Lucio Corsi ci dimostra come si costruisce la carriera di un vero artista

Quattro singoli molto belli, la capacità di costruire con la musica un mondo irresistibile e pieno di colori. A pochi giorni dall'uscita del suo nuovo disco, "La gente che sogna", e dal live della "consacrazione" all'Alcatraz, abbiamo definitivamente capito cosa farà Lucio Corsi da grande

Lucio Corsi, foto di Tommaso Ottomano
Lucio Corsi, foto di Tommaso Ottomano

Ormai qualche anno fa ho avuto l'occasione di passare un paio di pomeriggi in studio con Lucio Corsi. Stavamo preparando, con ruoli differenti, le ultime quattro puntate de L'Assedio, programma con Daria Bignardi in onda sul Canale 9. Il suo "recruitment" era avvenuto alla Baita dei Formaggi di Milano, un posto che sarebbe assurdo un po' ovunque, e ancora di più dove si trova, a pochi passi dal Parco Solari e dal carcere di San Vittore a Milano.

La decisione di proporgli di diventare l'artista resident dello show era arrivata qualche tempo prima, nel settembre 2020, quando Lucio si era esibito sul palco montato nel giardino del Castello Sforzesco. Stava per concludersi la prima estate della pandemia, con quel suo mix di fascino della novità e terrore. Quella stessa pandemia che Lucio si era "preso sui denti" come pochi altri artisti italiani: Cosa faremo da grandi?, il suo secondo album in studio, era uscito il 17 gennaio, un mese prima della cesura nelle vite di tutti rappresentata dal Covid e della serrata generale.

Doveva essere il disco della "consacrazione", e invece rischiava di diventare solo un disco pubblicato con pessimo tempismo. Lucio aveva deciso di portarlo in giro con un tour vero e proprio. Il suo "gaso" derivava tutto da quello: dopo anni chitarra e voce, sul palco di concorsi prima e concerti più o meno improvvisati poi, era pronto per una tournée "da grandi".

La copertina del disco
La copertina del disco

Per questo aveva riunito la banda. Anzi "LABBANDA", detto alla Blues Brothers. Erano un gruppo di amici suoi della Maremma, mediamente di qualche anno più di lui, ragazzi con cui era cresciuto musicalmente sin dai primi tentativi adolescenziali, improbabili come tutti i tentativi adolescenziali. Talentuosi e sgangherati, protagonisti di mille progetti diversi tra loro, molto validi e difficilmente destinati alla gloria, vestiti con i vestiti presi da Lucio in chissà quale bancarella vintage. Dopo i primissimi live del tour, era saltato tutto per aria. 

Eppure sul palco del Castello Sforzesco – nonostante le sedute, le mascherine, l'afa e un repertorio ancora tutto sommato ridotto che li aveva costretti a qualche bis – era difficile con notare l'aria che vibrava. C'era qualcosa nella musica di quel ragazzo, nel suo modo di esprimersi, nella naïveté con cui leggeva le sue "canzoni senza musica" e nella passione con cui lui e i suoi compagni passavano da un momento di (rapido) onanismo prog a un omaggio alla nostra tradizione cantautorale. Quell'estate, nonostante tutto, loro l'avevano fatta alla grande.

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Era finita come doveva finire: tutti scritturati. Non si va da nessuna parte senza LABBANDA. Durante il programma i ragazzi dovevano suonare pezzi di Lucio, per intero e in versione jingle, più qualche classic. La dedizione con cui, durante i pomeriggi di prove, lo vidi preparare quei pochi minuti di esibizione, la sua empatia, la capacità di ascoltare ogni consiglio ma pretendere l'ultima parola sulla propria opera, mi diedero parecchie conferme. Altrettante ne diedero le dirette, in cui i guys from Maremma furono molto bravi e molto fighi.

