Luca Bergia ha fatto innamorare della batteria un'intera generazione

La batteria è uno strumento meraviglioso, che negli ultimi decenni ha vissuto momenti complicati. Il batterista dei Marlene Kuntz ha sempre cercato una strada personale allo strumento, ritornando alle origini del drumming e dispensando classe e stile

Luca Bergia dal vivo a Trezzo sull'Adda - foto di Starfooker
Luca Bergia dal vivo a Trezzo sull'Adda - foto di Starfooker

“Perché vedi, quando hai un batterista così, uno che affronta la batteria come un jazzista, talvolta anche con quell'impugnatura, diciamo tradizionale, sai da subito che non hai davanti un coglione. Io quel modo di suonare così versatile, magari meno estetico, di certo più complicato, probabilmente anche più doloroso – pensa al povero dito con quelle pezze sul rullante – me lo sento addosso. Ai concerti mi ipnotizza, non posso fare a meno di guardarlo sempre, è uno dei pochi batteristi che non annoia mai”.

Così, in un giorno qualsiasi di fine anni Novanta, seduti a fumare canne dentro una Ford Ka parcheggiata fronte mare a Ostia, il mio amico Luciano se ne usciva con la descrizione definitiva tra le mille che da tipo cinque anni tentavamo di fare di Luca Bergia, batterista morto nelle scorse ore e co-fondatore di quei Marlene Kuntz che ci avevano stravolto la vita nel piccolo CSO del nostro quartiere qualche anno prima e che proprio in quel periodo si apprestavano a uscire con un disco dal vivo (H.U.P. Live in Catarsis, Sonicafactory) destinato a restare per mesi ascolto fisso delle nostre peregrinazioni automobilistiche da un concerto all'altro.

Infinite chiacchierate sulla tecnica e l'impostazione e l'appeal e, perché no, sul fascino di un batterista. Ore di ascolti nel tentativo di afferrare un fill o un passaggio coi premolari. A ripensarci ora che il massimo dell'argomentazione a riguardo è lo stupore tricologico nei confronti del giovane virgulto del nuovo gruppo di punta del rock europeo o di quanti sia "pestone" e di quanto sia un "mostro" il batterista del nuovo ensemble capitanato da un rapper, sembra la trama di un film di Nolan. Eppure è vita vissuta, e neanche troppo in solitaria.

Era la magia del rock e di un musicista di risultare interessante (per abilità, background, inventiva, gusto, etc.) e di emergere anche dietro a un cantante carismatico e quindi (capitemi...) ingombrante come Cristiano Godano. Il che non è affatto cosa da poco. Se c'è infatti uno strumento musicale che, nel corso degli ultimi quarant'anni, a mio avviso, vive una situazione complicata, quello è la batteria, e la batteria rock nello specifico. La colpa è la solita, l'immobilismo, che di solito vien attribuita al grunge, ma credo dovuta in origine al genio di John Bonham.

Parliamoci chiaro: la batteria è uno strumento bellissimo. In realtà nemmeno uno strumento, bensì la combinazione di percussioni da banda una volta suonate da singoli; alla fine del 800 si inizia col lavorio dei pedali, costruendo, improvvisando, sperimentando, per consentire a un singolo musicista di suonare più strumenti in contemporanea: dapprima la grancassa e poi anche le altre parti. Non a caso uno dei nomi americani della batteria è trap-set, da contraption, letteralmente aggeggio, o marchingegno se preferite. Ma la batteria, come chitarra e basso elettrico, esplode con l’arrivo del rock'n'roll. Nelle musiche di matrice rock è importantissima e, benché inserita in una sezione ritmica, è assai centrale e, col succedersi degli stili, cresce di volume e d'intensità. Ma anche nel pop moderno, da un punto di vista del missaggio, sostanzialmente molto ruota intorno alla batteria; che non è più un elemento della sezione ritmica, ma una sorta di enorme monolite sonico anabolizzato da effetti, primo tra tutti il compressore, che schiaccia i suoni creando quell'effetto di pompaggio, a volte bestiale, di cassa e rullante.

Naturalmente un po' di compressione piace, ma oggi si sta esagerando: c’è una generazione che non conosce altro suono al di fuori di quello, e non ha forse mai sentito un rullante suonare al naturale. Inoltre, data l’insistenza dei ritmi sui quarti, suonati di solito da cassa e rullante pompati all’inverosimile, si è creata una sorta di assuefazione degli ascoltatori. Un po' come a chi beve solo bevande gasate l'acqua gli pare non lo disseti più. Ecco, per assurdo uno dei grandi meriti e pregi di Luca è stato quello di riportare l'approccio al drumming negli anni '30, quando il ritmo era al centro della scena: lo stile dominante era lo swing, l'impugnatura era quella d'effetto notata dal mio amico Luciano e la batteria era già fondamentale; non era ancora come la conosciamo, ma iniziava ad assomigliarci.

Luca per altro era uno dei pochi di quel giro alternative ad aver un po' studiato, come mi fa notare un caro amico batterista, cosa oggi molto più diffusa ma non all'epoca, che gli autodidatti erano sempre in maggioranza. Ecco con il suo talento e la sua opera ha ricollegato lo strumento e la tecnica indie più che al batterista dei Led Zeppelin a Gene Krupa, primo bandleader batterista della storia e interprete del primo assolo mai registrato. Ah quanto era bello quel modo di suonare con ritmi meno espliciti ma non meno accattivanti. Un paesaggio musicale, anche umorale, dove non sentiamo il bisogno di sottolineare a ogni maledetta misura dove stanno l’uno, il due, il tre e il quattro. Lo sappiamo da noi dove stanno: Luca ci raccontava il resto, ed era assai più interessante

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L'articolo Luca Bergia ha fatto innamorare della batteria un'intera generazione di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2023-03-24 14:40:00

COMMENTI (2)

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  • RAUSTE 21 mesi fa Rispondi

    23-03-23. Perdiamo un grande artista

  • max10 21 mesi fa Rispondi

    Sono profondamemte addolorato per la scomparsa di Luca Bergia, batterista straordinario e persona affabile e gentile, visto suonare diverse volte dal vivo con i MK, una forza della natura, personalmente un protagonista della musica rock Italiana degli ultimi 30 anni, sono vicino alla famiglia e agli amici, una grande perdita ...