È da tanto che ci penso, è da tempo che ormai certe cose mi infastidiscono. Sicuramente il fattore “età ormai-quasi-avanzata” (mi avvicino pericolosamente ai 30, sigh) ha giocato la sua parte nell’iniziare a detestare moltissimi aspetti e fenomeni totalmente irrilevanti nella vita quotidiana. Una vecchia cornacchia, insomma. E dove sfogare la mia frustrazione, se non scrivendo di musica? Un toccasana, un balsamo per la mia ugola assetata di futile polemica.
Esistono diversi modi di rapportarsi all’ignoranza, e, più nello specifico, al “popolo pecorone”: denigrarlo, cercare di capirlo e accettare il fatto che, in fondo, tutti ne facciamo parte, oppure, infine, sfruttarlo. Per come sono fatta io, nonostante sia una vecchia scoreggiona brontolona, detesto acremente la prima e la terza metodologia: ci trovo qualcosa di profondamente snob, demagogico e anche sadico. Se da una parte sono fermamente convinta che l’ignoranza spesso sia una scelta e che la maggior parte della gente faccia quello che fa in preda ad un’isteria collettiva di “massa pecorona”, dall’altra non sono nemmeno una sostenitrice degli atti punitivi à-la “social media manager dell’INPS che blasta la gente pubblicamente”.
Esistono, però, personalità di spicco nel Belpaese che non si fanno nessun tipo di scrupolo a sfruttare questo popolo, manipolandolo e facendogli credere moltissime cose, illudendolo, quasi: no, non sto parlando di Salvini, o almeno, non solo. “L’effetto Montemagno”, come l’ho ribattezzato io nella penombra della mia cameretta in preda agli effetti allucinogeni della febbre, è quel metodo tramite cui il nostro interlocutore, grazie ad un furbo sistema di sofismo riesce a farsi ascoltare e apprezzare dal popolo mainstream facendogli credere di essere più intelligente del dovuto, di aver capito come funzionano le cose, di essere intellettualmente superiore ad altri.
Ero rimasta molto infastidita dai video del vecchio Monty in cui lui, con una telecamera che gli riprendeva in maniera ossessivamente vicina il viso, spiegava alla gente di internet i segreti della comunicazione digital e social di Trump e della Clinton, del perché il primo avesse trionfato nelle elezioni americane grazie a strategie digitali ben studiate e congegnate. Tutto probabilmente vero e anche molto interessante, per carità, ma ho notato un fastidiosissimo effetto generale nei fan del comunicatore dalla pelata d’oro: quella pretesa di sentirsi superiori, quell’illusoria percezione di “aver capito tutto”.
Ma arriviamo, finalmente, al punto: la musica. Dove sta il problema, dov’è il focus di tutto questo delirio di onnipotenza? Eccolo qui: esistono molti artisti in Italia – e, sicuramente, anche in molte altre parti del mondo, chissà – che sfruttano, sicuramente la maggior parte di loro in maniera inconsapevole, questo meccanismo. Ovvero: la gente che mi ascolta lo fa perché, inconsciamente, o forse no, si sente parte di un’élite, si sente più intelligente, migliore, e si auto-pone su un piedistallo, incoronandosi re di stocazzo.
È un po’ lo stesso processo mentale che avviene per chi ascolta musica rock e si sente in diritto di screditare chiunque osi ascoltare robaccia immonda non composta con strumenti musicali, ma da computer o altre diavolerie tecnologiche, come ad esempio la trap o l’elettronica. Che si lamenta del “non ci sono più melodie e testi come una volta, le generazioni di oggi non sanno cosa sia la vera musica”, e che, a dirla tutta, fa parte di un buon 80% dei commentatori delle webzine di musica su Facebook, a suon di “Dio prenditi Sfera Ebbasta e ridacci Freddie Mercury!!11!1!”.
Al contrario di questi brontosauri preistorici, amanti del buongiornissimo, delle Harley Davidson e di Jack Daniel’s, i “Montemagniani” della musica di cui sto parlando, sono fichi, cool e hipster, e spesso e volentieri giovani: un po’ l’evoluzione dei figuri citati prima, ma al contrario.
MA CHE TIPO DI MUSICA ASCOLTANO?
Domanda da un milione di dollari: a furia di frequentare in maniera sadomasochista e iconoclasta gruppi e community come Diesagiowave, La Stazione Indipendente, Hipster Democratici e altre amenità similari, ho visto, sempre più spesso, persone che si raggruppavano in religiosa preghiera ai piedi di certi idoli, considerati superiori, per l’appunto, a generi come la trap, la quale veniva screditata e considerata poco intelligente o profonda. Come se la musica debba essere necessariamente movimento politico, critica sociale o approfondimento di spiritualità. Come se la musica senza tante dietrologie, poi, fosse una cosa avvenuta solo negli ultimi dieci anni: pensiamo a Yellow Submarine dei Beatles, per esempio, solo per un momento.
