Proprio giovedì 22 febbraio su "Il Corriere della Sera" Aldo Grasso ha firmato un pezzo in cui denuncia, e un poco si rammarica, della pressoché totale scomparsa dagli schermi televisivi dei programmi della cosiddetta seconda serata, ovvero quella fascia oraria che, almeno una volta, rappresentava la parte più sperimentale, creativa e folle della tv generalista. Neppure a farlo apposta lo stesso giorno, ovvero ieri, è andato in onda Ossigeno il nuovo programma, o forse sarebbe meglio dire il primo programma, di Manuel Agnelli.
Un'ora compatta e senza pubblicità di musica e parole, praticamente senza soluzione di continuità. Ambientato in una sorta di studio/loft/sala prove/open bar di ringhiera, Ossigeno si presenta subito come un ibrido tra una classica trasmissione musicale anni Novanta, ovvero tappeti per terra, strumenti sparsi qua e là e un pubblico mai partecipativo, e un programma di Sky dove al centro della scena sta il presentatore/affabulatore, in questo caso Agnelli, che narra con un dizionario impeccabile le proprie convinzioni sulla vita, la morte e, naturalmente la musica. Musica soprattutto suonata da Agnelli, al piano, alla chitarra o anche nelle vesti di cantante, ma non solo.
Il risultato, va detto subito, è gustoso e si comprende bene come in queste settimane Agnelli abbia a più riprese affermato in diverse interviste: "Grazie ad X Factor posso fare la televisione che voglio": l'imprinting del frontaman degli Afterhours è forte a partire dai riferimenti culturali, come le citazioni dal film "Il cacciatore" di Micheal Cimino sino agli ospiti che hanno contraddistinto e contraddistingueranno in larga misura l'intero programma.
In questa prima puntata gli ospiti sono stati diversi e, purtroppo, qui una nota dolente, non sempre hanno "funzionato" a dovere. L'apertura con Joan as Police Woman, da poco tornata a calcare le scene con il nuovo disco "Damned Devotion", è stata di sicuro impatto, in special modo per la qualità di esecuzione della live. Molto meno riuscita, anzi a tratti proprio zoppicante, è stata invece la successiva intervista in cui sostanzialmente non è emerso nulla di nuovo o di interessante.
Poi arriva il turning point della trasmissione: quando ad Agnelli si è affiancato Claudio Santamaria è subito scattata un'alchimia particolare. I due si conoscono e si stimano a vicenda e questo li ha lasciati liberi di parlare come se si trovassero ad un pub davanti ad una pinta di birra. Oltre a scoprire fatti abbastanza inediti, come il desiderio da piccolo dello stesso Santamaria di fare l'architetto, c'è stato ampio spazio anche per la musica. Imbracciata una chitarra l'attore ha interpretato, e pure bene, prima "Boys Don't Cry" dei Cure (chiedendo ad Agnelli da che parte stesse, ai tempi, nel derby Cure vs Smith e ricevendo come risposta "Io facevo l'arbitro") per poi accennare la struggente "Non voglio ritrovare il tuo nome" degli stessi Afterhours.
La magia del momento è stata poi un poco interrotta dall'apparizione, nell'angolo bar a fianco di un inquietante beverone colore blu Puffo, di Paolo Giordano. Lo scrittore, non incalzato a dovere da Agnelli, si è un po' perso in genericipprezzamenti sui Maneskin per poi approdare alla propria "malattia del successo" che lo aveva colto all'indomani del clamoroso boom di vendite di "La solitudine dei numeri primi".
E questo filo rosso del concetto di benessere/malessere derivato dall'arte è proseguito e, diciamo così, fiorito anche con l'ultimo, attesissimo, ospite, ovvero Ghemon. Ghemon a noi piace, lo sapete, e non vediamo l'ora di ascoltarlo sabato 24 febbraio al MI AMI ORA. Eppure, al di là dell'esibizione musicale in sé, Ghemon è andato oltre la sua semplice "parte" di autore di canzone: si è messo a nudo davanti ad Agnelli, raccontando di come abbia trovato conforto e riscossa nella musica, nel comporre i testi, che l'hanno aiutato a trovare il coraggio per uscire da un periodo di depressione nera.
Questo ragionamento è stato confermato anche dallo stesso Agnelli che ha detto, senza mezzi termini: "Ho sempre voluto fare la musica, non tanto come semplice passione ma perché mi faceva sentire meno solo. Sì, lo devo ammettere: la musica mi ha salvato la vita". Non vi possono essere parole più belle per descrivere il sentimento provato da Manuel Agnelli nei confronti di quello che fa. E, se nelle successive puntate di Ossigeno, magari limando qualche tempo morto e un paio di frasi ad effetto di troppo, il leader degli Afterhours vi instillerà un decimo di questo furore siamo certi possa essere un successo. Detto questo, sicuramente sentire i Pixies su Rai Tre fa sempre un gran bell'effetto.
---
L'articolo Com'è "Ossigeno", il nuovo programma di Manuel Agnelli di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2018-02-23 00:20:00
COMMENTI (6)
Commento vuoto, consideralo un mi piace!
Programma che mi ricorda Arbore, sempre in seconda serata, dove venivano invitati musicisti poco conosciuti ai più. In poco più di un ora agnelli ha spolverato quasi tutti i miei miti musicali. Grazie.
Commento vuoto, consideralo un mi piace!
Ciao, anche a me il programma è piaciuto moltissimo
Agnelli ha una cultura musicale enorme ed un modo coinvolgente e leggero di condividerla.
Io non sono giovanissima e l'ho scoperto solo grazie a mia figlia adolescente e la ringrazierò sempre perchè alcune canzoni degli Aftherhours mi hanno aiutata a superare giorni terribili....Per cui grazie a chi ha creduto in questo programma delicato, discreto ma potente
Anche secondo me non c'era proprio nulla da criticare. Mi è piaciuto moltissimo e sarebbe l'ora che più produttori televisivi, si svegliassero e producessero programmi interessanti privi di quel pubblico pecoreccio e sghignazzante tanto in voga, senza tema di far apparire le rughe, senza applausi pre-registrati, senza lustrini. Senza 5 cambi d'abito in mezz'ora ma ricco di contenuti sobri e intelligenti. Sappiano però che a fare qualcosa del genere, il pubblico lo si trova, ma ci si mette la faccia! Bravo Manuel Agnelli, finalmente un po' d'ossigeno e un motivo per vedere la tv.
Per conto mio non c'è niente da limare, perchè il programma ha funzionato perfettamente. Qui si vuole cercare il pelo nell'uovo che non esiste, che cosa doveva dire di nuovo Joan as Police Woman? Scommetto che c'era qualcuno degli spettatori che non la conosceva e che nemmeno sapeva della sua storia con Jeff Buckley, è stata invece una parte apprezzabile, questa intervista, dove s'è voluto dare più importanza alla musica che al resto. Non c'interessa il beverone del bar, perchè definirlo inquietante poi? Se volete proprio criticare fatelo con acume, questo mi sa tanto di arrampicata sugli specchi.