All'ingresso della Galleria del Corso, dove il cielo sopra la piazza dedicata a Cesare Beccaria diventa un lucernario maestoso, un volto osserva il tuo ingresso. È quello di Giovanni D'Anzi, l'ex bambino prodigio del pianoforte che avrebbe poi scritto la canzone più famosa tra quelle dedicate alla città in cui ci troviamo. Qui Milano è più Milano che mai e la vicinanza in linea d'aria con quella "bella Madunina" cantata per la prima volta da D'Anzi nel 1935 contribuisce non poco a confermare questa sensazione.
Di fronte all'effige del compositore, il luogo in cui siamo diretti. Il "palazzo della musica" di Milano ha una serie parecchio lunga di campanelli, molti dei quali appartengono a etichette e altri operatori del settore. Carosello è al sesto piano, se l'ascensore non funziona sono guai. Guasto.
Ci rifacciamo con una camminata lungo l'infinito corridoio che taglia in due il piano. Sulle pareti, magnetiche foto in bianco e nero raccontano la storia del posto e delle leggendarie vicende musicali che qui si sono consumate. Gaber, Modugno, Mina, Morricone, Franco Micalizzi, Vasco, Thegiornalisti. Sono alcuni degli artisti che hanno fatto parte della scuderia di Carosello e che, oltre che nelle immagini davanti ai nostri occhi, sono i protagonisti del libro Carosello Records 60x60, un bellissimo volume di foto e testi che narrano i primi 60 anni di vita dell'etichetta, nata il 28 gennaio 1959.
A fondarla fu Giuseppe Ricci Gramitto, detto Pippo, laureato in Giurisprudenza, marito di Clotilde Curci, membro della famiglia Curci, che nei primi anni del secolo a Napoli avevano creato le loro pionieristiche Edizioni Musicali, da cui il gruppo milanese discende. La crescita di Carosello, e il suo impatto sulla vita culturale italiana, è rapida. Pubblica colonne sonore di film, lavorando con maestri come Franco Micalizzi e Ennio Morricone, promuove Memo Remigi e le gemelle Kessler. E poi Domenico Modugno, la voce italiana più famosa nel mondo, e il rapporto simbiotico con Giorgio Gaber.
Arrivano gli anni '80, con Toto Cutugno e, soprattutto, Vasco Rossi. L'etichetta lancia Ivan Graziani, detiene i diritti dell'opera del già citato Giuseppe D'Anzi (e più avanti di due campioni come Mina e Tiziano Ferro). Pubblica le sortite musicali di Topo Gigio, porta al successo in Italia star internazionali come Skunk Anansie e Jarabe De Palo, e poi Sugar Hill Gang e Kool & The Gang. Venendo ai nostri giorni, enorme è il successo di artisti come Coez (ancora nel roster dell'etichetta), Tommaso Paradiso e Levante, grandi protagonisti di quella rivoluzione del nuovo pop che oggi ci pare la cosa più scontata che ci sia.
Buona parte del merito è dell'uomo che abbiamo seduto di fronte, in uno degli uffici sospesi nella storia del dopoguerra del costume italiano: Dario Giovannini, da 10 anni direttore generale di Carosello.
Guidata da lui l’etichetta, oggi un anno in più che sessantenne, prosegue nel suo percorso, in cui lo scouting è fondamentale quanto l’hype attorno ai grandi nomi. E così nel roster attuale della casa discografica che fu di Modugno, Gaber e Vasco, figurano al contempo Coez e Ghemon, Diodato e Skunk Anansie, Voodo Kid, Wrongonyou, Angelica, Birthh e tanti altri. Dario Giovannini apre il libro dei ricordi, non in senso letterale (il volume Carosello Records 60x60 è curato da Andrea Laffranchi e Federico Pucci), e il microfono si accende.
Sarà un’imperdibile occasione per parlare anche del mercato della musica attuale, delle sue storture e di come dovrebbe cambiare. Proprio da qui partiamo.
Che ruolo ha una casa discografica oggi, nell’epoca dei contatti del management degli artisti riportati su tutti i social network?
Stiamo vivendo un periodo storico molto particolare: con l’avvento dello streaming, da noi come altrove, sono esplosi decine di artisti, che hanno fatto numeri pazzeschi, ma in certi casi sono durati giusto un paio di singoli. Si è sviluppato un modello di disintermediazione, che ha apparentemente tolto importanza alle case discografiche. Non è di per sé un male, anzi la digitalizzazione ha permesso la liberalizzazione dei talenti: ogni ragazzino può farsi conoscere in tutto il mondo, stando al computer nella sua cameretta. Sono 20 anni che provo a fare questo lavoro, e non è mai esistito un periodo privo di barriere come questo: fino a qualche tempo fa se non passavi in radio o su Mtv il progetto non poteva funzionare.
