Quando arrivo alla stazione Termini di Roma mi rendo conto che il viaggio che sto per intraprendere sarà più complesso del previsto, guardando i minuti di ritardo che aumentano rapidi. Vorrei solo chiudere gli occhi e riposare, ma la coppia seduta accanto a me sul vagone decide di raccontarmi tutta la loro vita a partire partendo dal presupposto che assomiglio in modo vago alla loro nipote. Mi arrendo rinunciando all’idea di prendere sonno, e vado con la mente alle giornate che mi si prospettano davanti.
Non sto andando via da Roma per caso: la destinazione del mio viaggio è Taranto, città in cui mi appresto a vivere in prima persona la prima parte – dal 16 al 19 giugno –del festival Medimex, che dal 2011 da nuova linfa vitale al mondo della musica in Puglia tra concerti, conferenze ed incontri professionali per le persone appartenenti al settore. La seconda parte, invece, si svolgerà dal 13 al 15 luglio a Bari.
Centrali nella prima parte della programmazione sono incontri e talk, distribuiti su più giorni e location, divisi tra ospiti italiani ed internazionali. Le tematiche trattate non sono legate solo alla musica, perché lo scopo è comunque quello di esplorare con un respiro più ampio la cultura.
Appena arrivata in città, senza un minuto di riposo, vado subito davanti al luogo che ospiterà il primo incontro: il MArTA, museo archeologico di Taranto. Forse il luogo non rimanderà in modo diretto al mondo della musica, ma quella che viene inaugurato, andando ad aggiungersi alla collezione esposta in modo permanente, è l’anteprima nazionale della mostra Hipgnosis Studio: Pink Floyd and Beyond, che raccoglie alcuni degli scatti più iconici dei fotografi Aubrey Powell e Storm Thorgerson, noti in particolari per il modo in cui hanno contribuito al mito dei Pink Floyd. Sono loro ad avere concepito immagini poi diventate immortali, come quella di due uomini intenti a stringersi la mano mentre uno dei due va a fuoco, che tutti noi conosciamo per essere diventata la copertina di Wish You Were Here.
A raccontare le opere esposte è lo stesso Powell, in dialogo con Carlo Massarini per ripercorrere il viaggio della band e del loro lavoro dalle origini fino ai tempi più recenti, spiegando la nascita dell’ispirazione, le reazioni delle etichette discografiche ed il modo in cui l’Hipgnosis Studio ha sempre cercato di rendere visibile già dalla copertina dei dischi il mondo nascosto al loro interno. Oltre a questa mostra, i Pink Floyd sono stati protagonisti di questo Medimex, tra conferenze a loro dedicate e l’installazione 3D di Hermes Mangialardo sul Castello Aragonese nel centro di Taranto, dove per più di due ore, una volta calato il sole, le mura sono diventate tele pronte ad ospitare proiezioni psichedeliche ed elaborate, a ritmo della musica proveniente da diversi dischi della band.
Nelle varie pause giro per le strade ed inizio a comprendere l’effetto del Medimex sulla gente di Taranto. Non importa quale sia il luogo in cui mi trovo a passeggiare, ovunque vedo persone fermarsi a leggere interessate i manifesti verdi con l’elenco degli eventi di questa estate. Sembra che non ci sia una persona disinteressata all'evento, a quello che sta avvenendo nelle strade della città, come fosse una grande festa collettiva da godersi anche per la presenza di molti volti nuovi tra la folla che anima i marciapiedi, a prescindere dalla partecipazione attiva o meno agli eventi.
C’è un interesse diffuso che non sfugge a nessuno. La seconda mattina, sedendomi in un bar, il silenzio mattutino viene interrotto da una carrellata di pop inizio 2000 (creando un paradosso spazio temporale con i vecchietti affacciati dalle finestre che mi chiedono se si tratti delle novità dell’anno), ma sento all’improvviso un accento inglese e una tonalità di voce familiare: alzo gli occhi, e davanti a me vedo seduto Powell intento a cercare di capire perché la sua richiesta di caffè leccese sia stata fraintesa con un cappuccino, per poi mettersi a ridere rendendosi conto di averlo pronunciato in spagnolo e non in italiano. Nulla da aggiungere, una scena che ha migliorato il mio umore per tutta la giornata, grazie Medimex.
Gli eventi che si svolgono invece al Teatro Fusco sono distribuiti su due giorni, e mentre attendo davanti alle porte per entrare, noto davanti a me più volti già visti ad altri eventi, e soprattutto la presenza di un’intera classe di liceo accompagnata da una professoressa. Il primo incontro è quello con Calibro 35 che, assieme a Michele Riondino, raccontano la nascita del loro album Scacco al Maestro Vol. 1, omaggio a Morricone, un album di cover diviso tra il rispetto e l’analisi chirurgica di ogni parte della sua musica. Un dibattito che si muove tra i lavori come compositore di musica leggera e di colonne sonore, dedicando molta attenzione soprattutto alla sua collaborazione con Leone ed il modo in cui attraverso la musica è riuscito a definire un genere intero, lo spaghetti western.
