Sono le 21 e 27 minuti quando nel giro di pochi secondi le luci della sala si spengono, il brusio rilassato si spegne e tutti i telefonini si levano come in una coreografia. È probabile che fino a questa sera circoleranno 10mila stories uguali su Instagram. La serata, d'altra parte, è di gala: il primo di quattro Forum d'Assago sold out, l'unità di misura con cui oggi si misura la buona riuscita di un tour.
Tedua è il trionfatore di questa stagione musicale, come l'ex coinquilino Rkomi lo era stato due anni fa e Lazza lo scorso anno. Il suo disco La divina commedia è stato una cifra di settimane in cima alle "vendite", apice di una classifica che di norma prevede un turn over costante. Nelle scorse ore ha annunciato “Il Paradiso - Atto Finale”, la sua prima data estiva che si terrà agli I-Days Milano sabato 29 giugno 2024 all’Ippodromo SNAI: sarà il primo headliner italiano di una rassegna che di norma porta in Italia la gente che vediamo all'half time del Superbowl.
Insomma, se vogliamo dare un volto a quel successo che oggi più che un obiettivo appare un'ossessione collettiva, be', il volto è quello di Mario Molinari da Cogoleto. Solo che quel volto non sembra fatto per il successo, né quel destino pare cucito su di lui. Più schivo, meno sborone, meno pettinato e "filtrato", meno pop e allo stesso tempo "meno trap" di molti suoi colleghi, Tedua è atipico in tutto quello che fa. Non c'è una formula facilmente ricavabile per questa sua consacrazione, arrivata con un poco di ritardo rispetto ai suoi soci della "grande truffa dell'autotune". Per capire come ha fatto basta guardare in faccia i ragazzi e le ragazze tra il pubblico, la loro "connessione" e adesione allo show, il loro coinvolgimento emotivo.
Il campionario è vasto tra gli spalti e in parterre. Sarà che è la prima, ma attorno a me non c'è affatto un esercito di ragazzini. Ci sono miei colleghi della stampa musicale che conta e della stampa generalista cooptati dai figli, ci sono suoi colleghi di tutt'altri campionati musicali (ma il rock and roll, il rock and roll...), parecchi addetti ai lavori. Anche tra i presumibilmente paganti non ci sono solo giovanissimi, come accade spesso in questo tipo di serate. I visi tradiscono i 25 e 30 anni di molti presenti, così come il fatto che cantino fomentati le prime canzoni di Tedua.
I 18-20enni, che sono comunque la maggioranza, invece non fanno distinzione: sono letteralmente in trance sui pezzi dell'ultimo disco, ma non perdono un colpo nemmeno sulle prime hit, di cui lo show è infarcito. È un grande karaoke collettivo, con numerosi brani iniziati da Tedua e proseguiti dal pubblico, altri eseguiti solo per le prime strofe e via con il prossimo. Tutto è molto veloce, ma gli spettatori non faticano a stargli dietro. Stiamo parlando forse di una cinquantina di brani (la prolificità del ragazzo è abbastanza notevole), tra quelli performati e quelli il cui videoclip va in rotazione sul ledwall durante i due cambi outfit della serata. Tutti, dal primo all'ultimo, cantati dalla quasi totalità del palazzetto.
Tedua è da tempo considerato il vero cantore della sua generazione, quello più "alto" e letterario della cucciolata trap. Questo suo status e questa ambizione, oltre che dall'ultimo fortunatissimo disco, sono confermati dalla messa in scena di questo show, che si apre con una voce fuori campo che recita con voce stentorea "Per me si va nella città dolente". Tutto un po' The School of The Art of De Lollis, per chi se lo ricorda (con tutto il rispetto per l'attore, che poi apparirà anche sul palco).
La scenografia è imponente e richiama le rocce dell'avello dantesco, su due "guglie" sono posti Vaz Té, amico storico di Tedua dai tempi della Drilliguria, che gli fa le doppie, e il suo dj Simone Mariano, che è anche il regista di tutti gli ultimi suoi videoclip. Tedua lo presenta, racconta di averlo conosciuto in un club di Genova perché lui è un bravissimo breaker. Lo fa con tutti, racconta i suoi collaboratori e la loro amicizia. È una cosa molto bella, che contribuisce a creare quel senso di comunità che è stato in grado di creare, e che è la sua forza più grande.
Sull'altra roccia rialzata ci sono tre coristi. Vengono tutti dalla Liguria: sono la giovane Domitilla Abeasis e Andrea Corona, in mezzo a loro Danila Satragno, vocal coach di Tedua ed ex collaboratrice di De Andrè. Il suo lavoro si vede: Mario tiene uno show di due ore serratissimo, alterna momenti più cantati a rap puro, con poco autotune, extrabeat, screamo e un paio di pezzi a cappella. Non è tecnico, errori con la voce ne fa eccome. È una performance generosa più che precisa, da questo punto di vista ci sono altri più talentuosi. Ma non conta nulla, come vedremo.
