Le Luci Della Centrale Elettrica: quindi, cosa abbiamo raccontato di quei cazzo di anni zero?

Riascoltare 15 anni dopo “Canzoni da spiaggia deturpata”, devastante album d’esordio di Vasco Brondi, è un colpo al cuore: un disco capace di ricordarci chi eravamo e farci riflettere su chi siamo diventati. Lo abbiamo riascoltato per voi, in attesa di cantarlo tutti assieme al MI AMI il 28/5

Vasco Brondi negli anni 2000, foto di Ilaria Magliocchetti Lombi
Vasco Brondi negli anni 2000, foto di Ilaria Magliocchetti Lombi

Sabato 28/5 al MI AMI Festival accadrà qualcosa di magico, che attendiamo in maniera trepidante. Vasco Brondi aka Le Luci della Centrale Elettrica – uno degli artisti che Rockit ha maggiormente amato e che con il suo percorso artistico ha accompagnato una parte importante del cammino di questo magazine – tornerà sul palco del festival (con tanto di Giorgio Canali), per suonare integralmente il suo primo disco. Qui trovate i biglietti, e vi consigliamo di accaparrarveli che corrono veloci. Per l'occasione abbiamo riascoltato per intero, senza interruzioni, quel disco seminale e ve lo raccontiamo in questo track by track di tre lustri dopo. 

Chi conosceva Vasco Brondi, classe 1984, veronese con un'adolescenza passata tra Ferrara e Bologna, prima di Canzoni da spiaggia deturpata, il suo primo album d'esordio del 2008 - che quindi compie 15 anni proprio ora -, ricorda concerti in locali poco illuminati e un ragazzo smilzo, con la faccia che è un misto di allucinazione e saggezza, con la chitarra e la voce di uno che non dovrebbe fare il cantante, ma neanche lo spoken in stile Massimo Volume. Forse il predicatore da soap box trapiantato da Nashville alla zona industriale ferrarese, che riesce contemporaneamente a parlare del tuo disagio e a metterti a disagio. Pare avesse mandato il demo che aveva lo stesso titolo del suo progetto solista a Giorgio Canali, ma che quest'ultimo lo abbia preso con sé e abbia deciso di produrlo proprio dopo aver visto uno di questi concerti, di spalla ai giovani Zen Circus

Siamo nella seconda parte degli anni Duemila e l'indipendente italiano pullula di band che cantano in inglese, che dicono la loro cosa con un linguaggio internazionale, giacché sembra non sia possibile trovare una nuova formula decente per fare rock - o quello che è - underground nel nostro paese, dopo la fine dei fasti degli anni Novanta, la fine dei CCCP, dei CSI, dopo che i Litfiba sono diventati mainstream e che i Marlene Kuntz e gli Afterhours hanno perduto un po' di cattiveria per strada. Ma non stiamo a parlare degli altri, parliamo di un ragazzo che si chiama Vasco e imbraccia una chitarra in Italia, dell'Università e di quel groppo in gola post nuovo millennio che non va né in su né in giù, di cui nessuno della sua età si prende la briga di urlare.

Foto di Barnaba Ponchielli
Foto di Barnaba Ponchielli

Insomma, Vasco Brondi che si chiama come le luci della Montedison di Ferrara che illuminano più delle stelle è un Joyce intossicato che parla e grida frasi che stanno tutte bene insieme anche quando sembrano slegate, slogan urbani grigi uno dietro l'altro, in cui mette insieme versi da scrivere a pennarello sullo zaino e luoghi, persone vere e immaginate, città, negozi, prodotti commerciali, in un flusso di coscienza che prende tutto, nero come il veleno, dolce come il veleno. Canzoni d'amore e di dolore che alla fine non capisci più quali siano le une e quali le altre, spaccati di vita vissuta pericolosamente.

Canzoni da spiaggia deturpata prende vita un anno dopo il primo demo e contiene parecchie canzoni che erano già presenti lì, riviste e rielaborate da Giorgio Canali e Manuele Fusaroli, che producono l'esordio del 24enne Vasco Brondi. In copertina, un'illustrazione crepuscolare di Gipi, in foto Vasco in bianco e nero che corre e sta per saltare una pozzanghera come nella famosa fotografia di Henri Cartier-Bresson ma con alle spalle il polo Montedison da cui prende il nome.