Ma…
Il messaggio che va per la maggiore oggi è che ogni giovane possa farcela da solo, invece a tutti serve l’aiuto, il supporto e il konw how di professionisti. Può essere facile arrivare con un artista al numero uno, il difficile è confermarsi. Ogni artista deve avere alle spalle una struttura credibile, piccola o grande che sia.
Rispetto al mercato attuale, Carosello è piccola o grande?
Carosello, oltre che il suo presente, è la sua storia, unica in Italia. Motivo per cui, visto che abbiamo da poco festeggiato i nostri 60 anni (ed io personalmente i 10 di direzione), abbiamo deciso di fare un volume che omaggiasse tutti gli artisti che ci hanno reso attuali per oltre mezzo secolo.
Come ti poni nei confronti di questa storia?
Di recente abbiamo scritturato un artista nuovo molto giovane: la prima volta che è entrato in ufficio, ed è passato nel nostro corridoio, dove ci sono le foto di tutti i grandi musicisti che hanno fatto parte dei nostri roster, era visibilmente emozionato, incredulo. Lo capisco, perché quella walk of fame io la percorro ogni mattina, e continuo a prenderne ispirazione. Mi pongo sempre con grande rispetto verso il passato.
Come si fa a rispettarlo e allo stesso tempo affrontare un mercato ipercompetitivo come quello attuale con successo?
Capendo l’identità che ci siamo costruiti negli anni, e non forzandola in alcun modo. Questo è il motivo per cui, ad esempio, noi abbiamo deciso di non lavorare con i talent. Siamo l’etichetta di Gaber e di Modugno: preferisco lavorare con progetti più lenti da far crescere, la carriera artistica non è una gara sui 100 metri, ma una maratona. Questo è un modo per rispettare il passato.
E con gli artisti che “arrivano” dai social che rapporto avete?
Stesso discorso. Noi non vediamo in Tik Tok una piattaforma per la ricerca di nuovi artisti. Ma capiamo la forza promozionale di questa nuova realtà. Un ragazzo che “esce” da quella piattaforma tenderà a fare nelle sue canzoni dei ritornelli adatti alla lunghezza imposta, a inserire effetti sonori compatibili, pensare a coreografie social. E tutto questo banalizza il talento, rende fenomeni fini a se stessi. Milioni di views su un video di 15 secondi non creano una carriera.
Non è semplicemente che i tempi cambiano, e ci si adatta ai media di riferimento? Nel senso, un tempo si facevano i brani per la radio, ora per Tik Tok…
Una volta ci si chiedeva “questo brano è radiofonico”, e io francamente non ho mai capito cosa volesse dire: la radiofonicità non è mai stato di per sé un obiettivo da raggiungere per me. Ma in ogni caso, anche chi andava maggiormente a ruota delle dinamiche commerciali, non è che modificasse la struttura delle canzoni, al massimo uno proponeva un pezzo un po’ più “paraculo”. Oggi, invece, i nuovi media sono talmente invasivi che le canzoni cominciano a modellarsi di conseguenza.
Come si resiste alle logiche dell’usa e getta nella musica?
Non ho una risposta valida per tutti, perché io sono un discografico fortunato. Carosello è la realtà di una famiglia che fa investimenti, senza patrimoni che arrivano dall’estero. Questa direzione, nonostante tutti gli sconvolgimenti, non è mai cambiata. Io non ho ansia da prestazione, non devo portare risultati immediati. Ripeto, sono davvero fortunato.
Ma la musica, comunque, si valuta in risultati…
Certo, solo che io posso permettermi di parlare con gli artisti, instaurare un rapporto con loro, ascoltare liberamente musica. Molte volte perdi soldi per anni con un cantante o una band, prima che arrivi un punto di svolta. “Chi è questo Coez? Non canta bene, non fa neanche rap, non funzionerà mai”, dicevano i commentatori anni fa. Coez è stato un investimento per 5 anni, che ha portato dei ritorni a partire da 2 anni a questa parte… Bisogna avere tempo, poi vieni ripagato.
Un’etichetta discografica deve fare cultura?
Indubbiamente sì. Certo, dobbiamo anche vendere dischi, ma il nostro primo compito è formare gli artisti. Carosello i progetti one shot non è capace di farli. Chiaramente è più facile ottenere un disco di platino con il primo ragazzino uscito da Tik Tok, che sfornare un artista vero. Ma non è il nostro lavoro.
Carosello ha una sua particolarità: è la più grande istituzione musicale milanese nata a Napoli…
(ride) Carosello è nato prima dell’Unità d’Italia in un negozio di spartiti a Napoli, e attraverso varie fasi e il contributo di personaggi unici, è arrivato a Milano, al nostro lavoro di oggi in questo palazzo storico e meraviglioso nel cuore della città. Quando incontro discografici più anziani del sottoscritto, tutti ricordano i tempi in cui in Galleria gli artisti facevano la fila per provare in Carosello. Oppure mi parlano della sala in cui registravano Vasco Rossi o Domenico Modugno.
