Sono passati due anni dalla chiamata A raccolta fatta dai 24 Grana nel 2020 per annunciare la reunion, a sette anni dall’ultimo concerto e a un paio in più dall’ultimo live con la formazione originale, quella con Francesco Di Bella (voce e chitarra), Giuseppe Fontanella (chitarra), Renato Minale (batteria) e Armando Cotugno (basso), assente dal 2010.
Due anni di continui rinvii, in cui quasi si erano perse le speranze e in cui, diciamo la verità, l’entusiasmo per il ritorno del gruppo poteva anche esaurirsi. E invece, alla faccia dell’hype usa e getta, il pubblico dei 24 Grana nel 2022 era ancora qui ad accoglierli in una serie di pienoni trionfali in giro per l’Italia che, naturalmente, non poteva che chiudersi a Napoli con un sold out di cui si parla da giorni.
Non c’è troppo da stupirsi. Parliamo di uno dei pochi gruppi partenopei che è riuscito ad arrivare ovunque, in un’epoca che non era certo quella più recente del "brand Napoli" da esportazione, senza mai "internazionalizzarsi" forzatamente. Continuando, anzi, a tessere un personale racconto della città antico e moderno, popolare e internazionale, radicato nell’esperienza degli spazi occupati senza limitarsi alla narrazione militante, scavando invece nelle parti più buie e fragili dell’animo umano .
È un racconto che si è evoluto per quindici anni di attività discografica e in cui i fan napoletani si sono riconosciuti per tre generazioni: i coetanei cresciuti nello stesso humus controculturale della band, tra piazze universitarie e CSOA; quelli che hanno vissuto da adolescenti o giù di lì la seconda parte di carriera dei 24 Grana; e quelli che erano troppo piccoli per vederli dal vivo, ma hanno vissuto le loro canzoni attraverso Internet o nei live di Francesco Di Bella, che per anni le ha portate in giro in veste acustica insieme al progetto Ballads.
Un’umanità varia che si ritrova il venerdì santo del 2022 (il 15 aprile, alla Casa della Musica di Napoli, ndr) e che traspare dalle foto di Zoe Ferrara di quella serata, tutte in quest'articolo. C’è elettricità nell’aria: per molti è il primo concerto al chiuso di queste dimensioni da anni. A dirla tutta, si respira quasi un’atmosfera da 2019, disturbata solo dai controlli serrati all’ingresso e dalle sventagliate di laser lanciate di tanto in tanto dalla sicurezza.
Il tempo di riabituarsi alla folla e, alle 22:15, l’accensione dei controluce annuncia che ci siamo. Si parte con K-Album e ci sta; per molti (scrivente incluso) è l’album più iconico, ma nella fanbase si tratta di un tema storicamente divisivo. Nel primo discorso al microfono Francesco Di Bella racconta: "Abbiamo riacceso gli amplificatori e tutto è stato come prima", e da questa parte del palco il sentimento è uguale. L’unica cosa invecchiata (e che racconta però tutta un’estetica) sono le K.
Pikkola Kanzone Per K ha conservato tutta la sua malinconia adrenalinica, nell’alchimia di contrasti giocata tutta intorno al secondo di pausa tra una sezione monocorde, cantata in italiano, spigolosa, e la dolcezza del verso in napoletano. Quel "giro senza passà" che ci riporta in un attimo, in coro e a voce altissima, nella personale dimensione melodica e linguistica dei 24 Grana. Kanzoneanarkika invece incalza ancora con la sua amarezza esistenzialista, quasi una pulsione di morte che si carica nella strofa per sfogarsi tutta in un ritornello di rabbia e orgoglio.
Ricostruire in una scaletta un suono sfaccettato come questo significa aggiungere mano mano tasselli in un mosaico, e Nun me movo mai porta in dote quello dei ritmi in levare, nella versione acida di Metaversus. Reggae e dub sono l’amore giovanile del gruppo, ma quando la sezione ritmica ingrana il riddim, non sembra passato un giorno. Ce ne accorgeremo dopo poco, e poi ancora sul finale, con Introdub e Lu Cardillo, i soli ripescaggi da quel Loop (1997) che riusciva a sintetizzare l’essenza arcaica della poesia napoletana (la gelosia di Lu Cardillo arriva dritta dal 1700, ndr) con il pulsare oscuro del dub. Un battito in levare che, ce lo ricorda la sensuale La Costanza, in Metaversus si intrecciava con elettronica e chitarre nervose, iniziando per la band un percorso di continui cambi d’identità.
Tra gli elementi di continuità, quello partenopeo: Kanzone doce, per esempio, prende allo stomaco e mostra plasticamente come la chitarra di Peppe Fontanella e le melodie di Francesco abbiano sperimentato all’incrocio tra il folk mediterraneo visto dalla canzone napoletana e la sensibilità alternative.
Subito dopo entriamo nell’ultima produzione dei 24 Grana, segnata dal rock cantautorale di Ghostwriters. Storie di vita vissuta come Luntano e Accireme, dirette eredi del (under)pop lisergico di Canto pe’ nun suffrì. Non capita sempre che una band partorisca alcune delle sue hit più riconosciute dopo il terzo album, ma queste canzoni, con i loro riferimenti così specifici eppure immediati (il "bivio di Miano" di Accireme ormai è proverbiale, ndr), stralunati eppure concreti, hanno lasciato l’impronta su un decennio di cantautorato partenopeo e segnato una generazione. Una un po’ diversa da quella di Metaversus, e lo si percepisce ascoltando le sfumature diverse della voce collettiva del pubblico, cercando gli sguardi di chi si gasa più forte, anche se non si possono tracciare troppe linee di demarcazione tra tutti quelli che sono alla Casa della Musica per tornare, finalmente, a cantare per non soffrire.
