Da poco è stato confermato come uno dei nuovi giudici della prossima edizione di X Factor insieme a Fedez, Arisa e la popstar spagnola Alvaro Soler. Quale miglior occasione per ripercorrere la carriera del leader degli Afterhours, partendo dalla domanda:
Chi è Manuel Agnelli?
È uno dei più importanti rocker italiani. Incarna molto bene l’idea di frontman. Da più di trent’anni è il leader degli Afterhours, di cui è stato fondatore e guida, curando ogni fase del progetto, senza però soverchiare mai l’identità del gruppo. In Italia non è una cosa così scontata: non abbiamo un buon rapporto con il rock, né tanto meno con le band. Dopo gli anni ’90 in cui si era assistito a quella grossa esplosione rock - con i CSI, i Ritmo Tribale, i Timoria, i Marlene Kuntz, i La Crus, gli Scisma, ecc - questa tendenza si è bloccata. Si è persa l’idea del rock italiano in quanto genere musicale: negli ultimi 20 anni si è passati dal breve innamoramento per l’indie rock inglese e americano alla discesa in campo dei cantautori, fino al ritorno massiccio del rap e all’affermazione dei produttori e dei festival di musica elettronica che ci hanno fatto dimenticare, quasi del tutto, cosa sia un gruppo con le chitarre distorte e gli amplificatori a palla. In tutto questo gli Afterhours sono riusciti a mantenere una loro posizione senza scadere nella macchietta dei rocker che fanno di tutto per rimanere nel giro, anche a costo di vivere nel puro revival. Non sono un fan degli Afterhours ma riconosco loro il merito di essere un gruppo tutto d’un pezzo, con delle idee piuttosto chiare e un’identità da difendere. Le canzoni possono piacere o meno, a quel punto non importa.
Facciamo un passo indietro: Manuele Agnelli nasce a Milano il 13 marzo del 1966, da Italo, commercialista, e Mirella, casalinga; ha due sorelle: Silvia e Brunella. Gli Agnelli abitavano a Corbetta di Magenta, uno dei comuni dell’hinterland milanese. Economicamente non se la passavano male: prima della maturità Manuele ha avuto la possibilità di fare molti viaggi in Europa, principalmente in Inghilterra e in Germania. Passato il servizio di leva, ha fatto l’impiegato nello studio del padre per poi alternare altri lavoretti alla musica (anche questa finanziata dal padre). Dopo l’esperienza nelle prime cover band – in cui suonava le tastiere rifacendo le canzoni dei Pink Floyd – e un altro paio di gruppi (Ex-Parapsychology e Children Of The Corn), nell'85 fonda gli Afterhours insieme a Paolo Cantù e Roberto Girardi. Già allora era visto come una persona eccentrica - a partire dal mondo in cui si vestiva - e con un ego più che pronunciato, ma gli veniva anche riconosciuta l’assoluta fiducia nel proprio percorso. “Ho sempre avuto la certezza che sarebbe diventato il punto di riferimento per il nostro rock e in più occasioni mi ha riconosciuto il merito di avergli consigliato a cantare in italiano” - commenta Giacomo Spazio, fondatore insieme a Carlo Albertoli dell’etichetta Vox Pop. “Ho sempre pensato che fosse uno dei più grandi talenti in circolazione, non solo in Italia” - racconta Albertoli - “e volevo lavorare con lui. Poi il papà aveva anche i soldi e quindi…” (ride).
Gli Afterhours di Manuel Agnelli
Riassumere in breve la carriera discografica degli Afterhours non è facile: hanno pubblicato dieci album e si accingono a presentare il loro undicesimo - “Folfiri o Folfox”, in uscita a giugno - per non parlare poi dei dischi dal vivo, le ristampe e le compilation. I cambi di formazione sono stati molti: oltre ad Agnelli, i membri che tutti ricordano sono sicuramente Xabier Iriondo (chitarra), Giorgio Prette (batteria) e Dario Ciffo (violino) ma ce ne sono stati altri che sarebbe sbagliato considerare “minori”: Giorgio Ceccarelli, Enrico Gabrielli e Andrea Viti su tutti. Musicisti che, come vedete in questa infografica, sono rimasti nel progetto anche per archi di tempo piuttosto lunghi.
