Nel 2008, quando il celeberrimo festival di Glastonbury annunciò Jay Z come headliner, alcuni esponenti della stampa britannica diedero di matto. “Volete accaparrarvi un altro pubblico”. “State vendendo pochi biglietti”. “Cosa c'entra l'hip hop a Glasto”. Noel Gallagher, il fratello maggiore dell'endorsement a Tony Blair nel 1994, sbrocca: “Mi spiace ma Jay Z proprio no. E' sbagliato”. La storia va avanti così. Jay Z sale sul Pyramid Stage, sugli schermi vengono mostrate immagini delle critiche di Gallagher, sale un coro di risate beffa e la prima canzone del set è una cover di “Wonderwall” degli Oasis. La folla impazzisce, il concerto è una bomba. Epic win: “Glastonbury non è un posto per soli bianchi con la chitarra”, chiosa Carter. Si chiude un anno beffa per Noel: il 27 giugno 2007 si dimetteva Tony Blair nella disaffezione più crudele e il 28 giugno dell'anno successivo Jay Z dominava Glasto (poi nell'agosto 2009 si sciolgono gli Oasis, ma quella è un'altra storia; #nowplaying “Cruel Summer”, Kanye West). Quest'anno, di domenica, ha piovuto talmente tanto che mi è totalmente consentito di iniziare così. Con il più classico dei paragoni con l'alma mater festivalorum. Con il più italiano dei delay: cinque anni dopo, è successa una cosa simile anche a noi. Ovvio: fatte le dovute proporzioni! “Che mica siamo in Inghilterra qui”. “Che mica sei a Glasto”. Glastortellini, piuttosto.
Qualcuno (Elena Mariani sul suo blog post-romantico Non esistono più i lettori cd, figurati l'amore) ha aperto un bel post così: “Forse l'edizione più odiata dal suo stesso pubblico. State calmissimi”. Che in effetti può essere vero se ci pensi: ti ho visto un po' spaesato. Al netto delle presenze, copiose come la pioggia dell'ultima giornata (che insieme al blocco del traffico non ha aiutato la domenica) è pur vero che quest'anno si è interrotto quel cortocircuito di alternative italiano anni zero che tracciava la linea da qualche edizione. Quindi è saltata l'immagine che molta gente si era fatta del festival. Il santino è scaduto, si è bruciato da solo; prega per noi. Il motivo è semplice: non è che siano uscite tutte queste figate, nel genere; alcuni artisti meritevoli hanno suonato l'anno scorso, anno 2012, e dunque non potevano essere reinseriti in cartellone per la regola del non-si-suona-due-anni-di-fila (ah, il ricambio, questa bestia nera del Bel Paese).
Questo è stato l'anno dell'assoluto takeover del rap (il classico delay italiano, ma ci siamo arrivati anche qui). Il MI AMI, che a suo modo cerca sempre di raccontare cosa succede nella musica italiana, non ha chiuso gli occhi e tappato le orecchie. Era bello che ci fosse dentro gente come Noyz Narcos (che peraltro si era già esibito ad un MI AMI ANCORA) e Mecna, che iperbolicamente trovo vicino a Dumbo Gets Mad più di qualsiasi altro artista indie (il soul! Il funky! Quelle radici lì). L'hip hop ha recitato un ruolo di prima linea; anche se, a livello statistico, parliamo del 9% del cartellone (6:68=X:100). Neanche il 10%, essù. C'è stata poi una importante dose di elettronica, con acts più dance oriented e perlustratori dello spazio. Non che fosse la prima volta, come alcuni hanno sottolineato: Dj Gruff, Ghemon, Metal Carter, tutta gente che si è già esibita su quei palchi; l'elettronica, poi, non è mai mancata.
