Sono veri e propri lampi di genio quelli che ci propone, quasi infligge, Maurizio Blatto in Sto ascoltando dei dischi, questo bel libretto dal formato agevole, insolito e prezioso. Un ripercorrere la propria vita attraverso un doppio filtro, da un lato la realtà e l'assurdo dall'altro, traslato quest'ultimo attraverso un'ironia tanto cara al primo Andrea Pinketts, ma dovuta in origine al genio di Woody Allen. Entrambi calati nel contesto – che è insieme tana e wunderkammer, Paradiso e Inferno – del non-luogo dove la vita di quelli come noi prende forma, e diventa sipario e palcoscenico: il solco inciso dei nostri brani e dischi preferiti.
In un intreccio più che mai riuscito col reale in cui non è mai ben chiaro cosa sia maggiormente al di sopra delle righe, tra l'invenzione letteraria o l'imprevedibilità straordinaria della vita, due sono le dimore: quella del ricordo legato all'infanzia e all'adolescenza, in una Torino Nord "perennemente allestita per un poliziottesco con Maurizio Merli", e quella di una bislacca, variopinta e incespicante (nella misura in cui solo i cretini vivono di certezze) maturità, familiare soprattutto
A fare da limite alle sue storie, in cui perdersi e ritrovarsi, un'unica costante, l'unica certezza, sagacemente enunciata sin dal titolo Sto Ascoltando dei Dischi, frase comprensibile, ma facile al labirinto. Il procedimento è semplice e oramai stra-noto a tutti: affiancare a una serie di situazioni, di tratti della biografia vera o romanzata dell'autore, e presentate come foto a scorci, l'assonanza con quella che è stata incaricata di essere la soundtrack, la colonna sonora, sincronica o a posteriori, di quelle stesse storie.
C'è però da fare una precisazione: in un mondo in cui spesso si parla a vanvera di prime-mover, a Blatto va dato il merito, l'onore e l'onere, di aver sdoganato da noi questo modo di far giornalismo musicale. Prima come autore di rubriche sempre più corpose sulle pagine di Rumore, dopo con l'antologico MyTunes e con L'Ultimo Disco dei Mohicani, è stato il primo (e se non il primo, tra i primi) a dare importanza all'aneddotica personale come viatico per la conoscenza e/o l'approfondimento di supposti lettori/acquirenti; come già fatto da penne incensatissime altrove, quale – una per tutti – quella di Nick Hornby o – facciamo gli sboroni – di David Foster Wallace.
Ecco, fatte le debite proporzioni, se amate questo genere di stile non sarete affatto delusi da queste storie, che nella loro essenzialità sono esempi impeccabili sia di come dovrebbe essere costruito un racconto, sia di come una storia valida da raccontare valga ancora più di qualsivoglia recensione o valutazione numerica.
Grazie ai ragazzi della libreria Limerick e di GoldSoundz.it – le foto che qui vedete sono di Grazia Raimondo –, ho avuto il piacere di assistere a un incontro con lo stesso autore qualche giorno fa a Padova. Con Maurizio Blatto tutto pare facile: così come la conversazione con Giorgio Bonomi e Alessandro Liccardo fluisce senza nessun intoppo, la scrittura risulta fluida. I personaggi sono un po' strani ma sembra di conoscerli da una vita, lo svolgimento a una spontaneità sorprendente pure quando sono più i tratti surreali a farla da padrone, ma c'è pure l'Elemento a sorpresa che conferisce alla narrazione quella brillantezza che fa la differenza: la sottesa capacità didascalica. Io stesso che, come ciascuno di noi per conto proprio, sono convinto di “saperne a pacchi”, ho trovato curiosità di indubbio pregio, dritte inedite e collegamenti fin'ora mai sondati, piccole e grandi verità illuminate a giorno.
Quelle di Sto Ascoltando dei Dischi sono storie salvifiche, come dice bene l'ex direttore di Repubblica Mario Calabresi nella presentazione, in cui l'autore non manca mai di sottolineare quanto la dipendenza musicale non sia una malattia da curare, ma se mai un antidoto al male di vivere (o al vivere male) nostro e dei nostri cari - nonché l'unico valido metodo rimasto per riconoscerci tra simili. Ed è forse proprio per questo che nello spazio di una quarantina di pagine tra un capitolo e l'altro, si riesce a creare un'empatia forte con la vita di questo ragazzo di cinquantaqualcosa anni, anche se appena tratteggiata: perché si riesce a capirne l'aspetto profondamente umano oltre che esperto, perché nel piccolo di queste storie il loro idealismo ha comunque una forza potente, persino commovente in certi casi.
Anche dove può comparire un'evidente distorsione del reale o il ricordo si mescola alla leggenda metropolitana o forse al mestiere, il flusso segue una tale naturalezza che mai si pensa che il narrato possa essere poco credibile o il contorno musicale sia frutto di una forzatura o, peggio, di una furberia acquisita. Quindi: shakerate in parti uguali competenza musicale, divertenti deliri personali e irriverenza critica. Decorate con punti, virgole e la solita azzeccata illustrazione di Alessandro Barociani in copertina. E poi tenetevi forte perché questo cocktail assicura la sbronza anche ai lettori più etilici.
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L'articolo Maurizio Blatto e i dischi: una dipendenza da non curare mai di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2020-07-28 10:29:00
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