Il 1978 non è un anno come un altro per gli Area. Che pubblicano Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano!, l’ultimo album con Demetrio Stratos, il primo dopo l’uscita dalla Cramps. Paolo Tofani ha gettato la spugna qualche mese prima, a conferma del fatto che il gruppo si trova in una fase di pieno disfacimento: ognuno decide di seguire la propria strada, non importa quale, l’importante è fare tabula rasa del passato. Con qualche distinguo: se Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano! esce per la Ascolto di Caterina Caselli, Stratos decide di non abbandonare la Cramps e di affidare i suoi lavori solisti all’etichetta fondata e diretta da Gianni Sassi.
In realtà, l’ormai ex Area sa bene quale direzione intraprendere: nel 1976, nei negozi di dischi, aveva già fatto capolino (sempre sotto l’egida della Cramps, all’interno della collana DIVerso) Metrodora, la prima esperienza di Stratos senza l’apporto della band. Un lavoro in piena solitudine, se si esclude qualche spruzzata messa giù dal synth di Tofani.
La ricerca vocale è la protagonista assoluta del disco. La voce si fa strumento, rinunciando a qualsiasi trucco di matrice tecnologica: per modificarne il timbro, ci si affida soltanto a una corda, una cartina Rizla e a un bicchiere d’acqua.
Le note di copertina di Metrodora, redatte dallo stesso Stratos, la dicono lunga sul nuovo corso: "L’ipertrofia vocale occidentale ha reso il cantante moderno pressoché insensibile ai diversi aspetti della vocalità, isolandolo nel recinto di determinate strutture linguistiche. È ancora molto difficile scuoterlo dal suo processo di mummificazione e trascinarlo fuori da consuetudini espressive privilegiate e istituzionalizzate della cultura delle classi dominanti".
Stratos si è già fatto le ossa con John Cage, col quale collaborerà a più riprese, ma non c’è Cage che tenga: lo studio delle culture popolari, in particolare dell’estremo Oriente, portano la sua cifra stilistica verso un oltre che delinea uno scenario avanguardistico. Dissonante, al di fuori degli schemi sin lì generati dagli Area, portati d'ora in poi nel terreno dell’esplorazione dei rapporti tra psiche e suoni.
Nel 1978 arriva Cantare la voce, altro album di rottura, che si avvale della collaborazione (tra gli altri) dello stesso Cage, dell’intellettuale Gianni Emilio Simonetti (vecchio compagno di scorribande degli Area) e della mezzosoprano di origini statunitensi Cathy Barberian. Stratos, tra i tanti progetti in essere, intraprende un’attività live che gli consentirà di riversare sui palchi dei teatri e nell’ambito dei Festival le sue sperimentazioni.
A riaffermare la potenza espressiva della voce dell’artista italogreco è arrivata un’ulteriore, e gradita, testimonianza: si tratta di Concerto al teatro San Leonardo, registrato a Bologna il 4 febbraio 1979 e uscito nel luglio del 2021 in vinile, per la Progressivamente di Guido Bellachioma, produttore del disco con la complicità di Daniela Ronconi. Un inedito tirato fuori dalla polvere depositata dagli anni e riportato finalmente alla luce: il frutto di una registrazione, effettuata con una bobina Revox, curata all’epoca da Gianni Gitti (fonico di fiducia di Stratos), poi affidata alla masterizzazione di Mauro Matteucci del Legend Studio di Roma.
Un lavoro che ci restituisce un Demetrio Stratos in ottima forma. Concentrato, ma al tempo stesso pronto a interagire con un pubblico nei confronti del quale non lesina spiegazioni sul suo operato. Si parla di incastri di "tipo architettonico", di termini come letture afasiche, della perdita del linguaggio e di come si possa "succhiare le parole". Al di là dei chiarimenti e delle osservazioni offerte, Stratos macina una performance con un impatto a dir poco stupefacente, e porta la propria vocalità al limite.
Il live attinge in particolar modo da Cantare la voce, dal quale vengono pescati quattro estratti (una versione della restante Tema Popolare era apparsa su Concerto all’Elfo, altro album dal vivo uscito postumo nel 1995). La vocalità si trascina tra diplofonie, triplofonie e flautofonie di fortissima suggestione: sarà stato impressionante fruirle dal vivo. Come d'abitudine ai tempi, senza il sostegno di strumentazione o aiuti di qualsiasi genere in arrivo dalla tecnologia.
Ancora più stupefacente sarà stato ascoltare (e perché no: osservare) la versione di Criptomelodie infantili: Stratos prende la forma di effetto backmasting umano, e recita al contrario la filastrocca "ma che bel castello dirun dirun dirundello". E conferma, così, che la voce può trasformarsi in uno strumento. Che con la voce si combatte una battaglia.
Battaglia che Stratos combatterà fino al 13 giugno 1979, quando la sua vita sarà interrotta, a soli 34 anni, da un’aplasia midollare. Il ricovero al Memorial Hospital di New York non servirà: gli amici, nel frattempo, organizzano un concerto all’Arena Civica di Milano, fissato per il 14 giugno, con lo scopo di raccogliere fondi per la sua degenza.
Un concerto che si trasformerà in una mesta commemorazione. L’ultima apparizione dal vivo rimane quella del 30 marzo al Teatrino della Villa Reale di Monza, poi la malattia prenderà il sopravvento. Il live riportato in luce dalla Progressivamente, dunque, precede di 54 giorni quell’esibizione ed è, pertanto, parecchio indicativo di come gli spettacoli dal vivo di Demetrio Stratos abbiano raggiunto dei livelli di consapevolezza del tutto ineludibili.
Concerto al teatro San Leonardo è una testimonianza importante, forse fondamentale, di un percorso interrotto da sin troppa crudeltà. Chissà dove avrebbe potuto arrivare Stratos è la classica domanda che non avrà mai risposta. Rimane solo il rimpianto di averlo perso così presto. Anche se, in realtà, Demetrio non ci ha mai lasciato.
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L'articolo L’ultima voce di Demetrio Stratos di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2021-11-26 16:00:00
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