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L’esordio è con “All the Good Children Go to Hell” (1988), pubblicato dalla Toast Records; arrivano poi “During Christine's Sleep” (1990) e "Pop Kills Your Soul" (1993) dati alle stampe da Vox Pop, e infine Germi (1995). Quest’ultimo disco ha segnato l’abbandono dell’inglese e, sopratutto, l’approdo ad un tipo di songwriting veramente personale e riconoscibile.
L’album era cantato in italiano ma manteneva un’impronta rock internazionale: vuoi perché alcune canzoni erano già presenti in inglese nei precedenti dischi - “Dentro Marilyn”, “Ossigeno”, “Vieni dentro” - vuoi per la capacità di arrivare ad una forma canzone che non aveva niente in comune con la nostra musica, pur facendone parte. È una delle principali qualità degli Afterhours: riuscire a fare a meno della melodia italiana e scrivere canzoni rock dallo spirito internazionale. Potete vederlo come l’esempio di un provincialismo tutto nostrano che trasuda l’eterna speranza di fuggire dalla propria mentalità paesana senza davvero riuscirci, ma in realtà gli Afterhours hanno sfruttato la lingua italiana in un modo nuovo. Non sono gli unici ad esserci riusciti in quel periodo, è chiaro, ma con il passare degli anni sono rimasti tra i pochi che lo fanno ancora con una certa classe.
Una versione di “Germi” conteneva anche “Il meraviglioso tubetto”, una raccolta di storie (ripubblicata poi nel 1999 per Ultrasuoni e l’anno dopo per Mondadori) in cui Agnelli approfondisce la tecnica del cut-up che diventerà uno dei tratti più significativi delle sue canzoni di quel momento.
Nonostante l’enorme potenziale, “Germi” passa quasi totalmente inosservato dalla stampa specializzata. Il gruppo raccoglie il riconoscimento che gli spetta solo due anni dopo con “Hai paura del buio?” (1997, per Mescal). Nel 2012 l'album sarà eletto come il più significativo di 15 anni di musica italiana dai lettori di Rockit. Modella bionda in copertina e il titolo bianco in stampatello che le copre il volto trasmettono un’immagine forte e decisa fin da subito. È a tutti gli effetti il loro disco più conosciuto, oltre ad uno dei titoli più significavi del rock italiano. Si riconferma quanto è stato già detto sul songwriting a cui si aggiunge un uso ancora più spinto e sperimentale delle distorsioni nelle chitarre e negli effetti di Xabier Iriondo, insieme a pezzi che diventano subito dei classici come “Sui giovani d'oggi ci scatarro su”, “Male di miele”, “Voglio una pelle splendida”, ”1.9.9.6” e altre ancora. 19 tracce che mettono insieme grunge, rock e psichedelia, ottenendo un impatto senza precedenti.
A quel disco ne seguono due altrettanto notevoli: “Non è per sempre” (1999, Mescal) e “Quello che non c’è" (2002, Mescal) dove troviamo molte influenze nuove che si mescolano, dai Suicide al pop più radiofonico, dal rock anni ’70 al post rock, e tante altre. Mettono a segno canzoni bellissime come “La verità che ricordavo”, “Non si esce vivi dagli anni ’80”, “Oceano di gomma”, “Non è per sempre”, “Bye bye Bombay”, “Quello che non c’è”,“Non sono immaginario”, tutti pezzi che ci confermano una band in ottima forma e senza il minimo calo di ispirazione.
Con gli album successivi, invece, qualcosa inizia a incrinarsi: “Ballate per piccole iene” (2005, Mescal), “I milanesi ammazzano il sabato” (2008, Universal) sono dei buoni dischi ma non stupiscono come i precedenti. Le belle canzoni non mancano ma non sono così efficaci e innovative. Nel primo troviamo brani molto amati dal loro pubblico - “Ballata per la mia piccola iena”, “Ci sono molti modi”, “La vedova Bianca” - mentre il secondo colpisce più per le orchestrazioni portate da Enrico Gabrielli (già nei Mariposa e nei Calibro 35). Manca però un’urgenza e una forza che da sempre li aveva contraddistinti.
Parallelamente la band svolge un’intensa attività live, con tour interminabili e pochissime pause. Nel 2006 affrontano la loro prima esperienza in Canada e Stati Uniti dove suoneranno per 35 concerti, praticamente da soli, con pochi tecnici al seguito e un solo furgone. A questo seguiranno altri 7 tour nel nord America e altrettanti in Europa.