Il resto, be', il resto era perlopiù suonato con il caro vecchio batteria-basso-duechitarre-voce. La percentuale calcolatela voi. MI AMI rimane un festival rock oriented. Ci sono più chitarristi che MC, è un fatto di numeri. Organizza Rockit, nomen omen. Detto questo. Se solo non fossi così curioso e confuso, mi farei bastare un genere musicale, un paio di dischi fondamentali e dritto fino alla tomba con quelli, da sparare dopo una litigata con la moglie e prima della semifinale di Champions League. Se solo la musica non fosse una cosa così affascinante e diversificata, potremmo organizzare rassegne dove ospitare composizioni realizzate con armonie simili e suonate da strumenti identici, nel nome della omogeneità musicale. Invece no. Siamo fortunati. Possiamo fare quello che vogliamo perchè non dobbiamo rendere conto a nessuno. Possiamo ascoltare quello che vogliamo perchè ascoltare è un atto di libertà. Nel mio caso, possiamo fare un festival in cui puoi scoprire cose cui non ti saresti mai avvicinato altrimenti. “Hai visto Mecna? Non me l'aspettavo”. “Non avevo mai sentito DiMartino, mi sono innamorata”. “Cazzo, DNN, ha spaccato”. “Jennifer Gentle incredibili”. “Mani Pulite da dove sbucano?” “Mi sono scaricato tutto” (Giusto per dirne qualcuno). Eddai, fatti tirare in mezzo. Fidati del tuo gusto. Ascolta e poi decidi. Stai bene.
Così come l'esperienza vintage con Patty Pravo (ricordate Nada con gli Zen Circus qualche anno fa?), che ha festeggiato i 40 anni di “Pazza Idea” con quella che secondo me è davvero una #pazzaidea: fallo tu un festival su modello europeo con tre palchi che corrono in contemporanea di sole band italiane, fallo che funzioni e che stia in piedi, e fai sì che non piova. Non sto dicendo che non ci siano esperienze simili, in Italia. Non me la sto menando. Sto dicendo “Fallo”. Positivo. Fare le cose è l'unica (fare la) cosa che conta. Ed è bello che in questi nove anni di MI AMI siano nate decine di festival, molti dei quali vedo hanno tratto anche un po' di ispirazione dal festival oggetto qui, e questo è abbastanza un orgoglio. Anche il MI AMI ha tratto ispirazione da festival come Musica nelle Valli, All Tomorrow's Parties o FIB.
Quello che non capisco è come si possa ancora definire il MI AMI un posto per "hipster" o fighetti di città. Ma ti sei visto allo specchio? C'eri? La cosa peggiore, quando devi per forza criticare, è appoggiarsi alle categorie. Non esistono. Il MI AMI è un festival, esiste da nove anni, ha contribuito a costruire una mentalità e una speranza. Ha dato delle opportunità, sicuramente compiuto errori, regalato momenti bellissimi. E' un festival dove è possibile incrociare sguardi nuovi, farsi portare via dalle situazioni, scoprire mondi possibili. E' un festival in cui per tre giorni spegni la città e accendi la magia. E' un festival in cui la birra costa ancora 4 euro. E' un festival di musica fumetti e baci, organizzato da persone che lavorano duro. E' un festival di persone, prima ancora che di musica, e questo Fiz, che è il cuore vero di tutto lo sa bene, e ogni anno cerca di ricordarlo a tutti. E' un festival. "Un weekend per stare bene e se ci scappa qualche bacio tanto meglio". Chi lo dice che sia per sempre? Fra la noia di chi sa tutto e lo stupore incantato della prima volta, scelgo la seconda. Ogni cosa è illuminata, dipende quanta luce hai negli occhi.
Grazie a tutti quelli che sono venuti! Grazie alle band che hanno suonato! Grazie a coloro che hanno lavorato! L'anno prossimo sono dieci. Cifra tonda, fa un certo effetto. Il futuro tutto da scrivere.
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L'articolo Ti ho visto un po' spaesato di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2013-06-28 00:00:00
COMMENTI (4)
grande carlo, ora fai qualche nome di quelli che remano contro
:)
Quoto "Se solo non fossi così curioso e confuso, mi farei bastare un genere musicale."
Olè.