Una casa rossa nella campagna maceratese. È questo il luogo dove Riccardo Pietroni custodisce quella che è la più grande collezione di sintetizzatori e strumenti elettronici prodotti, nell’arco di un trentennio, tra gli anni ’60 e gli anni ’90, dalle aziende più prestigiose, nelle Marche (e in Italia). Oggi è il cuore del Museo del Synth Marchigiano, che ospita rari dispositivi che hanno fatto la storia della musica mondiale, e che Pietroni ha riportato in vita con amici e appassionati di collezionismo vintage, insieme ad un gruppo di restauratori e di tecnici del suono.
Il Museo, tuttavia, non è una sorta di “comune” del collezionismo di pezzi conservati sotto teca, quanto, piuttosto, un’entità viva e pulsante, un laboratorio in cui è possibile fare ricerca musicale e storica, aperto ai musicisti, agli sperimentatori, agli studiosi, agli appassionati. E questo spiega anche perché l’interesse per il Museo è sempre più cresciuto nel tempo, in modo inaspettato e addirittura prorompente negli ultimi tempi. Grazie anche al compositore e performer di musica elettronica Hainbach, che ne ha raccontato – entusiasta – la storia in un video presto diventato virale su YouTube, la sua notorietà si è di recente diffusa ben al di fuori dell’ambito locale, e ha varcato anche gli oceani. Si susseguono gli artisti che chiedono di poterlo visitare: dai nostrani Subsonica al londinese Alex Paterson degli Orb, fino al texano Kyle Dixon, il noto compositore della ancor più nota serie tv Stranger Things, tutti hanno fatto tappa da Pietroni e soci.
Il Museo testimonia una storia che parte da lontano, quando il distretto marchigiano era il principale produttore di synth su scala internazionale. Dalle tradizionali fisarmoniche, negli anni ’50, le Marche si specializzarono presto nella produzione di organi, diventando poi, con l’avvento dell’elettronica, un territorio d’avanguardia nella realizzazione di modelli portatili. La serie Compact di Farfisa, notoriamente apprezzata nel beat e nel rock, è stata la rappresentante marchigiana di questi strumenti nel mondo. Il modello Compact Duo fu utilizzato ad esempio da Richard Wright dei Pink Floyd nei primi dischi della band, Sly and the Family Stone suonarono un Farfisa a Woodstock, Herbie Hancock, Elton John e i Kraftwerk adoperarono organi Farfisa in alcune produzioni.
Sull’onda del grande sviluppo del polo industriale marchigiano, accanto a Farfisa si affermarono anche Welson, Elka, Elgam, Crumar, con la quale collaborò anche Bob Moog realizzando strumenti innovativi come lo Spirit. Uno degli apici progettuali dei sintetizzatori italiani fu certamente il Synthex della Elka di Castelfidardo, utilizzato, tra gli altri, da Jean Michel Jarre, Stevie Wonder, Keith Emerson e Martin Gore dei Depeche Mode. Le Marche divennero un distretto musicale prestigioso nell’ambito della produzione di strumentazione elettronica, fino all’apice raggiunto negli anni ’80, da dove le aziende del settore iniziarono una progressiva parabola discendente fino a spegnersi, incalzate dalla sempre più agguerrita concorrenza straniera, nipponica in primis. L’epoca d’oro delle aziende marchigiane era giunta al tramonto, ma oggi rivive, più splendente che mai, nel Museo del Synth.
Nel 2008, con l’aspirazione di dare lustro a questo glorioso passato, il musicista Paolo Bragaglia concepì l’idea, dal cui embrione sarebbe poi nato il Museo del Synth, di proporre un’esposizione temporanea di alcuni celebri sintetizzatori marchigiani nell’ambito di Acusmatiq, festival di musica elettronica ed elettroacustica di Ancona, di cui è direttore artistico. Nel tempo, l’idea iniziale crebbe e prese forma, la collezione aumentò di numero, e di pari passo il neonato Museo cessò di essere solamente una esposizione in galleria di strumenti vintage, diventando un progetto proiettato verso il futuro, sul territorio e non solo, con la chiara volontà e l’obiettivo di rimettere in funzione gli strumenti di quell’epoca d’oro e riallacciare il dialogo tra passato e presente.
A Bragaglia si unirono Leonardo Gabrielli, ingegnere elettronico, Agostino Ticino, musicista e produttore musicale, Riccardo Pietroni e a seguire tanti altri collezionisti, appassionati di elettronica e di synth. Oggi, tutte le creature della golden age dell’avanguardia elettronica marchigiana rivivono a casa di Pietroni, dove gli strumenti sono sempre pronti a emettere i loro suoni multiformi, manipolare effetti sonori, riprodurre strumenti. Il loro diagramma cerebrale è un circuito in cui il ritmo è il centro dell’universo e il cui linguaggio cattura il misterioso scorrere del tempo. E noi di Rockit, che lo abbiamo visitato per voi, nei suoni dei suoi strumenti abbiamo riconosciuto quella meravigliosa tavolozza di colori con cui tante tele sintetiche sono state dipinte e tante – speriamo – se ne potranno dipingere ancora.
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L'articolo Marche sintetiche: gli anni '80 sono nati in riva all’Adriatico di Libera Capozucca è apparso su Rockit.it il 2021-11-08 14:00:00
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