Da sconosciuto a meme vivente nel giro di poche ore, il rapper 1727 Wrldstar, vero nome Algero Corretini, 24 anni di Roma, è diventato famoso per le sue dirette estreme su Instagram, specie quella in cui va forte in macchina e, mentre si gasa coi fratellì per la spettacolarità del suo gesto, prende il muro col muso dell'auto e finge sia tutto un piano del destino. Del suo intervento illuminato ci hanno già fatto remix, ha partecipato a La Zanzara, in cui Cruciani non ha mai smesso di ridere e, di certo, diventerà famoso.
Incuriosito, sono rimasto vittima del meccanismo e ho cercato le sue canzoni: rap con testi dementi (e a volte fastidiosi), con titoli tipo Mussolini, Bucatino o Trap Life. Non vero lol rap alla Bello Figo, neanche satira alla Pippo Sowlo, proprio parole in libertà, che sembrano l'update della poetica della prima Dark Polo Gang, scevre del minimo senso che aveva allora e dalla originalità, almeno per l'Italia, di ciò che ha creato a suo tempo la crew romana. Ho ammirato un poco invece, lo ammetto, le sue performance estreme sul suo canale Instagram, seguito da più di 150mila persone. Balla, fa il matto, dà consigli irripetibili e viene costantemente offeso. La sua ascesa funziona così, provocazioni e "speriamo che mi si noti". Decisamente già visto.
No che non mi piace, mia madre non ha cresciuto un deficiente, però non ne rimango scandalizzato come invece è capitato a Michele Serra, che nella Amaca del 27 maggio (il contenuto online è a pagamento), tra l'ironico e il re dei boomer, dice – è una sintesi estrema del suo pensiero, se potete andatevelo a rileggere, che si sia d'accordo o meno con Serra ne vale sempre la pena – che l'appellativo rapper bisogna meritarlo.
Però 1727 World (i nomi dei rapper cambiano molto velocemente, a volte anche nello stesso articolo) è a tutti gli effetti un rapper, scrive e registra canzoni che troviamo pure su Spotify, ed è uno dei tanti che prende la via del rap perché è il canale più veloce per raggiungere un qualche obiettivo di notorietà. Era stato fatto lo stesso discorso agli albori della discussione sulla già citata DPG e persino su Sfera (che ora fa il giudice ai talent), che avevano il target dai 15 anni in giù e parlavano di droghe, senza stare troppo a giudicare, perché è evidente che tutti, dal più grande al più piccolo dei fenomeni rap/trap di un certo tipo, siano figli dello stesso sistema.
Non è difficile individuarlo: più la spari grossa, più diventi famoso. È la logica del social e della condivisione. La generazione precedente guardava quelli di Jackass che si rompevano le ossa per divertimento, quella ancora prima credeva alle soap opera agli estrogeni del wrestling, sono tutti fenomeni che attraversiamo durante il teenageriato per farsi due risate e lasciarli lì dove sono. Sono artisti? Sì, perché l'arte per sua stessa natura non ha bisogno di alcun talento o patentino, la rappresentazione e l'allegoria del reale è di per sé arte, e di questi tempi ce ne sono di persone che pur di diventare famose venderebbero la madre ai coccodrilli.
Performer che cantano canzoni brutte a tratti orribili, ma che diventano famosi per le loro epiche gesta, che sembrano sempre di più gli spot di Hulk Hogan o Macho Man commentati da Dan Peterson. Certo, quegli omoni dicevano ai ragazzini di non drogarsi, ma erano talmente pieni che non entravano nei loro stessi panni. Per parlare di trap, nel programma di Giletti c'erano l'imperatore dei boomer Red Ronnie e tale Jordan Jeffrey Baby, col campionario di tatuaggi di merda in faccia, che ha partecipato al programma per diventare famoso in due minuti. Non pensiamo di essere immuni dalla logica del far diventare famose persone che non se lo meritano: siamo stati noi a guardare i talent, i reality, a far diventare personaggi gente senza alcun talento.
Potremmo incazzarci fino alla rivolta contro questa logica quando riguarda la politica, perché in quel caso, ogni decisione tocca espressamente la nostra vita e lo stiamo vivendo ogni giorno sulla nostra pelle, l'errore di aver votato deficienti populisti. Per quanto riguarda l'arte, invece, tutto è concesso. Di certo non è un fenomeno solo italiano, dal momento che 6ix9ine va in carcere, fa l'infame, esce e piazza un pezzo in classifica solo per il suo gesto e per quella faccia e quei modi di fare.
I messaggi edificanti della FSK Gang, le risse virtuali tra Vacca, Jamil e Pretty Solero, il gabbio di Traffik e Gallagher, le storie di Side Baby che non riesce neanche a parlare, tutti risultati del sistema mediatico, che prevede lotta senza quartiere alla discrezione, alla decenza e alla lingua italiana, in virtù della continua creazione di contenuti per il pubblico, e si parla di centinaia di migliaia di persone quando non sono milioni. Che ci piaccia la loro musica o meno, è davvero una cosa secondaria. Dalla musica ci sono passati attori, comici, ballerini, pornostar, abbiamo ascoltato le canzoni di Francesco Salvi e Giorgio Faletti, di Marisa Laurito e Cicciolina, nessuno si è mai sognato di chiedere loro un patentino per cantare. Eppure anche lì, con tutte le differenze del caso, era musica?
Ecco perché, nonostante comprendiamo l'affondo di Michele Serra, e di certo non amiamo certe derive, perché nulla aggiungono da un punto di vista artistico, non possiamo condividerlo: l'arte non è compatibile coi certificati DoC, non rilascia garanzie, non ha una funzione educativa, non segue regole predefinite. È espressione, ne fanno parte Kubrick e gli attori di Amore Tossico di Caligari, Johnny Knoxville e 1727 comecazzosichiama, Vasco fatto in tv e il frate che suonava metal. Il rap può avere una funzione sociale (o antisociale), ma può anche parlare di niente, può essere un pretesto per far parlare di sé per un paio di giorni oppure una cosa seria come la vita stessa. Non tutti scrivono This is America, quello è talento, ma non saremo noi a firmare la petizione per rilasciare il patentino di rapper.
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L'articolo La patente di rapper e i rapper senza più la patente di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-05-28 10:20:00
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