Non so quale peso abbia avuto quell'esperienza nel suo percorso artistico, quanta popolarità gli abbia donato. La "musica in tv" funziona sempre secondo regole a sé. Fatto sta che Cosa faremo da grandi? ha fatto esattamente il percorso che doveva fare. Quello di un disco fatto di canzoni notevoli – la title track con quel suo video "wesandersioniano" clamoroso, la "glammata" di Freccia Bianca, il piccolo inno rodariano e davvero ispirato Trieste – e capace di portare gli ascoltatori dentro un piccolo mondo creato dall'autore. È quello che fanno le opere di fantasia, scritte, cantate o recitate, quando sono fatte bene.

Sono passati più di tre anni da quel disco. Quelli che, mediamente, ci vogliono per fare un disco fatto bene. E così sarà senza dubbio  La gente che sogna, in uscita per Sugar venerdì 21 aprile. Lucio ci arriva dopo un periodo di sparizione, usato per scrivere e suonare. Tanta assenza, pochissimi social. In questi mesi tanti si sono chiesti dove fosse finito, se facesse ancora musica. È questo il paradosso dei nostri tempi: fare musica per davvero, significa non fare musica. O meglio, se non la mostri quella musica non esiste. Solo che poi arriva il momento della pubblicazione. E si nota subito quando un lavoro è curato in ogni dettaglio, soprattutto in tempi in cui molti dischi arrivano solo per via di contratti firmati con leggerezza, in mezzo a mille altre attività più redditizie oppure (se va bene) in una breve pausa tra un tour e l'altro. 

Come per ogni lavoro di Lucio, l'estetica del disco è fortissima, a cominciare dalle sue scelte di look e dalla "solita" copertina disegnata da quella meravigliosa pittrice che è la mamma. Quella "costruzione di mondi" passa anche da qui. E dalla scelta dei quattro singoli che hanno anticipato la release, usciti a due a due come nei 45 giri di un tempo. 

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Prima era stata la volta di Astronave giradisco e La bocca della verità, arricchiti da altrettanti videoclip (superlativi) di Tommaso Ottomano, suo amico da sempre, conterraneo e partner artistico. Tommaso ha firmato tutti i suoi videoclip, fino a diventare uno dei più bravi in Italia in questo lavoro, come dimostra la scelta dei Maneskin di affidargli tutti i loro ultimi video. In queste nuove tracce – consueto mix tra il glam rock e la favola, il fumetto, la poesia e il surrealismo – firma anche la musica e la produzione.

Nelle scorse ore sono arrivati altri due singoli, Magia Nera e Orme. Pezzi di ispirazione seventies, come sempre, ma con il respiro davvero ampio, romantici, sognanti eppure terreni. Perché anche l'incubo è un sogno, e anche il "fanciullino" che è in noi ogni tanto deve ricordarsene. Sono quattro bei pezzi, diversi tra loro e tutti centrati, due dei quali curiosamente arrivano nel giorno dell'uscita del nuovo disco dei Baustelle e di quel Francesco Bianconi che fu il primo a capire e tenere a battesimo Lucio. Un disco (anche considerando le aspettative) davvero valido, Elvis, che proprio come nel caso di Corsi proietta tutti quanti in un mondo altro, in quel caso fatto di freak untuosi di provincia e disperati dallo sguardo triste ma pieni di vita. 

Lucio Corsi, foto di Tommaso Ottomano
Lucio Corsi, foto di Tommaso Ottomano

È un'ottima cosa che queste anomalie siano ancora possibili. E che, a volte, le carriere vadano davvero come devono andare. Il 5 maggio – seconda di cinque date – Lucio sarà sul palco dell'Alcatraz di Milano, un posto a cui non possono ambire tutti, nemmeno quelli che hanno numeri ben più alti sulle varie piattaforme e tutt'altro hype addosso. Non ci saranno le sedute, ma solo la voglia di cantare assieme a un ragazzo che forse ora lo sa cosa farà da grande. Con pieno merito. 

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L'articolo Lucio Corsi ci dimostra come si costruisce la carriera di un vero artista di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2023-04-14 12:29:00

COMMENTI (1)

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  • lorenz_zadro 17 mesi fa Rispondi

    Bellissimo contenuto, Dario! Un applauso a Lucio Corsi, che ben conoscendo la storia e l'evoluzione della musica italiana sa come tracciare nuovi confini nel cantautorato della nuova era.