Uno dei baluardi di questo intellettualismo, dal mio punto di vista, è Willie Peyote: chi ascolta in maniera assidua l’occhialuto torinese, tendenzialmente crede di star impegnandosi in una lotta sociale anarchica, sinistroide, libertaria e intellettualmente stimolante. I suoi testi spesso sono acclamati dalle stesse persone che sostengono che per votare ci vorrebbe un patentino di intelligenza e cultura generale, che fa delle citazioni come “la gente più è stupida e più procrea e una statistica così non può che peggiorare, dovremmo fare un figlio noi solo per compensare” il suo cavallo di battaglia.
Ma non è un caso isolato, nei suoi testi: anche quando si parla d’amore, coppie e bacini-baciotti non si spreca nella critica: “Cos'hai visto, una coppia? Io ho visto due persone sole, la gente starebbe un po' meglio capisse che cazzo vuole da sto cazzo d'amore”. Sarà, ma io sento la puzza di qualcuno che sta gonfiando così tanto il petto per vantarsi da mollarne una veramente insostenibile. Ci credo che poi i suoi fan si sentono in diritto di insultare Tony Effe, dandogli dell’ignorante attizzaragazzineminorenni. Si sentono giustificati e incompresi come i peggiori geni, capite?
Un altro che ho notato riscuotere molto successo tra questi ultimi romantici acculturati è Murubutu. Allora, premetto che a me dispiace moltissimo fare discorsi di questo tipo perché sembro la capa delle zitelle insoddisfatte, però, già che definisci la tua musica «rap didattico» o «letteraturap», per me sei un po’ stronzo, perché sicuramente raggrupperai una fanbase di gente che è appena uscita dal liceo classico, ha studiato l’Eneide a memoria e crede di poter dettare legge diventando professore. Un intento nobile quello di acculturare i giovani d’oggi e arricchire il loro bagaglio lessicale, peccato che sfoci spesso nell’effetto opposto, ovvero, la tracotanza, l’ubris.
Sembra un po’ che l’effetto cascata di rapper come Caparezza e Rancore, i cosiddetti baluardi italiani del “conscious rap”, sia andato un po’ troppo in là, espandendosi non solo a temi sociali, ma a metafore azzardate e racconti poetici, come ad esempio “I marinai tornano tardi”: “Resti o vai? ...che fai?...che fai? Poco tempo e partiva, lo vedeva sparire all'aurora e lei seduta sulla poltrona lo immaginava intagliare la bruma verso porti e moli, a trenta nodi, nuovi Soli, oppure lottare contro muri furiosi di schiuma”.
Ed è proprio questo che rende pomposi e fin troppo sicuri di sé gli ascoltatori: i testi, di per sé, sono delle piccole perle, poetici fino al midollo e con quella componente letteraria che solo chi ha una grande cultura ed è abituato a leggere almeno un libro e mezzo all’anno può permettersi di scrivere. L’ascoltatore medio, riconoscendo questo pregio, lo trasforma in un’arma a doppio taglio: inizia a credersi parte di un gruppo dissociato dalla realtà quotidiana dei millennials e degli zoomer di oggi, parte di un piccolo circolo di mecenate dove ci si può fare le metaforiche seghe a vicenda disquisendo su temi troppo alti per noi comuni mortali, il tutto seduti su una comoda poltrona di velluto, con una pipa in bocca che sbuffa.
Un discorso a parte va fatto, invece, per Tutti Fenomeni, mia personale grande delusione del 2020. Partiamo da una premessa: seguivo e apprezzavo moltissimo Giorgio e penso che i suoi lavori siano qualcosa di unico e speciale nel panorama italiano ad oggi, e dopo averlo visto live l’anno scorso a Milano, con lui che intonava “Per quanto ti amo cancello Tinder” sulla base di “New York I love you, but you’re bringing me down”, beh, pensavo di aver le idee abbastanza chiare su di lui.
Ma se c’è qualcuno che rappresenta perfettamente ciò di cui sto farneticando da ormai troppo tempo, è proprio Tutti Fenomeni, con la sua piccola fanbase di borghesi acculturati e arricchiti. Personalmente mi intrigava molto il suo parlare di droga e puttane insieme a gente “normale” come i Tauro Boys: si distingueva da loro e non sapevi bene il perché, sembrava avere quella carica intellettuale in più. Sembrava, appunto, essere il ragazzino intelligente e acculturato che è finito in un contesto sbagliato, ne è stato risucchiato ma ne rimane, comunque, in qualche modo, avulso.
Con il suo ultimo disco il citazionismo da bar fighetto dell’università e l’eccessiva ricerca di un’estetica barocca, sia nei suoni che nei testi, il vaso, per me, si è rovesciato da tutte le parti. Lasciamo perdere, per un secondo, le produzioni tendenzialmente irrilevanti (spero che Contessa non mandi dei sicari a cercarmi), su cui, tra l’altro puntavo tantissimo: quando mi avevano detto che il frontman de I Cani si sarebbe occupato del disco ero esaltatissima, come tutti. Poi sono usciti i singoli, e dopo ancora il disco. E vabbeh, ho dato fuoco ai miei sogni e speranze e ho fatto loro il funerale.