Foto di Ilaria Magliocchetti Lombi
Foto di Ilaria Magliocchetti Lombi

Il disco dura poco più di mezz'ora, è quanto basta per rendere Le luci della centrale elettrica la voce di quegli anni disgregati e disgraziati, post tutto, immersi nel nichilismo e nella crisi del capitalismo, sfiancati dalla caduta degli dèi e degli ideali, vulnerabili e persi. Vasco Brondi accende fuochi, fa parlare con la sua voce tutta la sua generazione, usa spesso la prima persona plurale e il tempo futuro, parla d'amore tra le macerie, tira lacrimogeni in faccia a chi non se li aspetta. Lo paragonano a Rino Gaetano, ai CCCP, a Fabrizio De Andrè ma anche a Tondelli, Pazienza e Genna. Le canzoni ci risuonano ancora nelle orecchie, ci fanno credere giovani, arrabbiati, innamorati, con tutto da vincere e tutto da perdere, con i giorni contati e un futuro infinito, in piena contraddizione con se stessi e col mondo, eppure vivi di una vita che esplode, e attenzione a starci accanto.

Vasco Brondi tornerà a cantare Canzoni da spiaggia deturpata riprendendo il nome Le luci della centrale elettrica domenica 28 maggio al MI AMI Festival. 

 

Lacrimogeni 

Un paio di accordi cupi, neanche due minuti e già c'è tutta la poetica di Vasco Brondi, dell'altro Vasco possibile: "Rovistando tra i futuri più probabili voglio solo futuri inverosimili". Poi l'illuminazione di ciò che sarebbe potuto succedere alla scena italiana, o forse ce lo vediamo solo noi perché è passato un sacco di tempo: "E proteggimi dai lacrimogeni e dalle canzoni inutili". Quelle fanno male più di quanto siamo disposti ad ammettere.

Per combattere l'acne

Il singolo, la canzone famosa del disco, del tutto diversa da ciò che si può sentire in radio o nei festival nel 2008. Un pezzo che sembra possa avere una struttura più dolce e classica, ma poi il ritornello è quello che ripete "Siamo l'esercito del SERT" fino a fartelo entrare in testa a forza, che forse è pure vero. Le piazze sono vuote, mute, mentre i ragazzi esprimono desideri guardando le navicelle spaziali che esplodono nel cielo di Chernobyl. Perché alla fine è una canzone romantica tra le macerie, da imparare a memoria per ricordarsi cosa fossero gli anni 2000.

Sere feriali

La prima canzone davvero strana del disco, tra un Tom Waits allucinato e la musica industriale, qui il tocco di Giorgio Canali si fa sentire con la mano pesante, e sembra di assistere a un cabaret del dopo bomba, uno spettacolo teatrale fatto di flussi di coscienza urbani, drogati, che cita il Paolo Conte di Azzurro, dei pomeriggi troppo lunghi e chiosa con "Guarda come siamo friabili". Trema il cuore. 

Foto di Ilaria Magliocchetti Lombi
Foto di Ilaria Magliocchetti Lombi

Stagnola

Accordi dolci, parole d'amore e di metadone per una canzone romantica che sembra venir fuori dalle stanze berlinesi di Christiane Felscherinow. La speranza non è di questa canzone, forse neanche di questo mondo, che combatte con gli incubi incomprensibili dei pesci rossi e quelli più turpi degli angeli e dei conoscenti morti negli incidenti stradali, che lasciamo pure che ci piscino addosso. "Apri lo scrigno dei preservativi troppo costosi e dei tuoi minuscoli seni". Come dicevamo, è una canzone d'amore.