Il tuo primo approccio con Carosello?
Ricordo da piccolo il logo delle Carosello sulle cassette di Vasco. A mia volta, poi, ho registrato decine di cassette per fare compilation tipo “Vasco Forever” per le ragazzine: quella era una specie di Spotify ante litteram. Per me è un onore enorme lavorare nell’etichetta di Vasco.
Entriamo nel vivo della storia di Carosello, per come raccontata nel libro. Domenico Modugno o Topo Gigio?
Domenico Modugno non è solamente uno dei più grandi artisti italiani, ma quello che ha scritto forse la canzone più famosa della storia del nostro Paese. Però, ne sono fermamente convinto, Topo Gigio è purissima cultura italiana. Non posso scegliere: con tutte le differenze del caso, sono estremamente fiero della storia di entrambi.
Giovanni D’Anzi o Emis Killa?
Giovanni D’Anzi ha scritto l’inno di Milano, che io ho cantato allo stadio per 30 anni. Quindi diciamo che provo parecchio rispetto, e sono contento che, pur in una città sempre più cosmopolita, alcune tradizioni non si perdano del tutto. E sono contento che con la sua targa all’ingresso del palazzo, D’Anzi protegga il nostro lavoro. Emis Killa è un grande artista, che ha contribuito a scrivere la storia di Carosello: voto D’Anzi solo perché ha scritto l’inno di Milano (ride).
Ci fai un nome tra i tanti artisti internazionali che hanno lavorato con Carosello?
Io ho un affetto particolare per Jarabe de Palo, perché è una persona squisita. La prima volta che lo abbiamo portato in Italia, e fatto alloggiare al Principe di Savoia a Milano, mi ha preso da parte e detto “l’albergo non va bene: potevi prendermi un 3 stelle e tutti i soldi che risparmiavi usarli per fare festa”. E poi gli Skunk Anansie, con loro ho fatto il primo primo posto in classifica con la nuova formazione di Carosello, e il primo Forum d’Assago pieno. Insomma, ho bei ricordi.
Cosa serve per firmare un Vasco Rossi?
Serve un fondatore come Giuseppe Gramitto Ricci, che a sua volta coinvolga come direttore artistico Mario Rapallo, un visionario che voleva provare a fare qualcosa di diverso. Giuseppe gli diede carta bianca assoluta, e Rapallo volle a tutti i costi Vasco. Non era una cosa da poco, era stato a Sanremo ubriaco e con i pantaloni colorati. Qualsiasi altra etichetta l’avrebbe scaricato, Carosello, invece l’ha difeso, protetto e fatto crescere. Erano gli anni ’80.
L’ondata indie si sta esaurendo?
La musica va a cicli, a ondate, appunto. A un certo punto arriva anche il sovradosaggio. Quando la bolla esploderà, rimarranno solo quelli più validi. Sarei stupito se tra 10 anni Tommaso Paradiso, Coez e Calcutta non fossero ancora ai vertici, perché sono i più forti, ma non credo che allora esisterà una miriade di gruppetti simile a quella di oggi. Con le “mode” è sempre così. Dieci anni fa mi arrivano solo demo di band, che sembravano i Modà e i Negramaro. Ma essere un clone di una cosa che c’è, già vuol dire essere sempre secondi.
Però per il momento seguire un filone paga, e permette di fare i numeri.
L’obiettivo degli artisti è entrare nelle playlist che contano di Spotify. Se un artista non ha una playlist di riferimento, perché il suo sound non è così omologato, non farà altrettanti streaming, questa è una certezza. Il paradigma è ribaltato: il valore di ogni artista dovrebbe essere la sua unicità. Invece così si crea un ingolfamento discografico: è come se tutti provassero ad uscire allo stesso casello autostradale. In Italia escono 500 canzoni a settimana, sono tante e spesso uguali.
La perdita di valore della musica è irreversibile?
Oggi tutto è gratis, si sa. Da ragazzo quando io compravo un disco, studiavo anche i dettagli della copertina, leggevo tutti i credits, lo ascoltavo fino a consumarlo, perché avevo investito per averlo. Oggi la perdita di valore non è solo economica. Oggi la musica è gratis e tutto ha perso di valore, non solo economico. Ma la scelta di cosa ascoltare, al di là di ogni skip rate, è e deve rimanere soggettiva: non si può lasciare la musica nella mani di un algoritmo.
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L'articolo Da Modugno a Gaber, da Vasco a Coez: la musica italiana è un grande Carosello di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2020-01-15 12:26:00
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