Dal coro parte I Will Always Love You di Whitney, un momento "talent" che non c'entra nulla e che richiama ad alcuni show rap americani a cui Tedua con ogni probabilità guarda. Dal fuoco sul palco ai suoi movimenti, d'altra parte, l'ombra di Travis Scott incombe, anche se viste dalla tribuna le formazioni rocciose oltre che gotiche appaiono un po' posticce. Il design è curato dallo studio Blearred Milano, con l'obiettivo di creare un'esperienza immersiva basata sull'album La Divina Commedia, con immagini che richiamano all'inferno, al paradiso e al purgatorio, che talvolta paiono celebrare Tim Burton e altre essere prodotte da ChatGPT. La "Porta dell'Inferno", modellata su quella dello scultore Auguste Rodin, è il centro della scena. Si apre e si chiude nei vari momenti della scaletta per scandire i passaggi, ospitando i visual. Le citazioni magniloquenti e un po' chiamate sono, a mio avviso, da sempre un po' il limite di Tedua, ma evidentemente questo lo penso solo io.
Lo spettacolo va avanti in una carrellata di pezzi e ospiti, che salgono sul palco anche per pochissime barre (vedi Federica Abbate) o praticamente nessuna (i BNKR 44, inspiegabilmente in sei per fare due sporche). Ci sono tanti rapper che hanno condiviso con Tedua pezzi di percorso e con cui il rapporto sembra davvero fraterno: lui emana reale empatia, con chi sta sul palco e chi sotto, e (ora dico una cosa imbarazzante) fa venire una gran voglia di essergli amico. C'è Capoplaza che ha ingoiato un vocoder, c'è Paky potentissimo come sempre, Kid Yugi di cui Tedua ammette che nel disco ha spaccato più di lui (ed è vero, è una forza!), ci sono gli amici di una vita Disme e soprattutto Bresh, l'ultimo arrivato in cima di una nidiata incredibile di compari diventati artisti. Il "squad" da non fottere è quasi al completo.
Vale la pena citare anche i altri musicisti che lo accompagnano sul palco. Oltre ad Andrea Polidori alla batteria e Michele “Giotto” Bargigia alle tastiere e al pianoforte spiccano Shune al basso e Dibla alla chitarra, polistrumentista che si prende spesso la scena con gli assoli e che sarà protagonista pure dei momenti al sax.
Durante uno di questi, particolarmente lounge, si verifica il terzo malore della serata. "Non potete stare sempre male, non si può interrompere l'assolo di sax" dice Tedua dal palco, che già due volte prima aveva richiesto i soccorsi per qualcuno nel parterre. Ormai sta prendendo il posto del bis come passaggio fondamentale dei live, e lui lo gestisce con grande naturalezza e umanità.
Pare Sarabanda, solo che dopo la prima nota di ogni pezzo la gente non suona il pulsante ma urla. E poi canta il pezzo fino all'ultima barra. Le facce dei 20enni dicono tutto, per la dedizione con cui seguono il flow e la convinzione con cui ribadiscono i concetti che arrivano dal palco. I più pro riescono a fare tutto il balletto con le dita in coordinato mentre non perdono una sillaba. Abbastanza impressionante.
Questo avviene per i pezzi più pop e famosi (da Hoè a Malamente, Red Light, Scala di Milano, Paradiso artificiale e molte altre) come per quelli del "back to the roots". Lo-fi For U emoziona tutti, con il ricordo dell'epopea di questo gruppo di ragazzi che ha stravolto il mainstream italiano partendo dal nulla. Cita Sfera ("chissà cosa avrà spoilerato stasera", dice, ricordando il suo show in contemporanea al PalaLido), Ghali, Rkomi, Izi e tutti gli altri. Un clima, quello del "veniamo dal nulla, ci siamo presi tutti", che ritorna di continuo, come in Buste della spesa. Questa storia, d'altra parte, è la storia della musica italiana degli ultimi anni. E fa venire le Vertigini.
Sul palco Mario non sta mai fermo, i movimenti non sono aggraziatissimi. I look, curati principalmente da Formighetti, sono (molto relativamente) minimali, e in ogni caso Tedua finisce sempre in canotta. O a torso nudo, cosa che alla fine chiede di fare anche al pubblico, che sventola le magliette al cielo come in un matrimonio in provincia di Caserta. Tedua prima chiede libertà per Baby Gang e poi "calore per Shiva": "Veniamo dalla strada, abbiamo un altro modo di ragionare. Non giudicateci noi non giudicheremo", dice, e sono parole molto giuste. Gli altri momenti parlati lo avvicinano più al guru, o all'istruttore di mindfulness: lo show è pieno di momenti motivazionali in cui invita i ragazzi a credere in sé stessi, a non mollare, a concentrarsi sulle cose importanti. Anche da questo punto di vista è letteralmente magnetico.
Si va verso la conclusione. Chi è dovuto venire con i genitori ora rosica perché papà e mamma gli fanno perdere le hit finali per scavallare un po' di traffico, gli altri non se ne andrebbero neanche sotto tortura. Quella "corrispondenza di amorosi sensi" (cit. un collega di Dante e Tedua) tra lui e il pubblico non si esaurisce nemmeno quando le luci si spengono, ma rimane nell'aria. Me ne vado con la sensazione di aver assistito a qualcosa di niente affatto perfetto, ma molto, molto intenso. E personalmente non scambierei mai la seconda cosa con la prima.
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L'articolo Mentre provi a fottere Tedua, lui ha già fottuto te di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2023-11-14 10:21:00
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