Sfondo tricolore rovinato e Mussolini in divisa da primo ministro: chissà qual è stata la reazione di chi, nel 1985, si è trovato per le mani il singolo Il Duce dei Big Black, band punk rock americana che ha gettato le basi per la nascita dell’industrial rock. Ad ascoltare il testo si rimane ancora più perplessi: “I am Benito and I like my job, They gave me this house and gave me this car, they gave me the cities and streets when they gave me this job”.
Il tutto su una cupa tempesta di chitarre, bassi e drum machine. Una sorta di Bela Lugosi is Dead in versione ridotta e apologetica. La quarta di copertina non aiuta: “This record is dedicated to the memory of the Bambino, Il Duce Benito Mussolini, whose life has been an inspiration to us all”. In realtà, quella dei Big Black non è nostalgia del ventennio – senza contare che si riesce eccome a cogliere la ridicolizzazione di fondo nei confronti di Mussolini –, ma è l’anima più caotica e distruttiva del punk. La provocazione portata all’estremo. Questo atteggiamento di rottura verso i tabù diventerà uno dei tratti caratteristici dei Big Black, con testi che richiamano al razzismo, l’omofobia, pedofilia, omicidi, stupri e quant’altro. Mettere alla prova il pubblico benpensante americano, sbattendogli in faccia il peggio che quella stessa società aveva creato e che nascondeva sotto il tappeto del politicamente corretto per evitare di doverci fare i conti.
Tutto è più facile da comprendere se si sa che dietro allo sregolato spirito dei Big Black si cela Steve Albini, figura di culto per il rock alternativo mondiale che è morto all'improvviso oggi a 61 anni per un infarto. Uno la cui perdita è ancora tutta da metabolizzare, perché è stato un personaggio immenso, uno che ha segnato il suono di un paio di generazioni e la cui mano è in tanti dischi che hanno fatto epoca e che, soprattutto, ci hanno fatto innamorare.
I Big Black, si diceva, la sua prima band, fondata nel 1982 a Chicago e presto diventata tra le band più influenti di un decennio molto noise. Albini è di origini italiane, come anche il suo ex compagno di band Jeff Pezzati, mentre il chitarrista Santiago Durango – ora avvocato – è colombiano. Viene difficile credere che dei figli di immigrati abbiano una qualche simpatia verso il regime fascista, come più di qualcuno poteva aver pensato. Steve Albini, dopo i Big Black, diventa in fretta un punto di riferimento per la scena hardcore, oltre che per quella noise americana. Ma non è uno che sta nella propria nicchia, affatto. E soprattutto è uno dai mille progetti, pur tutti con la stessa matrice.
Prima musicista con Rapeman – altro nome provocatorio – e Shellac, poi una clamorosa carriera come produttore: Pixies, Fugazi, Nirvana (si dice che il suono di In Utero sia parecchio merito suo), Low, PJ Harvey sono solo alcuni nomi di una lista infinita di artisti più o meno noti che si sono affidati a lui. E poi Mogwai, Godspeed You! Black Emperor e tanti altri, tendenzialmente tutti fighi. Ci sono anche italiani come Uzeda e Zu, guarda caso due delle band che hanno meglio suonato nella storia del rock alternativo (e dintorni) in Italia. Ma ci sono anche i 24 Grana e tanti altri, che sono usciti dal suo studio tutti con un grande disco.
Albini non si era mai fermato, solo pochi anni fa ha lavorato con i padovani Capobranco, volati nel suo studio di Chicago, dove chiunque sia stato raccontava di trovare un genio punk. È l’Electrical Audio Recording, famoso anche per non aver mai esagerato con le tariffe nonostante la fama mondiale. Doveva tornare in tour con gli Shellac, invece se n'è andato. Da leggenda.
* Il titolo dell'articolo è cambiato il 10 maggio. Inizialmente aveva un riferimento alla canzone dei Big Black su Mussolini – una provocazione, non di certo una forma di adesione, come abbiamo scritto più che chiaramente –, che ha suscitato una reazione (legittima come quasi tutte le reazioni) sui social network. Abbiamo anche tolto il pezzo da Facebook, dove aveva creato le maggiori reazioni. Non vogliamo la polemica su una morte e su un personaggio come Albini, uno che per la scena alternativa merita un posto nella storia e nella leggenda. Non c'era alcuna volontà di provocarla con il nostro titolo. L'articolo cita il brano su Mussolini – bellissimo, per altro – perché secondo noi molto indicativo di una certa anima provocatoria e punk di Albini e delle sue band, soprattutto nella prima parte della carriera. In una giornata in cui tante testate lo hanno giustamente raccontato, era un modo per illuminare un altro aspetto della sua figura, meno celebrato ma comunque super interessante (no, Mussolini non gli piaceva, nè lo abbiamo mai sostenuto, anche perché Mussolini ci fa orrore ovviamente). Era sbagliato il tempismo, e la parola Mussolini nel titolo (a cui molti si fermano, purtroppo). L'articolo è una celebrazione di Albini, e tale deve rimanere. Quindi cambiamo e chiediamo scusa. Capita di sbagliare, soprattutto oggi che si va di fretta. Di certo non lo abbiamo fatto per i clic, di cui abbiamo l'enorme privilegio di potercene fottere a differenza di quasi tutti i colleghi. Continueremo a raccontare Albini nelle prossime ore. Grazie in ogni caso di averci aiutato a correggere qualcosa che non andava.
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L'articolo È morto Steve Albini, leggenda alternativa tra i Nirvana, gli Zu e gli Uzeda di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2024-05-08 19:45:00
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