Piromani

"Addio fottiti ma aspettami" era scritto su tutti i diari e su tutti gli zaini della generazione post MySpace e pre Facebook. "Con me non devi essere niente" era la richiesta più sincera e insieme più falsa che si potevano dire gli adolescenti innamorati, diversi da tutti gli altri, uguali a tutti gli altri. Un disturbo dell'alimentazione, un invito a vedere le luci della centrale elettrica di Ferrara, i colori delle ciminiere, a dare fuoco ai tramonti, a trasformare questa città in un'altra cazzo di città, per far morire, sì, ma dal ridere, le madonne anoressiche e bulimiche. Per chiuderla del tutto con le fottute fotomodelle. Cazzo se è sempre potente. 

La lotta armata al bar

L'inizio sembra preso dall'unplugged dei CSI, il titolo già dice tutto. Oggi si usa spesso a sproposito la definizione "iconica" per una qualunque canzone ci colpisca un po' più delle altre, ma cosa ti prende più a schiaffi della frase: "Cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero"? Poi certo, c'è chi i figli nel frattempo li ha avuti e chi no, ma mica è quello il punto. Anche a tentare di raccontarli quegli anni, non ne viene fuori il succo e forse, l'unico modo è proprio quello di stendersi su un prato o sull'asfalto con le cuffie alle orecchie ascoltando Le luci, che ti parlano di quei ragazzi costretti e liberissimi, che andavano dappertutto pur di scappare dalle proprie paure.

Foto di Barnaba Ponchielli
Foto di Barnaba Ponchielli

La gigantesca scritta Coop

Beh, quando Vasco Brondi ci dice che sarà la prima volta che non andrà a votare ovvero che non andrà a puttane e ci ripete ossessivamente che i CCCP non ci sono più (da un bel po'), ci rende partecipi dello sconforto politico e idealistico del Duemila, che è stato il principio di tutti i vizi ormai digeriti e sedimentati negli anni Venti, quelli in cui al governo c'è chi mette in dubbio l'antifascismo. "E tu avevi i vestiti adatti per le tue guerre stellari". Vorremmo averli anche noi. 

Fare i camerieri

"Mentre parecchi facevano l'università e alcuni si impiccavano in garage, lasciando come ultime volontà le poesie di (Boris) Vian". Quello di Non vorrei crepare, che vorrebbe strappare la vita come un dente guasto. Dunque esistenzialismo, ma anche negazione del sé, tra le guerre, tra i lavori sottopagati. O forse solo la voglia di avere accanto quella persona che vedevi sparire a Firenze, partire col camion che raccoglie la spazzatura alle sei di mattina.

Produzioni seriali di cieli stellati

Dove finiscono i sogni quando finiscono? Forse diventano ansie planetarie su cui ridere a dirotto, forse vengono deportati in Siberia mentre ti addormenti. Questa canzone porta ancora lì, nei cassetti in cui i sogni sono rimasti a marcire, accompagnati da uno scrosciare di chitarre e di code di macchine. Profetico: "Mentre mi parli contribuisci allo scioglimento dei ghiacciai, distribuisci volantini che diventano pavimenti e funerali laici per i CD". È successo tutto.

Nei garage di Milano nord

La canzone che chiude il disco è tra le più politiche, ma poi lo stesso disco è un atto politico.  Finisce con la citazione di Rino Gaetano tratta da Ma il cielo  sempre più blu, e si sofferma come un mantra sulla frase "Chi muore a lavoro". Sempre attualissima da gelare il sangue, così come il feedback della chitarra di Giorgio Canali, che dilania gli spazi vuoti tra il diluvio di parole di Vasco Brondi. Arruoliamo brigatisti, P-38, Milano da pere, amori interinali e poliziotti di quartiere. "Per ammazzare il tempo ci siamo sconvolti". Chi non l'ha fatto? E chi lo sta raccontando ai figli che non ha avuto - oppure sì?

 

---
L'articolo Le Luci Della Centrale Elettrica: quindi, cosa abbiamo raccontato di quei cazzo di anni zero? di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2023-04-24 17:50:00

COMMENTI (1)

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia
  • VargVik 20 mesi fa Rispondi

    Articolo da scrivere sullo zaino e se si ha tempo anche nel diario, non dimentichiamo di precisare come si è fatto per l autore (Boris)
    Vian che la foto dove Brondi corre con alle spalle la centrale elettrica, si trova a Mestre e non a Ferrara.