Anche gli incontri successivi riempiono la sala, da Carlo Massarini che racconta i Pink Floyd all’omaggio ad Ivan Graziani da parte di suo figlio Filippo e Federico Poggipollini; vengono riproposti alcuni dei suoi brani di maggior successo per i 25 anni dalla sua scomparsa, mentre ricordi e spezzoni di vita e carriera si insinuano tra le chitarre, ricordando prima di tutto l’uomo oltre che l’artista.
Nella mia ultima mattinata di libertà, continuo a vagare senza una meta precisa tra il lungomare e la parte vecchia della città e mi rendo conto di star assistendo ad un aumento esponenziale delle magliette di band, in primis quelle con sopra il nome di Nick Cave, atteso protagonista del live conclusivo del festival, seguite poi da un discreto numero di Bauahus, Velvet Underground ma anche qualche intramontabile I love Rock ’n’ Roll. È così che Taranto si sta preparando a ospitare il concerto conclusivo della prima parte del Medimex, l’evento più atteso di queste giornate. Mentre mi avvicino al palco che stanno allestendo, mi passa accanto una coppia di turisti romani evidentemente capitati per caso, che guardando i manifesti comincia a chiedersi chi sia questo famoso artista in cartellone, e soprattutto, quante persone avrebbe mai potuto attirare (sostenendo che Gigi D’Alessio forse ne avrebbe portate di più). Mia cara sconosciuta coppia, la risposta è più di settemila persone, arrivate da tutta Italia e non solo, perché dai ristoranti e dagli hotel cominciano a sentirsi anche fitte chiacchiere in francese o in tedesco animare il pomeriggio che arriva rapido.
Il palco su cui si svolge il concerto si trova nella Rotonda del Lungomare. Mentre le persone cominciano ad affluire, il sole tramonta, creando riflessi rossi sull’acqua, mentre le ultime navi si allontanano lente in uno spettacolo suggestivo. Il pubblico dal quale mi trovo circondata è vario, tra fan estremi che da ore aspettano sotto le transenne, la vecchia guardia ormai veterana dei suoi concerti e le nuove leve, delle quali faccio parte anche io.
All’improvviso, le luci sul palco si accendono e cala un silenzio quasi tombale, trepidante d’attesa. Quello che mi trovo davanti, quando comincia il concerto, è del tutto differente rispetto a quanto avrei potuto pensare nelle mie migliori fantasie. Nick Cave è un animale da palcoscenico che esplode non appena vede i volti delle persone in attesa, infiammando in un cocente delirio qualsiasi essere umano presente. Una scaletta ipnotica, con un inizio che non si potrebbe definire in altro modo se non energia pura, grazie anche alla band di musicisti incredibili, i suoi Bad Seeds. Fondamentale è l’immancabile Warren Ellis, che nel suo spazio conduce uno spettacolo dove mostra tutta la sua ecletticità e il suo fascino artistico, mentre alle sue spalle un coro gospel di tre elementi lascia risuonare la voce celestiale in contrasto con la durezza spigolosa degli strumenti.
Come tutti gli altri vengo fagocitata dal carisma di Nick Cave, dalla sua bravura di performer, accentuata grazie al passaggio continuo da brani la cui potenza fa saltare tutto il pubblico (che lo segue incantato mentre a sua volta si dimena spostandosi in ogni angolo di palcoscenico) a canzoni piano e voce, cantate in solitudine sul palco, dove per un attimo il tempo si ferma davanti ad un pianoforte. Dalla prima all’ultima canzone continua ad afferrare le mani del pubblico, a lasciarsi sollevare in un tacito accordo di fiducia reciproca, ad accettare regali come disegni e fiori, il tutto senza mai smettere di sostenere lo sguardo di chi si trova più vicino. “Piangi, piangi, respira, respira”, continua a ripetere, in modo ossessivo, mantra per se’ stesso e per chiunque lo circondi. Rubando le sue stessa parole in Red Right Hand: "He’s a god, he’s a man, he’s a ghost, he’s a guru".
Quando il concerto termina, quasi non riesco a respirare. A tutte le richieste di un’opinione, riesco a rispondere solo meraviglioso. Totalizzante. Distruttivo. Bellissimo. Il mare nel frattempo è diventato nero, non si distingue più dal cielo notturno, ed il pubblico ancora ipnotizzato comincia ad invadere le strade di Taranto, illuminata dal Medimex, per non chiudere gli occhi lasciando andare via quel senso di potenza che ha invaso tutti, come se ancora per qualche ora anche noi potessimo dominare l’oscurità come lui, come se la città notturna fosse il nostro nuovo regno.
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L'articolo Medimex 2022: cantano gli eroi tra due mari di LucreziaLauteri è apparso su Rockit.it il 2022-06-21 14:00:00
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