Eravate piccoli negli anni '80? In tal caso ricorderete la musica dance uscire da tutti gli stereo, dalla tv, dalla radio e un sacco di nomi strani prendersi la ribalta per diventare campioni da classifica e Festivalbar. L'italo-disco stava imperversando in tutto il mondo e faceva ballare i ragazzi col giubbotto e i capelli lunghi dietro, le ragazze coi capelli cotonati e i vestiti fluorescenti, ma anche le famiglie di provincia, un po' fuori moda, come quella di cui facevo parte io. C'erano un sacco di progetti musicali che univano la forma canzone al ritmo da discoteca, ogni giorno uscivano dei nomi nuovi e, senza internet e senza televisioni musicali dedicate, sapevi ben poco di loro.
La prima certezza per un adolescente appassionato di musica era: se ha un nome strano e canta in inglese, è inglese (o al massimo americano). Seguendo questa equazione esatta, bollai Raf (Raffaele Riefoli) di Self Control, Ryan Paris (Fabio Roscioli) di La dolce vita, Valerie Dore (Monica Stucchi) di Lancelot, P. Lion (Pietro Paolo Pelandi) di Happy Children, Den Harrow (Stefano Zandri), diventato tristemente celebre per il pianto all'Isola dei Famosi e quegli strani dei Righeira come stranieri, insieme al signore dell'italian touch, Mike Francis, nome d'arte di Francesco Puccioni. Quella dei nickname stranieri era una prassi consolidata per dare profilo internazionale a progetti creati appositamente per essere esportati, un po' come facevano attori e registi degli anni '70 quando producevano film in inglese per il mercato estero e, solo accidentalmente, diventavano famosissimi anche in Italia (vedi alla voce Bud Spencer e Terence Hill).
L'illusione faceva parte integrante del progetto musicale, non a caso i produttori erano i veri proprietari del nome e non era infrequente che scegliessero dei vocalist per le registrazioni e dei frontmen per le esibizioni (quasi sempre in playback) e le copertine. Den Harrow negli anni '80 e Corona (The Rhythm of the Night) nei '90, gli esempi più clamorosi. Il nome d'arte era spesso identificativo della ragione sociale di un progetto ben più esteso, ma così non era per Mike Francis, un cantautore dallo stile inconfondibile che solo incidentalmente è stato uno dei nomi di punta del genere.
Oggi ricorre l'undicesimo anniversario della sua morte e in pochi conoscono la sua storia, quindi vale la pena celebrarlo come merita. Francesco è stato un cantautore fiorentino che ha iniziato la propria carriera nel 1981 ed è rimasto in attività fino al 2009, anno della sua scomparsa, vendendo più di 8 milioni di dischi. Ricciolino, faccia da ragazzo pulito con gli occhi sempre un po' tristi, somiglia più a Francesco Nuti che all'immagine che abbiamo in testa della star internazionale di musica dance. Ha la musica nel sangue, essendo cugino di Grazia Di Michele, e nella sua carriera ha tenuto a battesimo come coriste Rossana Casale e Giorgia.
Inizia la sua avventura musicale a Roma, dove studia pianoforte e chitarra, mentre perfeziona il suo inglese in una scuola superiore americana. Il suo primo gruppo, Metropole, produce Miss Manhatthan, un singolo col testo scritto da Enrica Bonaccorti dalle tinte funk-jazz, un'impronta che gli rimarrà durante tutta la carriera. La prima volta che utilizza il nickname Mike Francis è nel 1982 col singolo Love Has Found You, ma il successo arriva con Survivor, il singolone del 1984 prodotto dai fratelli Micioni e arrangiato con Bob Masala, che raggiunge il quinto posto nella hit parade del tempo. La sua voce è calda, soft, melodiosa, perfetta per addolcire i pattern ritmici che fanno ballare e la canzone diventa il suo marchio di fabbrica.
Nello stesso anno Mike Francis raggiunge il primo posto con Friends, che fa cantare alla bellissima voce della statunitense Amii Stewart e ottiene un grande successo anche all'estero. Il suo primo album s'intitola Let's Not Talk About It e viene presentato al teatro Olimpico di Roma, per il primo vero concerto del cantante. Il 1984 è un grande anno per lui, e si conclude con l'uscita di un singolo che non fa parte del disco, ma che rimarrà uno dei più belli della sua discografia: la dolcissima Let Me In, in cui l'estensione vocale di Rossana Casale fa volare.
L'anno successivo Mike Francis fa il primo tour e pubblica un sacco di singoli, tra cui Together di nuovo in coppia con Amii Stewart, ma è con il terzo album del 1986 che, per la prima volta, canta un pezzo in italiano, Noi: una ballata acustica romantica e delicata. Nel 1987 è all'apice del successo e fa un tour nei palasport, grazie anche alla pubblicazione della sua prima raccolta di successi, Songs 1, che risulterà il suo album più venduto. Dopo essersi trasferito temporaneamente nelle Filippine e aver registrato un live a Manila, cambia del tutto strategia e, nel 1991, pubblica il primo album in italiano, chiamato didascalicamente Mike Francis in italiano.
Nei '90s l'italo disco sta cedendo il passo all'italo dance con la cassa dritta e Mike preferisce la via cantautorale, grazie all'apporto di Mogol ai testi. Vorrebbe andare a Sanremo ma non riesce, nonostante l'album giri bene in classifica. Proprio come Lucio Battisti, dopo Mogol anche Francis si affida ai testi di Pasquale Panella per il suo secondo disco in italiano, Francesco innamorato del 1994. Nel corso della carriera registrerà altri quattro album, tra cover, brani in italiano e in inglese, farà concerti sold out nelle Filippine e farà parte di una band, i Mystic Diversions (con cui aveva già collaborato negli anni '80), con cui pubblicherà il singolo Josephine, un gran pezzo di classe pura. Muore troppo presto, a soli 47 anni, a causa di un tumore ai polmoni.
Con il suo stile soft, mai urlato e avvolgente, è stato l'anello di congiunzione tra la musica dance e la canzone d'autore. Un nome conosciuto quasi più all'estero che in Italia, che merita un approfondimento.
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L'articolo Mike Francis, quando l'italo-disco faceva ballare persino le Filippine di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-01-30 09:44:00
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