(Manuel Agnelli in un servizio fotografico per la rivista Il Mucchio Selvaggio, 1999)
Nel 2012 gli Afterhours pubblicano "Padania" (autoprodotto) e ottengono nuovamente una forte attenzione da parte dalla critica. Gli elementi a loro favore sono molti: il titolo così provocatorio, il ritorno in formazione di Xabier Iriondo che aveva lasciato il gruppo nel 2001 e un suono potente ricco di influenze, dal rock psichedelico fino al noise più sperimentale.
Il paese di Manuel Agnelli
Non si può raccontare la figura di Manuel Agnelli senza parlare di tutto quello che ha fatto al di fuori degli Afterhours. Le sue collaborazioni con altri musicisti sono innumerevoli: tra gli altri Mina, Patty Pravo, Emidio Clementi, Greg Dulli (Afghan Whigs, Twilight Singers). Ha lavorato come produttore ai dischi di Cristina Donà, dei Verdena, dei Massimo Volume gli Scisma e di altri. Ancora più importante è stata la creazione di eventi che raccogliessero sotto lo stesso nome un’ampia serie di band e cantautori. Nel 2001 nasce il Tora! Tora!, un festival itinerante che per cinque edizioni ha portato in tutta Italia nomi italiani come Massimo Volume, Marlene Kuntz, Subsonica, Linea 77, One Dimensional Man. Il festival ha avuto un valore indiscutibile per il periodo, sebbene avesse in sé anche il rischio di ridurre una grande pluralità di esperienze ad un club fin troppo chiuso.
“È stata per molti versi l'autocelebrazione del nostro ambiente” - commenta lo stesso Agnelli - “Abbiamo fatto alcune date incredibili. A Fossacesia eravamo in 40.000, ma il giorno dopo non lo sapeva nessuno perché i giornali e le televisioni non c’erano".
Nel 2009 gli Afterhours vengono invitati al festival di Sanremo per esplicita volontà del direttore artistico e conduttore Paolo Bonolis. Partecipano con il brano “Il Paese è reale” che, a differenza delle tradizionali uscite sanremesi, non viene pubblicato con un nuovo album di inediti o con una ristampa, ma all’interno di una compilation contenente altri 18 nomi italiani. L’obiettivo è quello di dare visibilità a gruppi emergenti che il grande pubblico non conosceva. Nel 2014 ripropone un esperimento simile con Hai Paura del Buio? un festival che unisce musica, teatro e altre espressioni artistiche in tre date, Torino, Milano e Roma.
Si intravede il desiderio da parte di Agnelli di eleggersi a rappresentate di determinate scene musicali e farsi portavoce di possibili mondi alternativi ed emergenti. La recente conferma che sarà tra i nuovi giudici di X Factor sembrerebbe muoversi nuovamente in questa direzione: “riuscire a portare una musica diversa al pubblico più ampio possibile”. Che si tratti di puro egocentrismo o che Agnelli abbia motivazioni genuine, poco importa. Resta il dubbio che ce ne sia davvero bisogno: ne abbiamo già visti di gruppi interessanti - o diversi, se volete - passare dai talent per poi essere dimenticati nel giro di poche settimane. Sarebbe meglio non dare più così tanto credito alla tv come l’unico mezzo che può fare il successo di un progetto musicale, ma tant’è.
La scelta di Agnelli non cambia la cifra del personaggio: invecchiando è diventato più moralista e bacchettone nei riguardi di certi temi, il web in primis, ma è innegabile che in trent’anni abbia portato avanti un percorso artistico tutt’altro che scontato, con convinzione, talento e ottenendo risultati che pochi altri in Italia hanno raggiunto. Se poi nel tempo libero vuole andare anche in tv sono fatti suoi, dopotutto.
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L'articolo Breve storia di Manuel Agnelli di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2016-05-12 08:20:00
COMMENTI (12)
se sei parente dei soliti Agnelli ,allora crepa!
*Ciccarelli
@gianluca34100
Non concordo su X Factor, o quanto meno non concordo dall'edizione in cui sono comparsi i gruppi strumentali. Mi spiego. In precedenza, questo come altri Talent, rappresentavano la ricerca del cantante da vendere. I concorrenti venivano testati in vari generi, in pratica dovevano essere cantanti interessanti a prescindere dalla musica che cantavano. In questa prospettiva hai ragione. Un po' come avviene per i musicisti classici, che devono essere capaci di suonare a prescindere da cosa si trovano a suonare. Evidente che la ricerca dell'artista generico è un canone per l'industria, una maschera persistente nel tempo e adattabile a seconda delle mode.