Quello che mi ha fatto storcere il naso e pensare “NO, cazzo, questo è proprio quello di cui l’Italia coi suoi piccolo borghesi NON ha bisogno” sono le soluzioni ricercate nei testi, nei riferimenti, nelle citazioni. Sono tutto TROPPO. Troppo pomposo, troppo pretenzioso, troppo snob.
E lo dice una che ha fatto il classico e si è laureata in filosofia e che, per questo, si rende assolutamente conto di essere una persona detestabile. Ho visto troppe, troppe volte in questi giorni citate frasi come “Da un punto di vista culturale l'Italia è già fallita” sulle mie bacheche in maniera ossessiva e come a dire “Ecco, vedi, finalmente qualcuno che mi capisce e che si rende conto dell’infimo livello culturale che ammorba la madre patria”. E indovinate un po’, tutte ‘ste persone che si credono mega intelligenti sul mio feed sono anche persone che credono che avere una personalità sia scrivere su Diesagiowave tutti i giorni quanto la FSK gang ormai sia superata concettualmente.
E così il mio sospetto è diventato, purtroppo, un pensiero fisso: ci sono molte, troppe persone che non vedono l’ora di riconoscersi in un élite, soprattutto se quest’ultima è intellettualmente separata e sopraelevata dalla massa comune e informe. Ma sapete che c’è? Io continuo a preferire gli ESKEREEE e gli OLLARE THE GANGGG urlati a pieni polmoni senza avere nulla da dire. Lo trovo sicuramente più rappresentativo dell’epoca in cui viviamo. È un male? È un bene? Chi lo sa. Nel frattempo, per farmi detestare ancora di più, farò una confessione che negli anni mi ha fatto collezionare i peggiori insulti: i Queen mi hanno sempre fatto cagare.
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L'articolo L'effetto Montemagno e quella voglia di sentirsi intelligenti grazie alla musica di Linda Codognesi è apparso su Rockit.it il 2020-01-28 11:28:00
COMMENTI (3)
Capiremo veramente ciò che stiamo vivendo, più avanti, secondo me.
Non ho ancora trovato nessuno che abbia davvero capito il fenomeno del contrasto tra popolo ed elité, eppure, in qualche forma, da una parte o dall'altra, tutti, lo stiamo vivendo.
Penso che tutti quelli che discutono del tema, in fondo, sperano che ci sia un posto per loro dalla parte dell'elité e cercano di accaparrarselo parlando dei loro studi classici, dei libri che leggono dei film che guardano o, cosa più facile, della musica che ascoltano.
Sinceramente, mi piace il momento musicale che stiamo vivendo e non credo che nessuno, in questo momento, inserisca nei testi dei concetti da fine pensatore: la genialità presunta di Willie Peyote è paragonabile a quella di chi crea dei meme. Frasi simpatiche, mi fanno sorridere, ma non ci vedo letture del mondo particolarmente geniali, però sono andato a sentirlo live, le sapevo tutte a memoria e mi sono divertito molto.
Anche io mal sopporto i finti sofismi da hipster democratico, ma un attacco come quello dell'articolo, rischia di porsi allo stesso livello loro, sembra una richiesta di essere ammessa al club delle elité, nonostante l'odio per i Queen.
Apprezzato il concetto di "Montemagnani".
Una perdita di tempo enorme. Troppe parole, di una pochezza disarmante, va bene dare una propria opinione ma, così vale tutto.
L'articolo era anche iniziato bene con la disamina generale sul montemagnismo.
Poi è diventato un montemagnismo al contrario, che lascia il tempo che trova. Bisognerebbe solamente accettare che la musica (e l'arte) può essere dignitosa sia quando diventa caciarona, sia quando è politica e acculturata.
Perché prendersela con Willie Peyote è facile (e ci vuole anche coraggio, forse ti sei un po' troppo attaccata alle frasette da meme), un po' meno sarebbe stato farlo con Battiato, Iosonouncane e Dalla, che ops: facevano la stessa cosa e esprimevano concetti simili.
Il punto non è cosa si ascolta, perché se fanno degli schemi in cui dividere le cose ci si sente sempre superiori degli altri (tu stessa hai lasciato trasparire un po' di senso di superiorità in un paio di passaggi). Il punto è non rompere il cazzo agli altri perché non "leggono l'internazionale e ascoltano lo stato sociale" (ecco, questa è una citazione di peyote che esprime concetti simili ai tuoi. Ce ne sono tante, se cerchi) e lasciargli ascoltare quello che vogliono. Che sia progressive rock o elettrodance, che sia ignorante o politicizzata