Neanche a farlo apposta, la sera nella quale i Carver – il gruppo di “elettronica in bianco e nero, ballabile, ma non troppo” – presentano il loro disco L’altra faccia della Luna pare una serata fatta apposta per un film noir, una sorta di adattamento cinematografico di un libro di Piero Colaprico o Massimo Carlotto. Nelle viuzze che dalla Torre Velasca conducono a Germi – Luogo di contaminazione, là dove si sarebbe svolta “l’esperienza sonora” (così mi è stata presentata), una profonda e spessa nebbia lattiginosa avvolge la città. Non solo Missori, ma in particolar modo questa zona subito antistante i Navigli. È in questo clima lugubre, reso ancora più surreale dalla tensione dettata dal derby tra Inter e Milan giocato poco prima, che i Carver ci portano dentro uno spettacolo del tutto anti-convenzionale.
“Me lo dicevi ai tempi, e dovresti vedere adesso Vito, è tutto ancora più intersecato, come venatura del legno”.
Ciao Vito, Pt.2
Quasi come se volessero giocare sulla concomitante finale di Sanremo, il gruppo di Milano propone agli spettatori accorsi a Germi un cammino, più che un semplice ascolto, attraverso le loro tracce di elettronica inquietante, dove letteratura e musica si mescolano e si tengono legate “come venature del legno”. Dopo qualche battuta scambiata sulla kermesse sanremese, ecco che una voce elettronica annuncia l’imminente inizio della performance. A tutti i presenti vengono consegnati un paio di guanti neri (cosa che mi fa subito pensare: “Ho ucciso io Laura Palmer”) e una mascherina per dormire, una di quelle che ti danno sugli aerei intercontinentali per capirci. Al che prendiamo posto, mentre l’impersonale e metallica voce elettronica ci ordinava di indossare guanti e mascherina. Ed è qua che prende il via il tutto.
Provate un attimo a immaginare, adesso, è importante. Fuori la nebbia, una città praticamente ovattata, visto che i tempi sono grami e la gente “esce poco la sera, compreso quando è festa”, come direbbe Dalla. Dentro un gruppo di ragazze e ragazzi, per lo più sconosciuti tra di loro che, completamente “tappati” dalla testa ai piedi, tra mascherina per dormire, mascherina Ffp2 per respirare in sicurezza e guanti neri per non lasciare tracce si riuniscono in un luogo intimo e riservato come Germi per ascoltare un disco grumoso e nero come quello dei Carver. Probabilmente non c’è stata cosa più antisanremese di questa a memoria d’uomo, no?
Alcuni dei brani dei Carver come Brianza, Ciao Vito, Pt. 2 o La Martesana Pt.1 sono tutti pezzi che conoscevo molto bene, avendomi accompagnato nel 2021 durante le, tutto sommato poche, uscite la sera sui mezzi. Eppure ascoltate così, con la privazione di alcuni sensi, queste tracce si sono trasformate e evolute, diventando al tempo stesso più eteree e più concrete. Più eteree perché, ovviamente, avendo dopo pochi minuti perso ogni tipo di punto geografico, mi sono come sentito galleggiare nello spazio. L’unica ancora era l’elettronica dei Carver, una specie di luce nera in una stanza buia dove è stato appena commesso un omicidio.
Nonostante questa perdita sensoriale e delle coordinate, ecco che le canzoni si fanno materiche. È proprio come se si possono toccare, anzi meglio, “erano loro a toccare te”. Gli stessi membri dei Carver, amanti delle performance a tutto tondo, mentre le spettatrici e gli spettatori non possono vederli, si aggirano tra di loro sussurrando parole alle loro orecchie, facendo frusciare i vestiti, sfiorando braccia e gambe come sorta di spettri musicali.
Le canzoni dei Carver, già durante un ascolto “normale”, sono evidentemente qualcosa che tracima nella letteratura, proprio per i testi così evocativi, curati e che, in buona sostanza, raccontano sempre delle storie di (micro)criminalità milanese, sfascio della provincia e decadenza di valori. Con l'aggiunta di questa compenetrazione tra dato sonoro e dato fisico, mentre là fuori Iva Zanicchi canta a Sanremo e i tifosi dell’Inter si disperano per il ribaltone del derby negli ultimi minuti, L’altra faccia della Luna diventa un disco ancora più affascinante.
Nessuno può controllare il telefono, ordinare una birra o distrarsi guardando il bellissimo bracco che si aggira per Germi. No, c'è solo spazio per le note e le vibrazioni dell’elettronica nera dei Carver. Alla fine, quando possiamo toglierci la mascherina dagli occhi e i guanti, ognuno dei presenti è scosso. Non spaventati o intimoriti, ma provati, come quando in montagna si raggiunge la tanto agognata baita dopo una lunga e faticosa scarpinata. Una soddisfazione di aver vissuto e provato qualcosa di unico nel suo genere.
Esco dal locale, ma sento addosso ancora una strana aura che mi avvolge. Decido di non prendere nessun mezzo, ma di farmi il tragitto “a piotti”, così da assaporare quelle atmosfere di una Milano notturna e glaciale che sono contenute ne L’altra faccia della Luna ancora una volta. Arrivo a casa e mi rendo conto che alla fine, in questo noir in cui mi sono trovato immerso, non c'è né delitto, né tantomeno un assassino. E, vi confesso, che un po’ ci sono rimasto male.
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L'articolo I milanesi ammazzano ancora al sabato di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2022-02-15 12:00:00
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