Dall'ultima edizione di X Factor però è accaduto qualcosa di differente: l'ammissione dei gruppi strumentali, invece di quelli vocali. I primi non sono stati asettici esecutori, ma "reinterpreti" in base al proprio stile del brano che gli veniva assegnato. Questo cambia lo scenario.
Moseek, Landlord, Urban Strangers, hanno proposto un loro modo di fare musica che hanno potuto presentare a chi non li conosceva. Questi gruppi possono piacere o meno, ma certamente non si sono trasfigurati. Hanno portato la loro originalità musicale e l'hanno irradiata.
In questo contesto, mutato rispetto alle precedenti edizioni, può essere proposta musica e non solo esecutori validi per tutte le stagioni e mode. Un giudice / coach / mentore vicino alla dimensione dei gruppi musicali e a generi o stili meno televisivi può essere interessante. Qualcosa di simile era accaduto con Madh, che oltre a fare il rapper/cantante, aveva proposto un genere musicale non particolarmente noto in Italia. Nel caso di Moseek, Landlord e Urban Strangers, sono andati oltre, presentando reinterpretazioni persino originali quanto a stile musicale.
Il fatto e', che a me, quello che fa Manuel Agnelli non interessa, ne interessa Xfactor, quest'ultima la trovo una trasmissione deleteria per la musica italiana organizzata per creare nuovi volti per le Major ma che con la musica centra ben poco e se centra ne mostra gli aspetti meno interessanti. Penso che Agnelli visto il suo percorso e la sua popolarità avrebbe potuto creare un'alternativa al sistema xFactor invece di assecondarlo e parteciparvi. Cosa ha dato XFactor alla musica italiana? Marco Mengoni, e puo' bastare !
Ciao Gianluca,
hai ragione, posseggo il CD "Hai paura del buio?" ma non sono un profondo conoscitore degli Afterhours. Del resto il Leoncavallo lo frequentavo una decina d'anni prima di loro. Non sono un loro fan, apprezzo alcune produzioni e basta.
Probabilmente per questo non avevo compreso il senso della tua ironia, ma ne ero stato incuriosito. Grazie alla tua risposta ora l'ho capita.
In ogni caso, se noti bene, anche le mie domande erano ironiche ...
Non conosco granché la personalità di Agnelli, anche se una parente più giovane di me lo conosce bene. Me lo ha descritto come un "Iper-Istrione", con una personalità complessa. E questo rende la persona interessante. Sto approfondendo la conoscenza del personaggio, per capire se e in qual modo potrebbe rappresentare lo "Spirito altro" fra i giudici di X Factor ...
Se ti riferisci al mio di commento,
Primo: la mia è una battuta ed in quanto tale non necessita di argometazioni
Secondo: se non capisci la battuta e perchè non conosci le canzoni degli afterhours
Terzo: appartengo alla generazione che a 18 anni andava a Milano al Leoncavallo per sentire Agnelli cantare ^sui giovani d'oggi ci scatarro su!^
Di questo commento non colgo la logica:
- sono tutti eguali?
- quanto è significativo quel che fanno nella giornata?
- c'è un'imputazione specifica o solo generazionale?
Come dire, argomentare le proprie ragioni è un optional che appartiene a quali catarrose generazioni?
Sabato in barca a vela lunedì a XFactor, sui vecchi di oggi ci scatarro su !
Coerbetta in provincia di Milano, non "Corbetta di Magenta" :-)
Magenta è un paese confinante con Corbetta, ma Corbetta non ne è una frazione.
Proprio in questi giorni sono usciti i nuovi album dei Landlord e dei Moseek, gruppi passati per X Factor 2016. Se la presenza in questa trasmissione può avere un effettivo beneficio per i gruppi musicali italiani, lo si vedrà ora. A mesi di distanza dalla trasmissione televisiva, se i dischi di questi artisti avranno una maggiore diffusione rispetto al passato vorrà dire che il passaggio funziona.
Da questo punto di vista, la presenza di Agnelli nella giuria della prossima stagione potrebbe rappresentare un rafforzamento della promozione di gruppi italiani e di una musica italiana differente.
Però aggiungo che non basta che siano gruppi italiani, deve esserci anche capacità creativa. Proporre contenuti almeno in parte originali, altrimenti ci sarebbe il contenitore ma non il contenuto.