio e una fine. Non so perché sia ritenuta così complicata, un po’ mi stupisce.

La copertina del vinile che esce per il Record Store Day
La copertina del vinile che esce per il Record Store Day

Hai detto più volte che con quel pezzo hai guadagnato poco. Com’è possibile, con tutte le volte che viene riprodotta e suonata?

Negli anni 80 e 90 la pirateria era ovunque. Come detto sulla distribuzione c’erano stati problemi, il pezzo circolava in cassettine registrate nei modi più vari, io stessa ne avevo diverse versioni. Un po’ come nel film Mixed by Erri, che per altro è fatto molto bene e racconta bene quell'epoca. Negli ultimi anni le cose sono migliorate, ma non è di certo con i diritti di questo pezzo che campo. 

Chissà che boom di riproduzioni farà a capodanno ogni volta…

Io sono sempre a casa che dormo, e mi arrivano i video con i botti in sottofondo e i trenini nelle case e nelle piazze. Da ogni parte d’Italia. So che l’ascoltano in molti quella notte, e lo stesso a matrimoni, feste private, un po’ dappertutto. Poi non è che tutti facciano i borderò, però.

Con le piattaforme di streaming come va?

Io ho circa 250mila streaming al mese su Spotify, più altri 30-40mila su Apple Music. Con tutto il repertorio, non solo Maracaibo. In tutto da lì prenderò 2 o 3mila euro all’anno.

Negli anni passati c’è stata una controversia, finita in tribunale, con David Riondino per i diritti del brano. Tutto risolto?

Tutto risolto. David Riondino è coautore del brano. 

Oggi la situazione è un po’ l’opposto di quanto raccontavi. Le discografiche firmano i ragazzini che non hanno ancora pubblicato un brano, in compenso non esistono più posti dove fare sentire la propria musica, farla girare. Cosa faresti oggi, se avessi vent’anni e un pezzo bomba tra le mani?

Credo che andare nei posti, incontrare le persone, farsi conoscere e chiedere di essere ascoltato, sia sempre la chiave. Ogni tanto sogno di prendere la macchina o il camper, andare nei paesi o sulle spiagge e mettersi a cantare e suonare la chitarra. Avessi vent’anni non ci penserei su due volte, partirei, mi frena il fatto che ora sembrerei la nonna di qualcuno. Ma lo consiglio a tutti: la musica viaggia da sola.

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L'articolo Lu Colombo: "Non odio Maracaibo, ma si è presa tutta la mia vita" di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2023-04-21 14:51:00

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