Incontriamo anche la strana accoppiata tra l’unico pezzo nuovo della setlist, la meta-chiamata alle armi A raccolta, che dà il titolo all’album antologico uscito da poco, e E Kose Ka Spakkano, con il suo arpeggio inconfondibile e il ritornello liberatorio, uno degli inni più solari e iconici della band. Trait d’union tra i due brani: Clementino, che sale sul palco per fare la sua strofa nel primo e viene invitato a rimanere per cantare il secondo. Un momento inatteso ma apprezzato, a dimostrazione che l’apertura musicale dei 24 Grana e del loro pubblico non si è fermata ai suoni di vent’anni fa.
Le Abitudini è uno schiaffo amaro che ci riporta nel Metaversus, intrappolandoci in una coda strumentale ipnotica cullati dalle tastiere della new entry Gino Giovannelli, mentre Carcere ci scaglia tra i vicoli di Napoli. È il momento di storytelling più vivido del concerto, un’alchimia di impatto letterario tra canzone di giacca (le canzoni napoletane di criminalità), sceneggiata di giustizia privata, post-rock/blues e antagonismo verso sistema carcerario e poteri di ogni tipo, "Marescialli e guapparia" che "fanno 'na sola cunsultarìa".
La vena politica del gruppo non è mai spiattellata in primo piano: corre in filigrana ed emerge distintamente in momenti come L’attenzione, ballata di pace e uguaglianza universale che risuona fortissima in questo momento, e Stay On The Edge, zoom sulle periferie napoletane e sul legame tra disagio e stigma. Dopo la confessione a cuore aperto di Luce e luna, si ritorna sulle città: Kanzone su Londra è un dub-rock sintetico che guardava a Londra con uno sguardo giovanile e tormentato, ma oggi è un brano sulla città in cui da anni risiede Armando, il bassista. Ciccio Di Bella la canta rivolto verso di lui, e quel "Capenno 'o munno ca truvai / Nun criscette mai" dice tutto: sono cresciuti, sì, e anche noi, ma siamo ancora (di nuovo) qui e qualcosa vorrà pur dire.
Alla fine Armando ci tiene a specificare: "Napule è n’ata cosa" e, mentre luci azzurre si accendono, parte L’alba, una ballata d’amore dove il sentimento per la città si intreccia con tutto il resto in quel modo che molti napoletani conoscono bene.
Quante so' 'e 'mmaner pe' n'ascì?
Ci avviciniamo alla fine con una Vesto sempre uguale che racchiude tutto il sincretismo stilistico e la poetica anticonformista dei 24 Grana in una confezione cyberpunk, servita alla Casa della Musica con contorno di un pogo che nessuno vedeva da due anni, e molti probabilmente da qualche anno in più.
Per buona parte del concerto, Francesco sta sul palco come uno storyteller navigato, sicuro di sé con la chitarra in braccio e il sorriso di chi oggi può cantare certe storie, scritte o vissute vent’anni prima, davanti a un pubblico affezionato. Ma quando molla la sei corde, si trasforma di nuovo in un frontman dionisiaco, il monaciello inquieto che saltella per il palco aizzando il pubblico come nell’incendiaria Lu Cardillo che chiude la setlist.
Dopo più di un’ora e mezza di concerto c’è ancora tempo per alcuni (imprescindibili) bis. Kevlar è una canzone magica nella versione acustica del Di Bella solista e quasi stupisce (quasi) percepire di nuovo quanto quella melodia e quelle parole hanno da offrire nella complessità del loro arrangiamento originale, con il supporto di migliaia di voci sul bordo della commozione.
La poetica dei 24 Grana è tutta giocata tra luce e ombra, tra lo scuro da cui Kevlar cerca di tirarsi fuori e il buio in cui la successiva Resto Acciso ci affoga, tra ricami di chitarra e tastiera, con un chorus rabbioso e imponente come unico appiglio.
E quindi si può chiudere solo con Stai mai ccà, una sintesi leggera ma non superficiale, che getta una luce diversa sul buio, quel "Cielo niro" che la fantasia può dipingere. Nella danza surreale della "Capa 'e lione" e nella svagatezza di un pomeriggio con una "Dieci 'e niro" ci siamo persi tutti, anche grazie al video di Davide Toffolo, e basta un attimo per ritornare in quello scenario pastello. Ad accompagnarci, di nuovo Clementino con un freestyle in pieno stile Iena, insieme a Dario Sansone dei Foja e Roberto Colella de La Maschera. Due che da Di Bella hanno imparato tanto, riuniti in un abbraccio collettivo finale che testimonia la centralità e l’attualità dei 24 Grana nella musica napoletana da vent’anni a questa parte.
"Na bella storia nun po’ fernì", si diceva in Piccola Kanzone per K, ed è proprio per questo che questa reunion sembra giusta e per nulla fuori tempo massimo. Non tanto perché quella dei 24 Grana sia una storia bella – tutte le cose belle finiscono –, ma perché è una storia collettiva in cui ancora tanti e tante si riconoscono, e ritrovarla messa in scena in questo momento di grande bisogno di collettività e narrazioni condivise, oltre che di aggregazione, ha l’aria di quelle coincidenze non volute, magari sofferte, ma che sembrano semplicemente giuste.
Nell’applauso finale della Casa della Musica è chiaro: magari verrà di nuovo il tempo degli addii, ma da queste parti si spera di incontrare di nuovo i 24 Grana prima che arrivi.
---
L'articolo Nel metaverso napoletano con i 24 Grana di Sergio Sciambra è apparso su Rockit.it il 2022-04-19 14:15:00
COMMENTI